Questa é tutt’altro che una domanda banale che, nelle sue dimensioni più profonde, potrebbe mettere in difficoltà più di un professionista della Salute Mentale che decidesse di dare una risposta autorevole.
Molto semplicemente potremmo dire che la psicofarmacologia rappresenta il tentativo dell’essere umano di modificare il modo in cui si sente attraverso l’assunzione di sostanze provenienti dall’ambiente in cui si trova.
Come potrete appurare leggendo l’articolo che tratta della Storia della Psicofarmacologia, sempre su questo blog, l’uomo ha sempre tentato di reperire alimenti o sostanze che permettessero di modificare il proprio stato psicofisico. Inizialmente si trattava di cibi particolari, in seguito ha scoperto le prime sostanze psicoattive sotto forma di droghe (alcol, cannabis ed oppio in primis).
Approfondendo questa prima definizione, semplice ma non banale, si può affermare che la psicofarmacologia è quella disciplina, contenuta negli ambiti della psichiatria e delle neuroscienze, che studia l’azione dei farmaci a livello del tessuto del Sistema Nervoso Centrale e le relative conseguenze sui meccanismi mentali e sul comportamento.
Possiamo dire che la psicofarmacologia, nelle sue radici profonde, rappresenta l’evoluzione delle prime sperimentazioni empiriche dell’uomo con le sostanze o gli alimenti presenti nell’ambiente, più o meno processate in varie maniere, abbinata al metodo scientifico per lo studio dei loro effetti clinici (trials clinici randomizzati) ed alle tecniche di sintesi di nuove sostanze per migliorare la specificità dell’azione e minimizzare gli effetti non desiderati.
Ma come si può definire uno psicofarmaco? Una definizione piuttosto precisa utilizzata in ambito specialistico indica come “sostanza psicoattiva” ogni composto chimico esogeno che, di norma, non sarebbe necessario per il normale funzionamento cellulare, e che può alterare significativamente le funzioni di alcune cellule dei tessuti del sistema nervoso centrale quando assunto con un dosaggio relativamente basso.
Il primo uso del termine psicofarmacologia per descrivere lo studio degli effetti di alcune classi di farmaci sulle funzioni mentali e sulle malattie psichiatriche fu nel 1957, quando fu fondata la prima società internazionale per la neuropsicofarmacologia, il Collegium Internationale Psychopharmacologicum (CINP). La British Association for Psychopharmacology (BAP) è stata fondata diversi anni dopo, nel 1974.
Da questi primi anni di sviluppo della psicofarmacologia enormi sono stati i progressi della medicina e della biochimica, nella comprensione dei disturbi psichiatrici e decine di nuovi farmaci per i disturbi psichiatrici hanno drammaticamente fatto avanzare il campo della psicofarmacologia in un arco di tempo di circa 40 anni. In realtà tutto porta a pensare che la maggior parte delle scoperte in psicofarmacologia avverrà nei prossimi anni a venire, e questo rende estremamente stimolante lo studio e la ricerca in quest’area della psichiatria e delle neuroscienze.
Tutto porta a ritenere che la psicofarmacologia si miscelerà in maniera intensiva con altre discipline scientifiche tra cui le applicazioni dell’Intelligenza Artificiale per lo studio di nuove molecole, il rendering al computer per la sintesi di queste nuove molecole e tecniche avanzate di neuroimaging a livello molecolare per gettare le basi per nuove categorie di psicofarmaci.
Infine è importante ricordare come molte delle teorie della moderna psichiatria biologica sono state sviluppate dalle conoscenza dei meccanismi di azione dei farmaci psicotropi. In effetti, in psichiatria come in altre discipline mediche, si è osservato il fenomeno della Serendipity, ovvero della “fortuna di fare felici scoperte per puro caso”, e solo in seguito siamo venuti a conoscenza delle fondamenta fisiopatologiche dei disturbi psichiatrici. La scoperta che la reserpina, che può causare depressione come effetto collaterale, esaurendo a livello del tessuto nervoso i neuromediatori noradrenalina e dopamina, ha contribuito all’ipotesi delle monoamine nella genesi dei disturbi affettivi. La deduzione di Carlsson e Linquist che gli antipsicotici funzionano in gran parte bloccando i recettori per la dopamina li ha portati a proporre l’ipotesi dopaminergica sulla schizofrenia. Nel 2000 Arvid Carlsson, proprio per queste sue ricerche, è stato insignito del premio Nobel per la medicina.
Lo sviluppo di nuovi trattamenti efficaci, sulla base non solo del fenomeno della serendipity ma anche tramite l’utilizzo delle nuove tecnologie di modellazione di molecole al computer e dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale, potrebbe generare un’esplosione di interesse verso le basi fisiopatologiche delle malattie mentali in un’area tradizionalmente troppo complessa e poco studiata, nonché fondi per ulteriori indagini.
Nel 1964, Donald Klein a New York dimostrò che il panico era una malattia distinta dalle altre forme di ansia e trattabile con l’imipramina; questa distinzione fu riconosciuta nel 1980 dall’inclusione del disturbo di panico nel DSM-III. La scoperta sorprendente che la fluvoxamina SSRI è efficace nel disturbo di panico (Den Boer & Westenberg, 1988), e anche nel disturbo ossessivo-compulsivo, ha focalizzato l’attenzione sul ruolo della serotonina nell’ansia e ha stimolato ulteriori ricerche in queste aree. Quindi la psicofarmacologia ha permesso, sotto una certa prospettiva, di fare luce sulle basi biologiche delle patologie psichiatriche.
Come sempre, se volete approfondire questi argomenti inerenti la psicofarmacologia, mi permetto di consigliarvi uno dei più belli ed intuitivi tra i trattati al riguardo, ovvero il libro di Stephen M. Stahl “Psicofarmacologia Essenziale” che trovate al miglior prezzo su questo collegamento ad Amazon:
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