Anche se, inizialmente, l’ADHD (“Sindrome da deficit di attenzione e iperattività“) è stato considerato solo come un disturbo dell’infanzia, negli ultimi anni è stato possibile validare definitivamente l’ADHD come un disturbo che può proseguire anche in età adulta.
L’ADHD è caratterizzato da sintomi di scarsa attenzione, iperattività motoria ed impulsività che genera grosse difficoltà, o che può addirittura impedire, uno sviluppo psicologico normale, l’integrazione e l’adattamento sociale di bambini, adolescenti ed adulti.
Le prove sulla necessità di intervenire sugli adulti con ADHD sono in rapida crescita ed i medici hanno la necessità di aggiornamenti affidabili al riguardo, provenienti dalle migliori fonti di informazioni disponibili al fine di orientare al meglio la pratica clinica quotidiana.
La Sindrome da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) è una delle condizioni neuropsichiatriche più comuni, con una prevalenza stimata in tutto il mondo del 5% circa nei bambini in età scolare, con la possibilità di persistere e di compromettere la salute età adulta intorno al 65% dei casi. La prevalenza stimata di ADHD (secondo la diagnosi categoriale del DSM-5) negli adulti è di circa il 2,5%.
L’ADHD è caratterizzato da un pattern di comportamento persistente caratterizzato da disattenzione, iperattività, impulsività. Secondo l’attuale edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5), almeno cinque dei nove sintomi di disattenzione, iperattività ed impulsività sono necessari per la diagnosi. Anche se, sulla base dei criteri diagnostici attuali, l’esordio dell’ADHD è, per definizione, durante l’infanzia (più precisamente, prima dell’età di 12 anni), recenti studi suggeriscono che, in alcuni casi, l’ADHD potrebbe apparire de novo in età adulta.
Altri criteri diagnostici richiedono che i sintomi siano presenti in più di un ambiente di riferimento del paziente (ad esempio, accademico, sociale e professionale) e che essi comportino una compromissione funzionale rilevante in varie aree dell’esistenza. Il DSM-5 definisce tre presentazioni cliniche dell’ADHD in base al profilo dei sintomi: Combinato, Prevalentemente disattento e Prevalentemente Iperattivo/Impulsivo.
Le modifiche rispetto alla precedente edizione del DSM (il DSM-IV-TR) comprendono, tra le altre, l’età di esordio (attualmente prima dei 12 anni, prima l’età era 7 anni), la soglia di conteggio dei sintomi necessari alla diagnosi in adulti (almeno cinque sintomi di disattenzione / iperattività / impulsività, anziché sei come nei bambini) e l’inserimento di specifici esempi normalizzati per l’età di sintomi di ADHD presenti negli adulti.
La valutazione di un adulto per il quale si sospetti un ADHD comprende vari passaggi:
- identificare comportamenti coerenti con i criteri diagnostici del DSM-5 per l’ADHD
- considerare l’età di insorgenza dei sintomi
- attuare una stima della compromissione funzionale e valutare in quali aree dell’esistenza, valutando la pervasività dei sintomi
- identificare eventuali disturbi psichici coesistenti
- escludere altre diagnosi differenziali psichiatriche e/o somatiche
E’ anche molto importante la valutazione accurata della storia familiare, dell’anamnesi remota, l’esecuzione di un accurato esame fisico e neurologico e l’avallamento del giudizio clinico mediante scale e questionari di valutazione.
Ovviamente la diagnosi di ADHD nell’età adulta è relativamente semplice quando i sintomi sono stati chiaramente presenti nell’infanzia e/o una diagnosi è già stata fatta in precedenza durante l’infanzia. Tuttavia, se non chiaramente attuata durante l’infanzia, la diagnosi di ADHD negli adulti può comportare alcuni problemi o, addirittura, non essere presa neppure in considerazione per limiti culturali o pregiudizi.
