Psicoterapia oppure Farmaci? Aiuto!
Ecco un’argomento veramente spinoso! State tranquilli che la soluzione a questo dilemma non è ancora definitiva: psichiatri e psicologi “seri” non hanno ancora dati a sufficienti per una risposta che sia scientificamente attendibile.
Vorrei iniziare con una affermazione piuttosto pesante del Dr. Richard Friedman, Psichiatra al Weill Cornell Medical College:
“American psychiatry is facing a quandary: Despite a vast investment in basic neuroscience research and its rich intellectual promise, we have little to show for it on the treatment front.”
Sul piano del trattamento psicofarmacologico in psichiatria, dopo le fondamentali innovazioni del ‘900, sono decenni che non si assiste ad alcuna grossa novità e, di fatto, il paradigma di trattamento farmacologico attuale risale ancora agli anni ’50. Con questo non voglio certo affermare che le opzioni di trattamento psicofarmacologiche non siano utili, tutt’altro, sono fondamentali in moltissime condizioni psicopatologiche: schizofrenia, disturbo bipolare, depressione maggiore, disturbi d’ansia, panico, disturbo ossessivo-compulsivo. Ma vi faccio un esempio: gli antidepressivi agiscono sulla depressione o anche sulla tristezza? Questa, secondo me, è una bella domanda che merita attenzione.
Innanzitutto vorrei portare alla vostra attenzione come il termine “depressione” abbia quasi completamente sostituito quello di “tristezza”. Provate ad ascoltare dei ragazzini o degli adulti discutere e vi accorgerete che spessissimo diranno “Sono depresso!” al posto di “Sono triste!”. Questo ha un significato profondo piuttosto importante, ovvero si pongono le basi per una diagnosi medica che potrebbe implicare un trattamento di tipo farmacologico. In sintesi noi possiamo trattare con i farmaci il Disturbo Depressivo Maggiore ma non la tristezza, per la semplice ragione che è stato dimostrato che se siamo tristi non avremo alcun beneficio da un antidepressivo. Inoltre alcune condizioni possono meritare di attenzione clinica ma non di terapia, magari solo di ascolto, in attesa di intervenire nel momento più appropriato, o anche mai se il problema si risolve in ambito psicoterapico.
Eccovi di seguito alcune riflessioni relative a tutte quelle condizioni di disagio psichico che meritano un approccio di tipo psicoterapico e NON di tipo farmacologico:
Reazione eventi di vita Traumatici come Lutti, Abbandoni, Sradicamento, Malattie: sono queste condizioni di disagio che non hanno nulla a che vedere con patologie psichiatriche, salvo alcuni casi specifici piuttosto rari. Quando viviamo un evento traumatico la nostra reazione normale sarà quella di avere un problema di adattamento a questa nuova situazione che richiederà tempo. Quindi ci potremo trovare in una condizione di crisi nella quale di sicuro potrà dominare il sentimento della tristezza e dello spaesamento. In queste situazioni, quando non profondamente invalidanti o connotate da altri sintomi come grave dimagramento, insonnia grave, rischio di perdita del lavoro o altre concomitanti “gravi”, sarà molto più utile richiedere un appoggio psicoterapico che dei farmaci. Gli antidepressivi, ad oggi, non hanno alcuno studio serio che documenti efficacia dato che non si tratta di disturbi dell’umore ma di disturbi dell’adattamento con eventualmente umore depresso, ansioso o misto. Le benzodiazepine andrebbero anch’esse o non prescritte, o monitorate con estrema attenzione.
Disturbi di Personalità: nonostante quanto sia stato scritto nelle decadi passate, non ci sono prove definitive che un approccio farmacologico possa essere l’intervento di prima linea più efficace per questo genere di gravi condizioni di psicopatologia. In particolare modo nel Disturbo Bordrline di Personalità si è spesso tentati di usare farmaci per tamponare le gravi anomalie di comportamento presenti, ma non ci sono dati definitivi al riguardo. La maggior parte delle linee guida in realtà smontano parecchio l’approccio psicofarmacologico. Sembra invece che l’approccio più terapeutico sia una forte e competente presa in cura psicoterapica, magari con l’appoggio di una psichiatra che possa monitorare degli eventuali peggioramenti del quadro clinico che possano richiedere più o meno transitoriamente un trattamento psicofarmacologico da scegliere di volta in volta.
Disturbi del Comportamento Alimentare: è questo un altro campo di patologia estremamente complesso nel quale non si hanno prove inconfutabili che gli psicofarmaci siano più efficaci di un intervento relazionale come la psicoterapia. Anche in questo caso l’intervento andrebbe coordinato con uno psichiatra solo al fine di valutare un eventuale utilizzo transitorio e ben modulato di farmaci. L’approccio globale a questo paziente include lo psicoterapeuta, il terapeuta famigliare, lo psichiatra, il dietologo, ed eventuali altre figure (educatori, tecnici della riabilitazione psichiatrica).
Dipendenza da Sostanze (Eroina, Alcool, Tabacco): in questo caso i farmaci servono per lo più nella fase iniziale di disintossicazione per evitare sindromi astinenziali (peraltro quasi completamente assenti, al contrario di quello che si pensa, nel caso del tabacco). Alle volte alcuni farmaci specifici per l’alcol possono venire in aiuto in alcuni casi selezionati. Una volta raggiunta la condizione di disintossicazione i migliori approcci sono quelli “di gruppo” come Alcolisti Anonimi, ACAT, Narcotici Anonimi, e simili. Non sono per nulla da escludere interventi psicoterapici singoli per quelle condizioni che richiedono una più profonda rielaborazione di vissuti traumatici. Alle volte, può essere utile una consulenza psichiatrica per escludere disturbi dell’affettività (Depressione Maggiore, Disturbo Bipolare).
Disturbi della Sessualità: a mio parere è questo il caso più eclatante di come si stia tentando di medicalizzare tutto. Iniziamo dalla cosiddetta “Impotenza” o, come si chiama oggi, “Disfunzione Erettile”: nel 90% dei casi questo disturbo non esiste, in particolare modo quando riguarda persone giovani ed in buona salute. Nella stragrande maggioranza delle volte si ha la disfunzione erettile in concomitanza di calo della libido (e quindi di probabili problemi endocrinologici), di ansia prestazione o di alterazioni nella relazione con l’altro sesso: la cura sarà, per l’ennesima volta, una psicoterapia. Spesso si hanno prestazioni sessuali poco soddisfacenti anche in relazione all’attuale eccesso di alcool e di droghe. La famosa “pillola blu” (viagra, sildenafil e simili) è solo una sorta di conforto e di aiuto che può portare ad una dipendenza psicologica da tale presidio. Non parliamo dell’anorgasmia femminile: ad oggi nessun farmaco ha indicazioni al riguardo. Un discorso a parte può essere fatto per alcune gravi forme di abbassamento del desiderio sessuale, nel qual caso saranno necessari, prima di interventi di tipo farmacologico, alcuni accertamenti di tipo endocrinologico.
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