L’incontro tra la psicoanalisi e la religione cattolica non fu dei migliori…
Con il rogo dei libri di Freud avvenuto a Berlino, la possibilità per gli psicoanalisti di poter esercitare la professione divenne sempre più difficile. Nel giugno del 1933, i nazisti presero il controllo della Società Tedesca di Psicoterapia. Venendo poi al rapporto fra psicoanalisi e religione, è necessario cercare di comprendere qual è il giudizio dello stesso Sigmund Freud sulla religione. Non si espone certamente in modo adeguato e corretto il pensiero freudiano rispetto a questo argomento limitandosi a citare la famosa tesi del pastore Oskar Pfister, che considera la psicoanalisi un mezzo di “purificazione” della religione.
Molte comunicazioni ufficiali della Santa Sede, agli albori di questo curioso incontro, stabilivano una condanna netta, chiara e ferma da parte del Santo Uffizio rispetto alla possibilità di praticare la professione di psicoanalista per chiunque facesse parte del clero o comunque degli ordini religiosi. La famosa rivista “Civiltà Cattolica” dichiarava, già ai tempi di Pio XI (1922-1939), che la psicoanalisi fosse basata su premesse psicologiche errate e pericoli morali. Padre Agostino Gemelli (1878-1959) raccomandava che i cattolici non accettassero le teorie psicoanalitiche, e che non si sottoponessero, né loro né i congiunti, al trattamento psicoanalitico. Sul piano del dibattito filosofico ci si riferí, per lo più, alla questione del libero arbitrio, della gestione della colpa in relazione al peccato ed alle modalità con cui veniva affrontata la dimensione della sessualità.
In particolare la vexata quaestio che la psicoanalisi potesse revisionare il concetto di “peccato” ha espresso e, a mio parere, e continua ad esprime ancora il basso livello di discussione filosofica al quale la Chiesa ha portato questo elemento fondante della sua teologia: noi conosciamo il nostro peccato esclusivamente nella misura in cui conosciamo Dio ed il peccato esiste solo in rapporto ad esso. Ma questo Dio rimane sconosciuto, e tace. E quando, dialogando con se stesso sul filo della propria coscienza, l’uomo è costretto a riconoscere che, in realtà è solo della dimensione del messaggio di Cristo che il peccato assume valore e dimensione, diciamo, adulta. Non c’è da stupirsi, quindi, se un falso senso di colpa contamina spesso il sacramento della Penitenza e lo trasforma in una pratica formalistica, magica e feticistica. Troppo arcaica secondo Freud il quale muoveva critiche alla falsità dei rituali religiosi e ad una religiosità troppo dogmatica vissuta con poca consapevolezza che, dal suo punto di vista di credente, facevano perdere del tutto quanto di più autentico si celava nel messaggio evangelico. E Freud era in buona compagnia: i punti di vista tremendamente moderni di San Tommaso confermavano come l’intelletto sia un faro nella notte in ogni epoca e per ogni punto di vista. Perciò il senso “morboso” di colpa, alla cui costruzione la chiesa ha contribuito grandemente, è l’opposto del senso reale del peccato, e la psicoanalisi, eliminando questi falsi sensi di colpa, tentando di indentificare la “responsabilità” dalla “colpa persecutoria”, poteva immaginare di preparare la via ad un eventuale “nuova” religione cattolica, più adulta, più umanistica e meno votata al controllo delle masse.
Per Freud, mano a mano che l’umanità sarebbe riuscita ad affrancarsi dai desideri infantili che alimentano la sua sete di illusioni, la religione si sarebbe dimostrata niente di più che una fase, necessaria seppur transitoria, lungo la via che porterebbe al confronto diretto con la realtà con il solo ausilio delle capacità razionali. Infatti nel 1933, in una serie di lezioni che dovevano introdurre il popolo accademico alla psicoanalisi, riaffermò il suo aderire ad una visione del mondo fondata su di un’unica fonte di conoscenza: i dati empirici e la loro elaborazione logica.
Nell’ultima opera che pubblicò prima di morire, che venne dedicata a “L’uomo Mosè e la religione monoteistica“, definita dallo stesso Freud un “romanzo storico”, si abbandonò ad una “fantasia” quasi delirante sulle origini egiziane del capostipite dell’ebraismo. Quest’opera fondamentale rappresenta un’implicito riconoscimento dell’importanza fondamentale, per l’attività intellettuale, delle funzioni deliranti del pensiero. Senza cambiare nulla della sua posizione di ateo convinto, introduceva l’idea che qualcosa di simile al pensiero religioso potesse essere attinente con la psicoanalisi. Del resto, più chiaramente, nel lavoro “L’avvenire di un’illusione” riconobbe il carattere “illusorio” (fondato sul “desiderio” ma non verificabile e neppure, diremmo oggi, scientificamente “falsificabile”) della propria aspettativa secondo la quale la scienza si sarebbe lentamente sostituita alla religione nella sua pretesa di spiegare il mondo.
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