Particolarmente importante è l’intervista clinica ad un informatore o caregiver adulto (come ad esempio un genitore o un parente stretto), che può fornire informazioni sul comportamento del paziente come un bambino, oltre che come adulto. Avere un altro informatore oltre al paziente stesso può anche aiutare a prevenire la situazione, piuttosto frequente, che i pazienti assumano uno stile di risposta manipolativo, che può portare ad una sovra- o sottovalutazione dei sintomi (ad es. per ottenere psicostimolanti per uso non medico).
L’ADHD degli adulti è spesso in comorbidità con altri disturbi psichiatrici, come la depressione, l’ansia, l’abuso di sostanze, il disturbo antisociale di personalità e/o alcune condizioni somatiche, come l’obesità.
Una grande quantità di prove dimostra che l’ADHD negli adulti non trattata porta a conseguenze psicosociali altamente negative, tra cui un basso livello d’istruzione, atti antisociali o criminali, incarcerazione, difficoltà coniugali e basso status socio-economico. Un trattamento efficace della ADHD può aiutare a prevenire questi esiti negativi sul piano esistenziale.
Trattamento dell’ADHD nell’adulto
I trattamenti farmacologici vengono considerati i più efficaci (ed anche i più studiati rispetto al placebo), almeno nel breve termine, per ridurre i sintomi di ADHD negli adulti. I cosiddetti Psicostimolanti sono i farmaci più comunemente utilizzati nel trattamento dell’ADHD nei bambini, negli adolescenti, ed anche negli adulti.
La British Association of Psychopharmacology (BAP) e le linee guida del National Institute for Health and Care Excellence (NICE) suggeriscono che il Metilfenidato (Ritalin© il nome commerciale in Italia ed in gran parte del Mondo) è l’opzione farmacologica di prima linea negli adulti affetti da ADHD. Il Metilfenidato è sicuramente il trattamento farmacologico con la base di conoscenze più solida.
Diversi studi hanno recentemente dimostrato l’efficacia di altri psicostimolanti per il trattamento dell’ADHD negli adulti. Una recente review sulle Cochrane Libraries ha rilevato un significativo miglioramento della gravità dei sintomi, rispetto al placebo, per vari altri derivati dell’anfetamina, in particolare per la dextroanfetamina e la lisdexamfetamina.
La Atomoxetina, un trattamento farmacologico non psicostimolante e non derivato dell’amfetamina, è risultato più efficace del placebo nel ridurre la gravità dei sintomi di ADHD in diversi studi ed esperienze cliniche. Secondo le linee guida NICE l’atomoxetina sarebbe il trattamento di seconda scelta per l’ADHD.
Al momento sono in corso molti studi che tentano di trovare un’applicazione di altri farmaci nell’ambito della cura dell’ADHD come ad esempio Bupropione, Buspirone, Aripiprazolo e Reboxetina. Sono altresì in sviluppo diverse nuove molecole rivolte specificatamente al trattamento dell’ADHD.
In generale, gli studi indicano che i trattamenti psicofarmacologici, nel complesso, rispetto al placebo sembrano essere un pochino meno bene accettati e meno ben tollerati; il tasso di adesione medio per tutti i trattamenti farmacologici dell’ADHD dell’adulto, in diversi studi naturalistici retrospettici, variava dal 52% al 87%. In una recente meta-analisi, gli adulti hanno mostrato di avere una maggiore probabilità di interruzione a lungo termine di tutti i trattamenti farmacologici dell’ADHD (79,7%) rispetto ai bambini (48,8%) ed agli adolescenti (72,1%).
In una meta-analisi su 2665 adulti con ADHD, l’uso di psicostimolanti era significativamente correlata con un incremento medio della frequenza cardiaca di 5.7 bpm a riposo ed un aumento della pressione sanguigna sistolica media di 2 mmHg; questi dati, tuttavia, hanno comportato un basso tasso di eventi cardiovascolari clinicamente significativi. Tuttavia, un’altra revisione sistematica ha identificato un aumento del rischio di Attacco Ischemico Transitorio (TIA), morte improvvisa ed aritmia ventricolare in adulti con ADHD trattati con stimolanti, sebbene le dimensioni cliniche di questi dati necessitino di ulteriori chiarimenti.
