È già presente su questo blog un articolo che riguarda il rapporto tra Psichiatria ed Intelligenza Artificiale, e in questo articolo ho pensato di fare una breve riflessione sui rapporti tra medicina ed intelligenza artificiale, dato che è ormai diverso tempo che mi dedico allo studio dell’intelligenza artificiale, delle reti neurali e del deep learning e del loro rapporto con la nostra mente, con la possibilità di comprenderla meglio, di aiutarci a curarla e, addirittura, di rimpiazzarla per alcune sue funzioni specifiche.
Spesso la gente mi chiede perché mi dedico con tanta energia ed entusiasmo ad un campo che in apparenza non è cosí affine alla psichiatria, in particolar modo ai suoi aspetti clinici e concreti. In realtà questo breve articolo proverà a spiegare che non sarà solo la psichiatria a beneficiare di questa tecnologia, ma tutta la medicina. E, probabilmente, in tempi molto rapidi.
Quando penso all’intelligenza artificiale e provo a comunicare il mio entusiasmo ad altre persone mi arriva sempre alla mente un esempio storico, ovvero quello del volo e della storia dei fratelli Wright. Nel 1905, su di una spiaggia ventosa, c’era un bizzarro congegno fatto di assi di legno, tela ed un motore rudimentale che diede inizio all’era del volo per tutta l’umanità. Il primo aeroplano della storia. Quel momento pionieristico mi ricorda tanto lo stato attuale delle sviluppo dell’intelligenza artificiale.
Ricordate cosa accadde solo 50 anni dopo quel primo, rudimentale, volo? Quello che accadde fu che il primo Boeing 707 decollò con successo da un aeroporto dando il via all’aviazione di linea come noi la conosciamo oggi.
Ora credo che qualche cosa del genere, in termini di rapidità evolutiva e di impatto sulla nostra Società, riguarderà anche l’intelligenza artificiale ed in questa mia riflessione voglio spingermi ad ipotizzare, in generale, quali conseguenze tutto questo avrà sulla medicina, sulla psichiatria e le neuroscienze.
Partiamo da una domanda fondamentale: perchè l’uomo sta investendo cosí tanta ricerca e denaro per sviluppare un Intelligenza Artificiale?
La risposta in verità è tanto semplice quanto provocatoria: la nostra intelligenza, rispetto al mondo come si sta configurando, ha dei limiti in termini di velocità, efficenza e precisione, quindi l’uomo si dedica all’intelligenza artificiale per riuscire a fare meglio tutte quelle cose sulle quali abbiamo delle aspettative davvero molto elevate.
Volete un esempio? Bene, quello che vi voglio portare a titolo paradigmatico è proprio quello della medicina.
Non è forse vero che le persone, al giorno d’oggi, hanno aspettative davvero elevate rispetto alla possibilità di guarire da malattie e, in generale, di recuperare le funzioni che un disturbo fisico o mentale può farci perdere?
In questi ultimi anni, proprio con il crescere degli avanzamenti delle tecnologie biomediche, delle tecnologie farmaceutiche, dei trattamenti fisici e della protesica, si sta assistendo ad un paradosso, ovvero che le persone non sembrano essere così soddisfatte dai medici e dalla medicina, perché si aspettano sempre di più, ovvero pretendono la guarigione e non sono più disposte a confrontarsi con i limiti del fattore umano. Questo non lo affermo io ma sono dati di dominio pubblico.
Inoltre la popolazione mondiale tollera sempre meno le “normali” imprecisioni e gli errori che i sanitari, inevitabilmente e proprio per la loro natura umana, fanno. Il gran numero di denunce a carico del personale sanitario e la nascita della cosiddetta medicina difensiva lo testimoniano.
Gli esseri umani sbagliano e spesso non sono in grado di valutare tutte le variabili di un caso clinico con la dovuta precisione. Avete mai sentito quando un medico o un infermiere sono stanchi o hanno sbagliato o manifestano delle reazioni emotive, esclamare: “non sono mica un robot!”. Ecco, mi riferisco proprio a questo.
