Un Artista, Un Uomo
La vasta letteratura sulla vita ed il lavoro dello scultore, poeta, pittore e architetto italiano Michelangelo Buonarroti manca ancora di una patobiografìa accurata. Questo vuoto non è assolutamente dovuto a scarsezza di dati che possano essere considerati indice di alcuni disturbi psicologici e fisici attribuiti a Michelangelo.
Il motivo senza dubbio deve essere ricercato nella difficoltà di ritenere che in quest’uomo universale dalle opere impressionanti e grandiose, le sue malattie ed i suoi disturbi psicologici possano formare un insieme coerente con la sua vita ed il suo lavoro.
La Patobiografia di Michelangelo Buonarroti
Il contributo più recente ed anche più importante alla patobiografìa di Michelangelo è di uno psicoanalista americano, Robert Liebert con il suo libro, del 1983, intitolato “Michelangelo: Uno studio psicoanalitico della sua vita e delle sue immagini“.
Questo studio collega le depressioni ricorrenti di Michelangelo alla realizzazione dei suoi grandi successi artistici.
“… Nessun lavoro artistico all’ultimo stadio o dopo il completamento sembra portare con sé quell’eccitazione che Michelangelo aveva avuto inizialmente. Così, un tono depressivo si inipone nell’immaginario delle fasi finali di molti dei suoi lavori. Nella sua scultura questa depressione si trasforma in mancanza di interesse, ciò contribuì al fatto che più di metà dei suoi lavori rimase incompiuto”.
Questa regola generale conduce ovviamente a complesse discussioni storico-artistiche riguardanti l’ordine cronologico scelto da Michelangelo per l’esecuzÌone di grandi progetti di pittura e scultura.
Come esempio fra i dipinti, si potrebbero nominare le lunette della Cappella Sistina sulla quale Michelangelo, con un tocco finale al suo grande sforzo durato 4 anni (1508-1512), aveva ritratto gli antenati di Cristo. Sicuramente, a confronto con gli splendidi affreschi del tetto, questi quattordici segmenti sulla genealogia di Cristo rivelano chiaramente un “crollo di energia”.
Si può dedurre anche da altre fonti che al tempo del completamento della Cappella Sistina nel 1512, Michelangelo era completamente esausto mentalmente, e soffriva di depressioni. In una lettera a suo padre in quello stesso mese scriveva: “Conduco un esistenza miserabile e non mi interessa ne la vita ne l’onore, che è di questo mondo; io vivo affaticato da lavori stupendi e pieno di migliaia di ansie. E così ho vissuto per quasi quindici anni senza avere mai avuto un’ora di felicità“.
Il fatto che Michelangelo considorasse questo senso di disperazione uno stato permanente fornisce un’ulteriore prova che stesse provando una vera depressione.
Tra le sculture di Michelangelo, Gli Schiavi Boboli illustrano il ruolo che le depressioni avevano giocato nella vita e nel lavoro di questo grande artista. Queste cinque sculture fanno parte di un enorme commissione per cui egli fu incaricato dal Papa Giulio II nel 1505: egli voleva costruire una tomba con quaranta statue di marmo sotto la cupola della nuova chiesa di S. Pietro che era in costruzione.
La Depressione di un Artista
Le sculture dei cinque schiavi negli anni 1522-1523, avrebbero dovuto infine, completare questo progetto. Tutte le cinque sculture (Lo schiavo morente, Lo sciiiavo ribelle, il gigante con la barba. II Gigante chiamato Atlante e il risveglio del Gigante) rimasero incompiute.
L’idea romantica che Michelangelo abbia fatto questo deliberatamente per mostrare la liberazione dello spirito dalla prigione terrestre, rappresentata dalla liberazione degli schiavi dal marmo in cui essi erano prigionieri, è sostenuta solo da alcuni esperti dell’arte del Rinascimento italiano.
La maggior parte di loro, compreso Liebert, cerca un spiegazione nella depressione di cui soffriva Michelangelo in quegli anni.
Secondo Liebert: “Ognuno degli Schiavi Boboli può essere visto come il ritratto del senso di stanchezza e di eterna schiavitù dello scultore per l’impossibilità di realizzazione del progetto della tomba di Giulio II“.
Michelangelo stesso la attribuì indirettamente al suo stato mentale in parecchie lettere conservate che risalgono a quel periodo, come quella scritta al suo amico Bartolomeo Angiolini, nella quale confida: “Io ho un grande compito da portare avanti, ma sono vecchio e malandato, di conseguenza, lavoro un giorno e devo fermarmene quattro“.