Affrontare le dimensioni comportamentali, psicologiche, professionali ed educative mediante interventi non farmacologici (ad es. Psicoterapia Cognitivo Comportamentale) è riconosciuto come essenziale nel trattamento degli adulti con ADHD. Tuttavia, mentre nei bambini e negli adolescenti ci sono prove più nette che i trattamenti non farmacologici siano efficaci per affrontare disturbi e menomazioni associate con l’ADHD, negli adulti il valore dei vari possibili interventi non farmacologici è meno chiaro e necessita di ulteriori verifiche.
Bibliografia di Base consigliata:
- Thapar A, Cooper M. Attention deficit hyperactivity disorder. Lancet 2016;387:1240–50
- Taylor E. Uses and misuses of treatments for ADHD. The second Birgit Olsson lecture. Nord J Psychiatry2014;68:236–42
- Seixas M, Weiss M, Muller U. Systematic review of national and international guidelines on attention-deficit hyperactivity disorder. J Psychopharmacol (Oxford) 2012;26:753–65
- Moffitt TE, Houts R, Asherson P, et al. Is adult ADHD a childhood-onset neurodevelopmental disorder? Evidence from a four-decade longitudinal cohort study. Am J Psychiatry 2015;172:967–77
- National Institute for Health and Care Excellence (NICE). Attention deficit hyperactivity disorder: diagnosis and management NICE guidelines [CG72]. 2016. http://www.nice.org.uk/guidance/cg72
- Bolea-Alamanac B, Nutt DJ, Adamou M, et al. Evidence-based guidelines for the pharmacological management of attention deficit hyperactivity disorder: update on recommendations from the British Association for Psychopharmacology. J Psychopharmacol (Oxford) 2014;28:179–203
- Taylor E, Dopfner M, Sergeant J, et al. European clinical guidelines for hyperkinetic disorder–first upgrade. Eur Child Adolesc Psychiatry 2004;13:I7–30
- Cunill R, Castells X, Tobias A, et al. Efficacy, safety and variability in pharmacotherapy for adults with attention deficit hyperactivity disorder: a meta-analysis and meta-regression in over 9000 patients. Psychopharmacology (Berl) 2016;233:187–97
- Faraone SV, Asherson P, Banaschewski T, et al. Attention-deficit/hyperactivity disorder. Nat Rev Dis Primers2015;1:15020
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Noto spesso un’associazione col BPD, quello su sui spesso mi interrogo è se sia effettivamente una comorbilità (adhd conduce a BPD) o sia in parte dovuto alla modificazione delle funzioni esecutive sull’asse II dovute al disturbo.
Mi piacerebbe sapere come la vede anche perché probabilmente le filosofie di trattamento dovrebbero prendere strade differenti.
Quando notavo l’iperattivita’ di mio figlio , l’incapacità di prestare attenzione e la predilezione per i giochi solitari in età scolare venivo accusata di non comprenderne la sua vivacità!Erano i primi anni ’80 e solo in America si studiava l’ADHD ed era uscito il ritalin che nessuno psichiatra ha mai prescritto a mio figlio il quale oggi 40 enne si ritrova ad assumere antidepressivi e neurolettici con scarsa compliance.Oggi mi chiedo se lo avessimo curato col ritalin all’esordio dei sintomi probabilmente la sua qualità di vita sarebbe migliore.
Io diagnosticato a 26, dopo due anni inutili di Strattera mi hanno dato il Ritalin. Non è una panacea, né è un farmaco facile da gestire (almeno per me). Tuttavia fa la differenza tra essere bambini ed essere adulti.
Il ritalin le è stato prescritto in Italia? Non credo sia possibile nelladulto. Mi faccia sapere come ha ottenuto il ritalin in quanto la legge esclude questa possibilità a meno che non sia stato diagnosticato prima della maggiore età
Lo strano caso degli antipsicotici per l’ADHD. Se ha tempo perchè non ne parla?
