La Psichiatria è una disciplina Medica molto particolare? Oppure siamo noi Psichiatri che la vogliamo rendere tale?
Il metodo scientifico ha sempre presentato delle difficoltà nella sua applicazione alle discipline mediche.
In particolare il determinismo, uno dei paradigmi dominanti della scienza classica, sembra quasi espellere molte, se non tutte, le branche della medicina dalla scienza classica. La psichiatria e gli psichiatri, con modalità un pochino occulte, sembrerebbero essere molto affezionati alla legge meccanicistica della causa-effetto che recita: ogni evento possiede una causa ed il futuro è univocamente determinato dal presente. Lo psicoanalista, il farmacologo ed il clinico rifiutano quasi sempre, nelle premesse di metodo del loro lavoro, di muoversi sulle traiettorie di pensiero del determinismo ma di fatto lo fanno.
Questo nonostante negli ultimi anni si sia presentata all’orizzonte la parola “complessità” che ha solo peggiorato il nostro livello di conoscenza dei fenomeni mentali poichè non viene quasi mai messa in relazione con il significato che ad essa attribuiscono i fisici ed i matematici.
In particolare la quantificazione dei sintomi psichiatrici prima e dopo un trattamento e la qualità di vita corrispondente ed il concetto di trattabilità e guarigione sono ancora problemi aperti. La corrispondenza tra variabili biochimiche e l’espressività clinica è, in ogni caso, il punto focale quando si affronta il tema del trattamento dei disturbi del sistema nervoso centrale. La psicofarmacologia dei primi anni era caratterizzata non dalla sintesi di nuovi composti, ovviamente, ma dalla scoperta dell’applicabilità di molecole già conosciute nell’ambito neurologico e psichiatrico. In seguito le nuove molecole erano caratterizzate da piccole modifiche strutturali a partire delle prime. Ancora negli ultimi anni con difficoltà si puó affermare che qualche molecola abbia delle caratteristiche sufficentemente originali da poter essere definita effetivamente “di sintesi”.
“Efficacia”, “rapidità d’azione” e “sicurezza” sono da sempre i parametri che si tenta di raggiungere quando si propone l’utilizzo di un farmaco. Se in ambito, ad esempio, cardiologico la quantificazione di queste variabili pone già una certa quantità di problemi è indubbio che in psichiatria questa quota di “indeterminatezza” possa raggiungere livelli molto piú alti. Con questo non voglio assolutamente affermare che la psichiatria sia al di fuori del ragionamento scientifico, tutt’altro; vorrei, peró, sottolineare come, in quest’area della medicina, sia possibile, piú che in altri ambiti, dire ció che si vuole supportandolo da dati che parrebbero dimostrarlo. Conseguenza di ció è che la ricerca in psichiatria potrebbe necessitare di una “dose aggiunta” di etica o se vogliamo di responsabilità, il che ci rimanda direttamente al problema della responsabilità delle aziende, delle universitá e dei medici in questo senso. La questione morale dell’industria è problema antico e per nulla relegato al solo ambito farmaceutico. È etico commercializzare armi? È etico produrre cibi dannosi per la salute? È etico nel corso nel corso del processo di produzione danneggiare l’ambiente? Queste domande poste a titolo di esempio sembrano essere tutte negativamente discutibili sul piano etico se analizzate in maniera isolata ma le risposte a queste ed altre domande non sono dei semplici “no” come parrebbe in apparenza, ma riguardano la ben più complessa questione del “che cosa possiamo avere in cambio di buono”. Al di la di questa premessa, cosa non è di sicuro etico, è affermare o alludere o far “passare” come messaggi impliciti cose non vere mediante meccanismi di comunicazione manipolatoria. Questo non solo non è etico, ma dovrebbe, a mio parere, essere oggetto di estrema attenzione, discussione ed eventualmente direttamente condannabile. Condannabile da chi? Questa è la domanda a cui è piú semplice rispondere.
I due soggetti che dovrebbero raccogliere la sfida di riconsegnare all’etica il metodo scientifico in ambito medico sono la comunità scientifica che opera al di fuori dell’ambito privato (le università in primis) e, ovviamente, la classe medica, ovvero il principale target dell’informazione delle aziende produttrici dei farmaci. Ma cosa fanno medici ed universitá? Spesso sono solo esecutori di direttive aziendali che danno loro l’illusione di fare ricerca. Chi c’è in Università che si dedica a ricerca in psichiatria non farmacologica? Ma dove sta andando la psichiatria? La cura dei disturbi psichiatrici sará davvero una pillola od un insieme di pillole? Se avete continuato a leggere sino a qui vi sarete resi conto del fatto che questo post é forse solo una nota a mio personale uso. Questi pensieri in libertá mi giunsero alla mente dopo un incontro avvenuto alcuni mesi or sono con i rappresentanti di alcune associazioni di volontariato e di famigliari che operano sul territorio del cuneese, zona dove io lavoro.
Ecco una sintesi degli spunti di ragionamento che ho raccolto durante la riunione:
- il bisogno di parlare: quanti psichiatri sanno ascoltare?
- la capacitá di ascoltare: quanti psichiatri pensano che sia utile?
- difficolta di comunicare precocemente i problemi (fiducia? stigma? conoscenza dei sintomi precoci da parte dei medici?)
- i medici di base sono sufficientemente preparati a riconoscere e gestire le fasi iniziali della malattia?
- la rassicurazione ad ogni costo é un arma a doppio taglio
- apertura della psichiatria verso l’esterno: la scuola, il territorio… la psichiatria sa farlo?
- non far pagare la prevenzione
- agire sulla scuola, ovvero sugli insegnanti o sui ragazzi?
- il problema dei canali di comunicazione
- a proposito di manovre salvavita: quanti sanno il BLS e quanti, ad esempio, sanno i fattori di rischio per suicidio?
- che cosa fare dei soldi? la necessitá di dare dignita di interventi sanitari ad alcuni interventi considerati umanitari per decidere se investirci denaro: la ricerca vera é sul territorio
- che cosa offre il servizio di psichiatria nella percezione della gente?
- adolescenti e giovani: rapporti tra disagio, malattia e sostanze
- sportello di ascolto per i famigliari
- la formazione sui famigliari é la psicoeducazione: chi la sa davvero fare?
- il concetto dell’adozione a distanza in psichiatria: ad esempio nel reperire risorse abitative
- come si può recuperare/favorire il rapporto tra il paziente e le altre persone in maniera non stigmatizzante, naturale?
- In psichiatria, c’é piú bisogno di soldi o di tempo?
……..Interessante vero?… D’altra parte, come sempre, il punto non é solo il “cosa” ma il “come”, ed al “come” é connesso fortemente anche il “quando” ovvero la declinazione pratica del “cosa”.
Buonanotte cari Lettori!
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