Il problema della digitalizzazione della Sanità pubblica in Italia, procede di pari passo con la più estesa questione della digitalizzazione della Pubblica Amministrazione. Con il termine, piuttosto vago in realtà, di “Sanità Digitale” si intendono tutti quegli interventi condivisi dalle Amministrazioni operanti a livello centrale, regionale e locale volti a promuovere l’innovazione digitale dei processi sanitari, clinici ed amministrativi.
Secondo le direttive dell’Agenzia per l’Italia Digitale le principali aree di sviluppo dovrebbero essere:
- Fascicolo sanitario elettronico: ovvero lo strumento tecnologico attraverso il quale ogni cittadino dovrebbe riuscire a tracciare, consultare e condividere la propria storia sanitaria.
- Centro Unico di Prenotazione (CUP) digitale: ovvero la possibilità di centralizzare e trasportare online le prenotazioni delle prestazioni sanitarie.
- Telemedicina: tutto l’insieme dei servizi che possono migliorare la fruibilità delle cure, dei servizi di diagnosi, di terapia e della consulenza medica a distanza, con la possibilità del monitoraggio di parametri clinici.
- Tessere Sanitaria: lo strumento, auspicabilmente dematerializzabile, che abilita all’accesso delle prestazioni sanitarie erogate dal SSN su tutto il territorio nazionale e dell’UE.
- Ricette Digitali (Dematerializzate): sostituzione delle prescrizioni farmaceutiche e specialistiche cartacee con quelle digitali.
- Dematerializzazione dei Referti Medici e Cartelle Cliniche digitali: creazione di un flusso di documenti digitali aventi pieno valore giuridico che porterà alla sostituzione di tutti gli equivalenti cartacei.
E’ evidente che quest’opportunità di tipo prevalentemente amministrativo potrebbe avere, se adeguatamente costruita, delle grosse ripercussioni positive negli ambiti clinici e di ricerca.
Provate ad immaginare l’enorme mole di dati clinici che potrebbero, rapidamente ed a costo zero, essere resi disponibili ai centri sanitari del territorio per lo studio di nuove linee guida basate sulle evidenze, sperimentazioni cliniche di nuovi farmaci e di nuove procedure. Questo processo potrebbe decentrare, con conseguenze positive inaspettate a mio parere, la ricerca dalle Università al “Mondo Reale” con nuove possibilità di contaminazioni tra il mondo accademico “classico”, sempre più obsoleto ed inutile, e la pratica clinica quotidiana.
Nonostante queste premesse interessanti il patto, ormai famoso agli addetti ai lavori, risalente al 2014 di “creare una prima regia nazionale per lo sviluppo di servizi digitali e innovativi in Sanità” non è stato ancora realizzato e, cosa ancora più grave a mio parere, tutte le conseguenze rivoluzionarie che potrebbe avere in grembo non sono state ancora pienamente comprese dai professionisti delle Aziende Sanitarie e dai loro Dirigenti.
Entro pochi anni la scusa che “non tutta la popolazione ha le competenze per approcciarsi ad una Sanità (ma anche ad una pubblica amministrazione) totalmente digitale” non sarà più utilizzabile come alibi alla scarsità degli investimenti e al loro spreco da parte di dirigenti incompetenti.
Ma ci potrebbe essere molto di più, dato che i servizi digitali in sanità pubblica permetterebbero realmente di curare meglio e con maggiore efficienza i pazienti, in particolar modo quelli cronici che sono già ora circa il 70 per cento della spesa del SSN, grazie a piattaforme di sensori sulle cose, internet delle cose e video collegamenti con i medici, com’è già comune in altri Paesi europei. Andate a vedere, a titolo di esempio, cosa pensa Bill Gates della gestione nel prossimo futuro della Demenza e della mole di investimenti che sta già facendo in quest’ambito.
Inoltre la disposizione della classe medica e delle professioni sanitarie (infermieri, OSS, psicologi, amministrativi, etc.) è già ad oggi estremamente propensa al digitale: secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano, il 52% degli specialisti e il 39% dei MMG utilizzano App per consultare informazioni e linee guida, e rispettivamente il 45% e il 32% per leggere articoli scientifici, case report, etc. Il 42% degli specialisti e il 53% dei MMG utilizzano già, di fatto, app come WhatsApp o simili per comunicare con i propri pazienti, anche se, ovviamente, con modalità ufficiose e non certificate.