Come vedete, quasi senza accorgercene, siamo proprio tutti noi, a chiedere a gran voce nuove forme di intelligenza più prestazionali e perfette.
Gli esempi in questo senso si sprecano: dagli errori umani fatti su automezzi o sugli aerei, all’esecuzione di compiti ripetitivi ma complessi, alla gestione dei nostri averi, all’erogazione di servizi, alla necessità di avere risposte precise e personalizzate ai nostri problemi giorno e notte… sono mille gli esempi verso i quali tutti noi abbiamo delle aspettative sempre più elevate e, di fatto, sempre “meno umane”.
Quindi il “perché” la medicina sarà tra i primi campi del sapere umano che verranno stravolti da questa nuova tecnologia credo che lo abbiate capito.
Il punto è adesso il “come”, ovvero in che maniera l’intelligenza artificiale farà il suo ingresso nella Medicina?
Vi voglio parlare di un piccolo fatto di cronaca avvenuto in Cina, che a me ha molto colpito.
Vi voglio parlare del Dr. Xiaoyi.
Il Dr. Xiaoyi si potrebbe considerare, secondo la narrazione fatta su molte riviste del settore, un giovane medico cinese decisamente brillante, dato che nel 2017 ha superato l’esame di abilitazione all’esercizio della professione medica con una brillantissima votazione.
Quello che senz’altro sorprende è che il Dr. Xiaoyi non è un medico in carne e ossa bensì un sistema di intelligenza artificiale prodotto dalla iFlytech Co., che risulta essere il primo medico non umano nella storia a possedere una formale autorizzazione ad effettuare diagnosi e terapia.
Questo sistema avrà inizialmente il compito di adiuvare i medici nella loro professione, scaricandoli da alcune pressioni e responsabilità, ma nel futuro si pensa di affidare a questo sistema la gestione della sanità di un paese sterminato con pochissimi medici, in particolar modo nelle aree rurali.
Ma come riescono i sistemi di intelligenza artificiale a diagnosticare una malattia e ad impostare una terapia? Sono diverse le caratteristiche che rendono questi sistemi molto affidabili, più degli esseri umani. In primo luogo la loro capacità di analizzare grandi quantità di dati in poco tempo: questi software vengono addestrati inserendo nei loro database i risultati degli esami, i sintomi e i risultati delle terapia di migliaia e migliaia di pazienti sia sani sia ammalati. In questo modo il software, estremamente preciso nel catalogare i dati, impara a riconoscere gli schemi di ragionamento connessi alla malattia e nel tempo riesce a perfezionare un algoritmo di ragionamento clinico.
Inoltre la possibilità di accedere e di utilizzare tutte le principali linee guida permette di fondere lo stato dell’arte di tutte le conoscenze con una pratica clinica che rischia di diventare assolutamente più precisa ed affidabile di quella gestita da soli esseri umani. La profilazione di un paziente con dati che provengano dalle sue cartelle cliniche matchati con quelli che provengono da migliaia di altri pazienti, così come l’analisi dei dati che potranno arrivare dalla sensoristica indossabile e ambientale, consentirà l’elaborazione di una cura personalizzata riducendo anche il rischio clinico e l’impiego di risorse non necessarie.
Ma non solo, i dati potranno essere utilizzati anche per un’analisi prospettica, perchè il machine learning consentirà di conoscere sempre meglio una popolazione e supporterà il medico nella fase decisionale come nessun’altra risorsa può fare. Tutti vantaggi molto, molto interessanti.
L’oncologia e le malattie infettive sono, al momento, i primi ambiti della medicina che si stanno organizzando in questa maniera ma, visto il gran numero di investitori e di start up che stanno arrivando, è facile immaginare che le cose cambieranno presto per tutta la medicina, psichiatria inclusa.
A questo punto l’altra domanda che può sorgere spontanea è: in questo contesto a cosa serviranno gli esseri umani?
La risposta a questa domanda è ancora una volta piuttosto semplice: gli umani servono a fornire un contributo creativo e relazionale, due cose, due funzioni che le macchine, per adesso, fanno ancora molto male.
