Mi sono sempre chiesto se gli Psichiatri, che dovrebbero essere tecnici specializzati nella comunicazione, abbiano mai posseduto realmente la capacità di parlare alle persone: una materia, la psichiatria, che necessita di grande capacità di divulgazione per far arrivare in maniera efficace al grande pubblico informazioni precise, sembra essersi svuotata di passione, di istinto divulgativo e di contenuti di valore da passare all’opinione pubblica.
Probabilmente uno dei primi problemi che la psichiatria ha avuto qui in Italia, correlati al “saper comunicare”, è stato quello di aver completamente perso il treno del Digital e del Web.
Voglio spiegarmi meglio…
Sapete cosa fa un paziente appena esce da una visita con il suo psichiatra? In realtà ve l’ho già spiegato in un precedente articolo, se per caso foste così fuori dal mondo da non saperlo già… Insomma appena un paziente esce dallo studio del suo psichiatra, prima ancora di arrivare alla sua automobile, ha già cercato su google i farmaci che sono stati prescritti e la diagnosi che le è stata fatta. E questo avviene praticamente sempre.
Le riflessioni che mi hanno portato a scrivere questo articolo sono nate questo pomeriggio appena passato mentre stavo ascoltando il grande Prof. Claudio Mencacci, Presidente della Società Italiana di Psichiatria, professionista super competente e davvero ottimo comunicatore off-line, che parlava ad un corso qui a Roma sulla necessità che dovremmo avere noi psichiatri di comunicare con la gente. Parole sacrosante.
L’obiettivo sarebbe quello di portare una materia complessa, molto stigmatizzata e stigmatizzante a contatto delle persone, per renderla famigliare, meno preoccupante e negativamente mitizzata. Per fare questo, ovviamente, bisognerebbe renderla interessante, avvincente e comprensibile. Inoltre, e qui c’è l’inghippo, bisognerebbe divulgarla su dei canali contemporanei: social media, un blog, youtube e snapchat, come minimo.
Tanto più che l’esplicita ambizione, non solo del Prof. Mencacci, ma anche di ogni collega psichiatra e di molti dirigenti delle nostre aziende sanitarie (più per ragioni di immagine che per reale convinzione scienifica, a mio parere…) è quello di fare prevenzione e diagnosi precoce ovvero di parlare agli adolescenti. Che cosa fa concretamente la psichiatria italiana per raggiungere questo ambizioso risultato? Vi voglio riportare un esempio: provate a digitare su google le keywords “disturbo bipolare”. Ecco, più o meno, quello che vi appare: Avete capito che cosa succede? L’informazione medico-sanitaria della Psichiatria è completamente divulgata dagli psicologi e, devo dire, piuttosto bene e con una grande coesione di forza lavoro.
Giusto per proseguire con il mio discorso vorrei porre a confronto due riferimenti dell’informazione psichiatrica e psicologica sul web, ovvero il bellissimo (e storico) http://www.psychiatryonline.it (in blu) e l’altrettanto valido (e ricchissimo di contenuti) http://www.stateofmind.it (in giallo): Non so se mi spiego: il sito di informazione sulla psicologia ha 5 volte il traffico di quello sulla psichiatria, e ancora peggio i contenuti presenti su stateofmind.it sono in larga parte di pertinenza psichiatrica. Non male questi psicologi, no? Sono loro i veri protagonisti del web quando si parla di divulgazione della materia non solo psicologica, ma anche psichiatrica. E dico sul serio, hanno davvero la mia stima.
In estrema sintesi quando cerchi informazioni su psicofarmaci o su malattie mentali non riesci a trovare un robusto riferimento gestito da professionisti della psichiatria (ok, anche io ci sto provando con questo blog, con risultai discreti, ma non avete idea che fatica faccio a fare tutto da solo…). In particolare vorrei chiedere al Prof. Mencacci, e oggi non ci sono riuscito, di provare a spronare tutta la SIP a muoversi al più presto in tal senso.
D’altra parte la Psichiatria italiana si è fatta scippare molte delle sue qualità dalla neurologia negli anni ’90, ed è normale a questo punto che venga definitivamente affossata sul web dalla psicologia negli anni 2000. Noi psichiatri dobbiamo, forse, un pochino svegliarci all’alba di questo 2017?
Vogliamo poi parlare degli psichiatri che si occupano di prevenzione, di esordi giovanili di malattia e di comunicazione agli adolescenti? Che cosa posso dire, se non constatare amaramente che ci sono colleghi che rifiutano, portandolo come un vanto, di avere un profilo su facebook e di non volere minimamente comprendere a fondo il mondo dei social media?
Come psichiatri, ovvero esperti massimi della comunicazione, dovremmo essere noi a spiegare alla gente che cosa sono i social network, come usarli al meglio, dimostrandone padronanza assoluta. Invece spesso ne parliamo come potrebbe fare una nonna di 90 anni, ovvero per luoghi comuni e sentito dire, senza fare sperimentazione e ricerca.
Parlare agli adolescenti? E con quale linguaggio? Con quali sistemi di riferimento culturali? Con quali canali di comunicazione?
D’altra parte tutti sappiamo che delle vere e proprie lezioni di comunicazione nessuno le fa ai nuovi medici, al massimo si insegna la metapsicologia, le determinanti sociali o le grandi teorie (psicoanalisi, CBT etc.) ma nessuno spiega come declinare nella relazione terapeutica o verso il grande pubblico queste conoscenze.
Nessuno, nel corso degli ultimi 50 anni, ha mai insegnato come si comunica e nessuno se ne sta ancora occupando.
Negli anni 2000 siamo ancora nell’era del “medico che ordina” e del paziente che “esegue l’ordine medico”.
Andiamo bene!
D’altra parte sono sicuro, e le parole del Prof. Mencacci mi hanno rincuorato in tal senso, che la psichiatria abbia molto da dire alla gente. Forse sono solo tre i principali deficit che la psichiatria ha nell’area critica della divulgazione:
- La perdita della dimensione narrativa della nostra materia
- La scarsa conoscenza del significato contemporaneo della parola “comunicazione”
- La mancanza di voglia di avvicinarsi, in tutti i sensi possibili, alla gente, di “sporcarsi le mani” sul web e nel mondo off-line
- La totale assenza di competenze trasversali legate al digitale
- La scarsa comprensione della differenza tra pensare di “sapere le cose” e “fare le cose”
La Psichiatria ha ancora molto da dire una volta esaurite le due o tre tematiche (importanti!) che, negli ultimi anni, hanno monopolizzato il pensiero degli psichiatri: psicofarmaci, autori di reato, budget per inserimenti in comunità.
Voglio pensare che la psichiatria sia ancora fatta di storie e di persone che le sappiano ascoltare con passione, sapendo utilizzare in maniera eccellente tutte le risorse della biologia, della psicoterapia e delle scienze sociali per riuscire ad aiutare le persone a non perdere il loro benessere mentale o a recuperarlo il prima possibile una volta che la patologia prende il sopravvento.
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Avverto da tempo l’ estrema necessità di rapporti interdisciplinari ascrivibili a metodi considerati ” a rete” e non gerarchici, i quali tendessero ad un’ estensione analitica di tipo sociale a largo e direi profondo raggio,prima di essere ( la classe psichiatrica) un’ ennesimo prescrittore,e qui con grande fatica non proseguo oltre..
Buon lavoro in particolar modo a quei giovani che possono dare la vera svolta,e non solo in questo ambito.
Massimo