Fu vera Depressione?
Lo stato depressivo durante il quale Michelangelo scolpì le ultime statue per la tomba di Giulio II, oltre a lavorare alla cappella e alle tombe dei Medici, durò fino al 1525. Nell’aprile di quell’anno egli scrisse ancora ad un agente di Firenze: “Più non vivo la vita, meno lavoro“.
Un mese più tardi in un’altra lettera egli fa chiaramente riferimento alla diagnosi.
“Ieri sera il nostro amico, Capitano Cui, e tanti altri uomlnl mi hanno gentilmente invitato ad andare a cena con loro, ciò mi ha fatto molto piacere, poiché son venuto un po’ fuori dalla mia depressione, o piuttosto dalla mia ossessione. Non solo mi sono divertito alla cena, che è stata estremamente piacevole, ma anche, e molto di più di ciò, per i discorsi che sono stati tenuti”.
La depressione si ritrova in vari poemi di Michelangelo che hanno come tema centrale la morte.
Tutto ciò che nasce dovrà giungere alla morte, come il tempo vola, e nessun essere vivente può rimanere vicino al sole. La dolcezza si spegne lentamente e porta sofferenza. Ogni parola e ogni cervello, e la nostra antica stirpe. — Ogni cosa deve avere una fine… La morte a quest’età sarà la mia unica difesa. – Dal braccio crudele e dai dardi penetranti, causa di tante ferite, — La mia anima, che sta conversando con la Morte, poiché lei chiede consiglio all’altra, irretisce nuove impressioni ogni ora.
Specialmente gli ultimi anni della sua vita rimaneva assorto in tutti i tipi di pensieri sulla morte. Nel 1555 scrive: “Ritengo che non ci sia alcun pensiero in cui non compaia la morte”.
Inoltre soffriva di vari disturbi fisici. Si lamentava per la gotta ed era infastidito da calcoli al rene che gli causavano coliche di tanto in tanto. Nel 1557 svelò suo vecchio amico Leonardo a Roma: “Ho molti disturfisici che mi fanno percepire che la morte non è molto lontana“. Nonostante ciò, Michelangelo morì invece a metà febbraio del 1564, quasi a 89 anni.
Arte e Psichiatria
Molto spesso, la letteratura psichiatrica ha concentrato la sua attenzione su Michelangelo e sui suoi successi artistici.
A parte le sue depressioni, gran parte dell’attenzione fu data alla questione se effettivamente Michelangelo avesse tendenze omosessuali. Cesare Lombroso (1836-1909) pensava che le “anomalie psichiche” di Michelangelo potessero essere dovute alla sua irritabilità ed agli attacchi di paura, all’alternanza di comprensione e sospetto, alle sue paure patologiche ed ad una macabra malinconia.
Nella sua opera su Genie, Irrtum und Ruhm (Genio, Pazzia e Fama), Lange-Eichbaum riepilogò questa diagnosi ritraendo l’anista come “Depresso, fortemente schizoide, persona bionegativa con tracce paranoiche e tendenze omosessuali“.
Un noto rappresentante del gruppo di psichiatri che si sono occupati di Michelangelo non fu altri che Sigmund Freud.
Il suo interesse si concentrò interamente sulla grande scultura di Mosé che Michelangelo creò approssimativamente nel 1515 come parte della tomba di Giulio II.
“…nessuna scultura ha mai avuto un effetto così forte su di me!” scrisse Freud più tardi. Nel 1914, dopo anni di studi e molte visite alla Chiesa di S. Pietro, Freud pubblicò da anonimo il suo studio di Der Moses von Michelangelo (II Mosé di Michelangelo).
Solo nel 1924 quando fu pubblicata la sua Raccolta di Opere, venne fuori il nome dell’autore fra la sua cerchia di amici e colleghi più vicini.
La nuova interpretazione della scultura di Mosé fornita da Freud nel suo studio impone ammirazione. In nessana parte del suo lavoro, tuttavia, l’autore esamina la psiche dello scultore, la cui vita ed i cui sentimenti più intimi non vengono presi in considerazione.
Il totale incanto di Freud davanti alla scultura di Mosé, e l’indifferenza agli aspetti psicologici profondi, fornì probabilmente la prova più lampante della qualità artistica di Michelangelo.
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