La possibilità di affinare la capacità di auto-analisi emozionale è alla portata di tutti, basta imparare le giuste strategie e darsi un pochino di tempo per potersi osservare con la dovuta calma.
Ho già spiegato in un altro articolo come fare a riconoscere alcune forme di pensiero distorto e disfunzionale che possono portarci a soffrire. In questa riflessione vorrei portare all’attenzione alcune strategie utili a per riuscire a definire meglio le nostre emozioni negative.
Nel mio precedente articolo sulle forme di pensiero disfunzionale ho spiegato come sia possibile sviluppare stati emozionali negativi, come ansia e depressione, sulla base di idee preconcette, rigide e non realistiche. Quando si riesce ad imparare a pensare in maniera più realistica e positiva, si cambia naturalmente il modo in cui ci sentiamo, spesso in maniera radicalmente migliore.
Un approccio all’analisi delle proprie emozioni basato sulle teorie della Terapia Cognitivo Comportamentale, come quello che vi sto proponendo, ha degli aspetti molto interessanti anche se molti potrebbero identificarne altri più controversi. Ad esempio ci si potrebbe chiedere se, tutto sommato, alcuni pensieri ed emozioni negative non possano essere realistiche: Sono davvero pensieri disfunzionali? Ci sono davvero degli aspetti di me che vanno cambiati?
A titolo di cronaca vi voglio citare due passi di un articolo di David Ives, uno scrittore americano, che pubblicò negli anni ’80 un famoso articolo dal titolo “In Praise of Depression” (trad. “Lode alla Depressione“):
“Considerando lo stato del mondo, perchè la scienza dovrebbe ancora considerare la depressione una patologia? (…)”
“Per alcuni di noi l’ottimismo appare proprio per ciò che è: una forma di evasione dalla realtà (…)”
Non è difficile pensare che ci possa essere qualche cosa di vero nel pensiero di David Ives, no?
Personalmente ritengo che la tesi che lo Stress e i nostri sentimenti pessimistici e depressivi siano sempre realistici e motivati è tanto assurda quanto la moderna tendenza a dover essere sempre felici, performanti e solidi. Qualche volta i nostri sentimenti negativi sono “sani” altre volte no.
Parlando in maniera molto pratica, come è possibile stabilire quando si dovrebbero accettare i nostri sentimenti negativi, quando esprimerli e quando invece accettarli? Vi voglio proporre alcune domande che saranno d’aiuto in questa analisi:
- Da quanto tempo mi sento così?
- Sto facendo meditando di affrontare in maniera costruttiva il mio stato d’animo oppure ci sto solo rimuginando sopra evitando di cercare soluzioni?
- I miei pensieri e le mie emozioni sono realistiche?
- Sarà d’aiuto, inutile oppure addirittura dannoso se io esprimerò le mie emozioni agli altri?
- La situazione che mi sta rendendo infelice è sotto il mio controllo oppure no?
- Sto evitando di affrontare un problema e sto negando a me stesso che la situazione mi rende davvero arrabbiato?
- Le mie aspettative verso il mondo sono realistiche?
- Le mie aspettative verso me stesso sono realistiche?
- Mi sto sentendo senza più alcuna speranza?
- La stima verso me stesso è davvero bassa? Da quanto tempo?
Ci sono reazioni ad eventi oggettivamente negativi che possono modificare molto negativamente il nostro stato d’animo. E’ normale. Non è normale, invece, vedere la nostra reazione perdurare per troppo tempo, mesi o addirittura anni. Se ci si sente tremendamente tristi, in colpa, bloccati, o arrabbiati per qualche cosa accaduto diversi anni or sono, forse è il caso di chiederci se il perdurare della nostra reazione è ragionevole. Non voglio dire che ciò basterà a cambiare il nostro stato d’animo, ma quanto meno inizieremo ad essere consapevoli che quello che stiamo sperimentando non è “normale”.