Una con l’adhd
Dr. Rosso, sa che il suo canale è proprio ben fatto? Vedo che si interessa di SEO, bravo! E anche di adhd, 2 x bravo!
Le faccio una domanda forse un po’ complessa per essere affrontata in un commento ma… Perché l’adhd si accompagna spesso a personalità del cluster B? Passi il borderline, ma personalità narcisista e antisociale non sono proprio genetiche come origine, o sbaglio? Grazie e buon lavoro!
apprezzo molto il suo lavoro di divulgazione e di analisi, fra medicina e sociologia. Sono stato incuriosito da diversi suoi interventi, in particolare quelli sull’ADHD. Mio figlio di 17 anni da 6/7 anni presenta atteggiamenti oppositivi, demotivati, pigri e disorganizzati nella sfera scolastica e personale. E’ arrivato rocambolescamente alla V liceo senza perdere anni, ma sempre con terribili risultati in matematica e con uno studio estremamente sciatto ed episodico, in particolare nelle materie scientifiche. Viceversa, ha performance molto valutate nelle prove scritte delle materie umanistiche, per via della sua sensibilità poetica e della sua capacità di argomentare. E’ descritto come una specie di poeta maledetto, anche se non legge libri, non studia, non ha interessi particolari nè hobbyes coltivati al di fuori dell’uso compulsivo dello smartphone. Il suo atteggiamento di procrastinazione, disordine personale e nella gestione delle cose, incapacità di attenzione, rapporti disciplinari per assenze, non svolgimento dei compiti e ritardi a scuola si accompagnano, a casa, a rifiuto di alzarsi la mattina, disconoscimento dell’autorità dei genitori e mancanza di rispetto, anarchia negli orari con attivazione notturna e disattivazione diurna, ostentazione arrogante di sicurezza di sé ma disorganizzazione clamorosa degli spazi, dei materiali, dei tempi necessari. E’ sempre impulsivo e alla ricerca del piacere immediato, con percezione blanda del pericolo e svalutazione dell’impegno, degli obblighi e delle reazioni degli adulti. Ha preso a fumare da un paio d’anni, apprezza alcool senza però abusarne, nonostante noi genitori siamo astemi e non fumatori. Nella sfera delle relazioni con amici e ragazza ha al momento successo, anche se ciò implica non amministrarsi e dire sempre sì a tutti. La madre è stata depressa in vari momenti della vita, e nella sua famiglia vi sono diversi depressi e bipolari. Seguendo la descrizione dell’infanzia dei soggetti ADHD ho collegato la distrazione marcata che veniva segnalata dalle maestre e dai professori delle medie, anche se non era ipercinetico e riusciva a seguire bene letture di altri e film o audio. Ritiene che potrebbe essere ADHD sotto traccia, non mai diagnosticato? O magari altro? Un consulto psicologico già fatto in passato non ha portato a diagnosi particolari, ma i suoi atteggiamenti continuano a farci impazzire, nonostante lui ritenga che i problemi non siano mai suoi.
Adoro il Suo lavoro di divulgazione! Vorrei un Suo parere sulla mia condizione se non Le rubo troppo tempo. Sono stato in cura con atomoxetina 120mg/die per 2 anni senza alcun beneficio se non qualche attacco di panico mai avuto prima. Da 5 mesi sono con 30mg/die metilfenidato e 75mg sertralina, in quanto il metilfenidato non risolveva e anzi aggravava l’ansia e finivo col non penderlo.
Non saprei dire se la sertralina a parte qualche attacco di diarrea stia facendo granché. D’altro canto, il metilfenidato è la differenza tra essere un bambino alla deriva ed essere un adulto in controllo, peccato per l’ansia. Secondo Lei la sertralina dovrebbe aiutarmi più avanti nel tempo? O devo solo convivere con questa ansia? Infine, tra qualche settimana mi trasferisco in UK e negli adulti usano preferenzialmente la lisdexamfetamina.. Potrebbe questa darmi meno ansia, oltre a risolvere il problema della brevissima durata del Ritalin?
Grazie mille e buon lavoro.