Quindi le 3 aree di lavoro di qualsiasi professionista della Sanità pubblica,ovvero Formazione, Ricerca e Pratica Clinica, sono ormai mature per essere digitalizzate con le conseguenze positive e rivoluzionarie che, si spera, tutti conosciamo.
Di fatto, per il passato 2016, solo la Cartella Clinica Elettronica rappresenta il principale ambito su cui le Aziende sanitarie italiane allocano la quota più rilevante di risorse economiche, ovvero 58 milioni di euro, seguito dai cosiddetti sistemi di “Disaster Recovery” e continuità operativa, circa 40 milioni di euro. Per gli altri ambiti descritti dall’Agenzia per l’Italia Digitale, al momento ci sono poche tracce.
La necessità di investire nella Sanità Digitale: più soldi ma anche spesi meglio
In realtà il problema principale, che tutti iniziano a sospettare, è la necessità impellente di competenze “ibride”, sanitarie e digitali, indispensabili a chi dirige e governa l’area della sanità per evitare di sprecare gli investimenti che arriveranno. Perché il rischio c’è, e la storia recente ne è già testimone, che i soldi che verranno stanziati per la rivoluzione digitale in Sanità Pubblica potranno, per molti anni, essere investiti in tecnologie ed in procedure di bassa qualità.
Pensateci bene, quanti medici, dirigenti di struttura e capi dipartimento possiedono le competenze tecniche per riuscire a governare la digitalizzazione della Sanità? La vecchia manfrina che questi responsabili sanitari dovranno utilizzare dei “tecnici” che li supporteranno nelle scelte è storia vecchia: la storia recente della politica e della pubblica amministrazione in generale ci ha ormai insegnato che competenze di dirigenza e competenze tecniche devono coesistere in chi opera le scelte gestionali, altrimenti i risultati perdono in efficenze ed efficacia, con la conseguenza di sprecare soldi.
I dati ci indicano che i servizi sanitari digitali sviluppati “male” sono poco utilizzati dai cittadini e dai medici, sempre secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano.
E badate bene che a mancare non è l’interesse per il digitale, anzi. Le stime indicano che i cittadini ed i medici sono sempre più interessati all’uso del digitale nei servizi sanitari. Per esempio, il 51% degli italiani ha utilizzato almeno un servizio online in ambito sanitario nel 2016, contro il 49% del 2015.
Ma questo lo sapeva anche mia Zia, come si dice, dato che è sotto gli occhi di tutti il sempre maggiore utilizzo di dispositivi mobili, del web e la sempre maggiore fiducia e l’affidamento delle persone ai servizi digitali in generali (banche online, acquisti, etc.).
Secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano, l’anno scorso sono stati spesi complessivamente 1,27 miliardi di euro (1,1% della spesa sanitaria pubblica, 21 euro per abitante) per la digitalizzazione della Sanità italiana, già il 5% in meno rispetto al 2015, per lo più rivolti ad aspetti di natura amministrativa (niente Telemedicina, tanto per capirci…). Ma se non si avranno investimenti di qualità la spesa potrebbe diminuire ulteriormente con la conseguenza di rallentare un processo che non potrà non esserci, ma che sarà semplicemente in ritardo.
Le conseguenze di questo ritardo, ed è qui che la gente ed i professionisti peccano di conoscenza, avrà sicuramente ripercussioni notevolissime sulla Salute Pubblica. Non in senso teorico o astratto, ma proprio sulla possibilità concreta di cure cliniche efficaci ed accessibili a tutti.
Le aziende sanitarie si dovrebbero collocare lungo un percorso, che prevederà 5 livelli di maturità e che dovrebbe permettere di passare da un modello “Traditional Healthcare System”, senza procedure di telemedicina, nel quale i processi non sono informatizzati e lo scambio di dati e informazioni avviene solo attraverso documenti cartacei, ad un modello finale di “Smart Healthcare System”, ovvero caratterizzato dalla completa digitalizzazione dei processi e dei documenti, da procedure di telemedicina e dalla presenza di sistemi “intelligenti”, gestiti da intelligenza artificiale che permetteranno di migliorare le cura e l’assistenza ai pazienti.
Lasciatemi solo finire sottolineando che, ad oggi, la maturità in questo senso e l’eccellenza digitale appartiene perlopiù a piattaforme tipo Amazon, Facebook e Google, mentre in Sanità ci stiamo accontentando di molto, ma molto, di meno. Questo dovrebbe far pensare sia i cittadini che i professionisti del settore, e spingerci a non accettare delle soluzioni approssimate ed inefficienti, dato che il valore di una nazione si valuta anche dalla qualità della gestione della salute pubblica.
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