Gli straordinari flussi di persone dall’Africa e dal Medio-Oriente verso l’Italia e, più in generale, verso l’Europa non sono più definibili come semplici eventi migratori ma configurano oramai lo scenario di un esodo Biblico: è probabile che noi tutti, preoccupati (…alla fine non troppo!) osservatori, siamo testimoni di un evento che finirà sui libri di storia e che sarà comprensibile in tutta la sua portata sociale e culturale solo tra vari decenni.
Parlando delle ripercussioni di questo esodo sulla Sanità dell’Italia e degli altri dei paesi europei, quello che viene segnalato ha sempre a che vedere con più o meno probabili emergenze infettive; in un post pubblicato sul blog saluteinternazionale.info, dal titolo Migrazione e salute: falsi miti e vere emergenze, è stato discusso, partendo dal caso dell’ordinanza del Sindaco del Comune di Alassio (Ordinanza n. 214 del 01-07-2015), la scarsa fondatezza di un presunto rischio di emergenza sanitaria infettivologica correlabile alla presenza di migranti sul territorio italiano. Se volete approfondire le varie presunte emergenze infettivologiche vi rimandiamo ad un’altro post dello stesso blog.
E la psichiatria? Chi pensa alle conseguenze dell’affrontare un possibile alto numero di pazienti con culture molto diverse dalla nostra? Ogni tanto penso che la psichiatria in Italia abbia un inadeguato e pericoloso atteggiamento di attesa rispetto ad un problema che è ogni giorno sotto gli occhi di tutti. L’opinione pubblica si limita a temere paranoicalmente uno scenario di invasione e di contaminazione, peraltro piuttosto improbabile. D’altra parte dalle persone non tecnicamente preparate ci si può aspettare una posizione irrazionale di diffidenza verso il diverso. Credo che il problema vero sia che, ad oggi, non ho sentito nessuno psichiatra iniziare a sollevare criticamente e con atteggiamento scientifico la possibilità di dover gestire una vera e propria emergenza transculturale imminente. Sto esagerando? Probabilmente si, anzi lo spero, ma mi chiedo chi sono i soggetti o gli enti che stanno studiando in questi mesi il caso scientificamente e con i giusti strumenti culturali e statistici per informarci, ad esempio su:
- Quale è la prevalenza di patologia psichiatrica nelle popolazioni che stanno accedendo in Europa?
- Che tipo di patologie psichiatriche dobbiamo immaginare di dover affrontare?
- Quali risposte farmacocinetiche e farmacodinamiche dobbiamo aspettarci nei gruppi di popolazione che stanno giungendo in Europa?
- Quale sarà il carico previsto per i mediatori culturali, e non parlo del solo problema linguistico ma intendo letteralmente della diversità culturale, nei vari Servizi sanitari?
Se c’è già qualcuno che si occupa seriamente della faccenda mi piacerebbe sapere chi è, a quale titolo lo sta facendo e quali risultati sta ottenendo visto che, come sempre, la vera emergenza italiana rispetto a questo problema potrebbe essere la diffusa ignoranza e l’improvvisazione. Se poi rimango io l’unica persona ad essere ignorante rispetto a risultati epidemiologici definitivi e confortanti rispetto a questo problema, chiedo già anticipatamente scusa del tempo che vi ho fatto perdere a leggere questo post e mi andrò a leggere le fonti che, sono sicuro, mi suggerirete. Io non ne ho trovate. In ogni caso mi permetto di dire che ho qualche dubbio che immensi gruppi di popolazioni traumatizzate e sradicate possano essere esenti da percentuali di incidenza di patologia psichica addirittura più alte delle nostre locali e con caratteristiche psicopatologiche e dimensioni di cura a noi poco conosciute. Infine lasciatemi anche dire che l’insorgere di fenomeni di aggressività e terrorismo in seno a gruppi di persone in apparenza integrate da generazioni in nazioni europee possa essere conseguenza anche di una indagine sociale e psicologica transculturale troppo distratta, dilettantesca ed idealizzata rispetto a problematiche delicatissime e tutt’altro che scontate ovvero l’incontro tra popoli che significa senz’altro incontro tra culture ma anche, in ultima analisi, incontro tra diverse visioni del mondo (Weltanschauung) e del modo di stare insieme nel mondo.
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