Dopo molto tempo, infatti, alcuni sentimenti diventano parte integrante del nostro modo di essere e ci cambiano. Alcuni pensieri, magari molto sbagliati o poco realistici, se ripetuti nella nostra mente ogni giorno per mesi o anni, possono diventare “veri” ai nostri occhi convincendoci che il nostro essere depressi, ansiosi, incapaci, spaventati o bloccati, sia ragionevole. E’ molto più frequente sentirsi in colpa con noi stessi piuttosto che fare qualche cosa per cambiare le cose. Allo stesso modo si può portare dentro di noi del risentimento verso qualcuno invece di pianificare di far uscire questo pensiero, comunicandolo onestamente alla persona interessata.
Un’esempio di come le emozioni negative possono cambiare il nostro carattere è quello che riguarda alcune persone cronicamente depresse nelle quali i pensieri disfunzionali possono prendere la forma di una notevole durezza nei giudizi sugli altri, di cinismo o di assenza di speranza. Quando invece si inizia a permanere a letto per molto tempo, evitando attività piacevoli, allontanando gli amici, il lavoro perché iniziamo a convincerci che la vita sia senza senso, allora la possibilità che si stia sviluppando una vera e propria depressione diventa realistica.
Un dubbio che spesso attanaglia le persone è quello se sia opportuno o meno esprimere i propri sentimenti o le nostre emozioni negative. Si ritrovano spesso individui che si vantano di “dire sempre quello che pensano” ma questo, per fortuna, non è proprio così. Dico per fortuna dato che sarebbe assolutamente impensabile che ognuno di noi potesse dire sempre quello che pensa, sarebbe un disastro! Quando ci si sente arrabbiati spesso si può pensare di avere il diritto di esserlo, ma la vera domanda da porsi è: voglio davvero sentirmi così?
Questa è una domanda davvero importante che sarebbe opportuno associare ad un’altra: esprimere questa mia emozione mi farà stare meglio? La risposta a quest’ultima domanda in realtà deve essere scomposta in 2 diverse domande: COME devo esprimere un’emozione e QUANDO devo esprimere un’emozione. Se immagino di riuscire a comunicare quello che sento con modalità sufficientemente tranquille ed efficaci, e soprattutto al momento giusto, è probabile che quello che sento vada espresso. Se a dominare saranno l’impulsività e la rabbia libera e distruttiva, dovrò come minimo provare a rimandare.
Vorrei finire con alcune considerazioni riguardanti il sentimento della frustrazione. Essere frustrati deriva dalla discrepanza che si osserva tra le nostra aspettative e quello che la realtà ci offre. Se seguiamo questa definizione non è difficile comprendere come sia sempre possibile gestire la frustrazione abbassando le nostre aspettative. Non sembra facile, tuttavia, ragionare in questo modo poiché l’abbassare le nostre aspettative sembra sempre essere connesso a sentimenti di pessimismo, di perdita e di incapacità. Se devo abbassare le mie aspettative sul mondo o su me stesso, significa che mi dovrò accontentare di una vita miserabile? Questo non è vero. Ecco perché:
- Abbassare le nostre aspettative non significa rinunciare a grandi aspettative, piuttosto si tratterà di procedere per piccoli successivi piuttosto che fermarsi a grandi fallimenti. Ad esempio se voglio riuscire a tirare su 100Kg sulla panca in palestra dovrò procedere per piccoli incrementi di peso. Magari non raggiungerò i 100Kg (semplicemente non sono alla mia portata?), ma sarò sicuro di riuscire, prima o poi, a raggiungere il mio massimo.
- Spesso affrontare una sfida con troppa energia o determinazione porta ad un risultato meno efficace che riuscire ad accettare i nostri limiti. Si chiama il “Paradosso dell’Accettazione”: quando si combatte con troppa energia, l’atto di forza creerà nuove resistenze rendendo la sfida impossibile. Anche in questo caso dosare piccoli sforzi per un tempo più lungo può essere vincente.
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Molto interessante l’ argomento, come del resto tutti gli altri da lei pubblicati. Mi riguarda molto da vicino! C’è un suo libro che ne parla? Sarei interessata a leggerlo.
Interessante e particolareggiato.
Ci sono dentro fino al collo.?
Grazie
Gabriele