Infatti essere creativi ed immaginosi è ancora alla base dei reali avanzamenti in campo medico, mentre le competenze relazionali, ovvero saper entrare in contatto empatico ed emotivo con il paziente, dovrebbero essere la vera caratteristica che nessuna macchina potrà mai eseguire meglio di un umano.
Creatività e competenza relazionale, ecco cosa spetterà a noi umani ancora per molto tempo.
Ma volete sapere una cosa? A me l’idea di essere affiancato nella diagnosi e nella terapia da un sistema di intelligenza artificiale, non disturba più di tanto, anche perché io, come psichiatra, sono molto affezionato alle mie competenze creative e relazionali e non ho mai avuto l’arroganza di pensare di essere infallibile rispetto alle mie conoscenze ed alla mia possibilità di applicarle nella pratica clinica quotidiana.
Forse, come ho già detto, sono le aspettative della nostra società a mettere addosso ad ognuno di noi che non e più possibile sbagliare, mai, neppure se dietro c’é tutta la nostra buona volontà, la buona fede e tutto l’impegno che possediamo.
E allora ecco che toccherà alle macchine provare ad essere perfette. Ripeto, siamo tutti noi, da un certo punto di vista a chiederlo.
Infine vi dico che posso accettare di avere delle performance di diagnosi e terapia non perfette come una macchina ma sono senz’altro orgoglioso di tutte quelle mie caratteristiche umane, analogiche, e meravigliosamente imperfettte che possono veicolare, supportare e rendere accettabile la cura in una persona, ovvero la mi creatività, la mia empatia e la mia umanità che, per un po di tempo ancora, forse non cosi tanto quanto vorrei, non saranno sostituibili da una macchina.
Un consiglio finale: se volete leggere uno dei migliori libri divulgativi sull’Intelligenza Artificiale ed i suoi impatti sulla nostra Società, medicina, psichiatria e psicologia, allora vi consiglio “Vita 3.0” di Max Tegmark. Potete acquistarlo al miglior prezzo su Amazon.it:
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La robottizzazione della Medicina in termini di rapporto tra il cosiddetto Paziente e Medico la considero una fantomatica ipotesi e drammatica eventuale realtà, alla stregua di officina meccanica dove si smontano e rimontano pezzi meccanici inerti, senza coscienza e senza reattività ma soprattutto senza sensibilità percettiva e privi di universo psico-emozionale oltre che psichico in assenza di matrice storico-antropologica con qualcosa come 6 milioni di anni già vissuti e superati in modo drammatico attraverso una filogenesi tanto casuale quanto ricca in termini di Evoluzione fisica e culturale. La Medicina è tutt’altro che un fatto tecnico e tecnologico. È una dimensione umanistica molto prima che un tentativo di scienza probabilistica. Le cosiddette malattie non sono entità discrete, quantificabili e comprensibili con algoritmi per quanto complessi essi possano essere. I numeri in medicina rappresentano flebili riferimenti indicativi, surnatanti di realtà complesse aperte ed interagenti costantemente con l’ambiente in senso lato, a comporre un mosaico multifattoriale ridondante non così prevedibile e predicibile. L’ipotesi e l’aspirazione velleitaria di una Medicina mediata dalla robotica intelligente rappresenta il miope riduzionionismo dualistico di cartesiana memoria, purtroppo attuale vizio di gran parte della Medicina moderna che non risolve ma limita gli effetti. La vita media si è allungata ma la qualità è peggiorata. Semplicemente si campa di più, si sopravvive. Occorre un ribaltamento del paradigma vigente attraverso una nuova Cultura Medico-scientifica, meno “macchinata” e molto più umanizzata che non tratti la malattia ma “curi” la persona. In quest caso i robot li possiamo al massimo utilizzarli per fare le punture nei glutei ma sicuramente non per decidere quali sono i problemi di chi soffre e tantomeno per decidere o condizionare scelte terapeutiche. Dr Federico Meynardi.