L’era moderna del trattamento farmacologico in psichiatria è iniziata poco più di mezzo secolo fa con la scoperta, nel 1948, da parte di John Cade, in Australia, dell’uso del litio nel trattamento della mania (Mitchell et al, 1999) e di alcuni scienziati francesi nel 1952 sull’uso di una fenotiazina sintetica, la clorpromazina, come antipsicotico.
Tuttavia, molte lezioni e spunti di riflessione possono essere appresi sul significato della psicofarmacologia dalla storia della psichiatria in generale; inoltre, l’uso del trattamento psicofarmacologico dovrebbe essere sempre calato nel contesto dei moderni approcci psicologici e psicoterapici contemporanei e dei servizi psichiatrici. “A History of Psychiatry” (1997) di Edward Shorter ed il lavoro di ricerca di Porter (1997) possono fornire molti dettagli aggiuntivi a quanto ritroverete su questo sito.
La Psichiatria e le sue terapie nei tempi antichi
Molti crani fossili neolitici preistorici mostrano prove di trapanazione, che è stata effettuata in tempi antichi su pazienti vivi molto probabilmente per allontanare spiriti maligni, per alleviare fratture craniche, mal di testa, convulsioni o pazzia. L’utilizzo di una tecnica così arcaica deve essere stato spesso fatale, ma alcuni teschi mostrano segni di guarigione, indicativi di sopravvivenza.
Sappiamo poco di quali altri rimedi disperati siano stati tentati dall’uomo dell’età della pietra, poiché la medicina erboristica ha iniziato la sua evoluzione proprio a quel tempo con modalità inizialmente azzardate. Il papavero da oppio è un’antica pianta medicinale, inclusa tra i 700 rimedi presenti nel papiro di Ebers del 1550 aC circa in Egitto.
Ippocrate (460-377 aC) nella Grecia antica azzardò l’idea che la malattia non fosse una conseguenza della punizione degli dei ed ebbe l’intuizione che l’epilessia potesse essere collegata alla funzione cerebrale. Inoltre altre grandi intuizione di Ippocrate furono quella di iniziare il concetto di privacy e dell’etica nella professione medica: con il giuramento che più tardi ha preso il suo nome si ribadisce l’importanza di mantenere la riservatezza delle informazioni comunicate dai pazienti e di evitare le relazioni sessuali con loro.
I testi ippocratici propongono la nozione di quattro umori (inclusa la bile nera della malinconia, ovvero della Depressione), secondo cui la malattia sarebbe risultata da uno squilibrio di questi. Questo schema esplicativo (ulteriormente elaborato da Galeno, un greco del primo secolo dC) sopravvisse fino al XIX secolo. Mania, melanconia e paranoia erano categorie importanti nella medicina greca. Tuttavia, è molto difficile mettere in relazione antichi racconti di malattia o anche quelli risalenti a cento anni fa alle loro controparti nei moderni sistemi diagnostici per poter ottenere informazioni circa antichi casi clinici.
In generale, parlando di psicofarmacologia di queste ere, molti pochi devono essere stati i rimedi efficaci per le psicopatologie che potevano affliggere le persone di queste ere antiche.
Il Medio Evo
I “pazzi” erano, all’epoca, sotto la responsabilità della loro famiglia o della comunità di appartenenza e potevano essere allontanati nei boschi o in altri luoghi, cagionandone spesso la morte. La malattia mentale nel Medio Evo era ampiamente considerata come afflizione spirituale associata alla stregoneria o al possesso da parte del Diavolo. Le istituzioni religiose svilupparono una tradizione di cura per i matti assolutamente bizzarra e crudele e si potrebbe dire che alcune forme di esorcismo dell’epoca avevano la valenza di uno ‘Shock’ culturale che si propaga ancora adesso tra le persone.
Anche in questi anni non si possono ritrovare dei trattamenti per le psicopatologie che potremmo definire “curativi” secondo l’accezione moderna del termine; molte erbe e sostanze stupefacenti vennero utilizzate per alcuni pazienti dell’epoca ma, verosimilmente, con modalità sbagliate anche quando avrebbero potuto avere delle possibilità di successo.
Il Rinascimento e la Riforma
Il filosofo e anti-psichiatra francese Foucault (1926-1984) scrisse parecchio al riguardo dell’alienazione e della pazzia in questi periodi, nonostante la base storica e culturale di molte sue affermazioni rappresentassero dei notevoli bias, il suo pensiero ha contribuito a gettare le basi per un approccio ed un trattamento corretto ai disturbi psichiatrici.
Nel 17 ° secolo, la “pazzia” cominciò a essere considerata uno dei problemi sanitari e di ordine pubblico delle città. Furono sviluppati luoghi di reclusione che raggruppavano i poveri e i disoccupati con criminali e pazzi allo scopo di attuare un controllo sociale.
Le “Poor Laws” del 1572 e del 1601, considerate le fondamenta del moderno stato sociale, resero le circoscrizioni locali responsabili dell’elezione dei sorveglianti per fornire soccorso ai malati e lavorare per i poveri ipoodotati mentalmente, nelle case di lavoro. Un atto del 1670 diede un crescente senso di dovere di assistenza, unito all’idea che il lavoro fosse la cura per l’ozio e la povertà. All’interno di tali luoghi, quando i pazzi divennero pericolosi, le loro collere venivano trattate con contenzioni meccaniche, catene di ferro, polsini e barre, portando appunto Foucault a concludere che i malati di mente erano trattati come animali o bestie feroci.
Gli Asylum (“Manicomi”) e la Terapia Morale
La storia della psichiatria moderna è iniziata con i cosidetti “Asylum” ovvero centri di custodia, in Italia chiamati “Manicomi“, per confinare individui affetti da patologia psichiatrica, furiosi o pericolosi.
La scoperta che l’istituzione stessa potrebbe avere una funzione terapeutica ha portato alla nascita della psichiatria come specializzazione medica, proprio in questi anni.
Questa nozione, ancora oggi valida, può essere fatta risalire alla fine del XVIII secolo a clinici sparsi per il mondo come William Battie (St Luke’s Hospital), Chiarugi (Firenze) e Pinel (Parigi) e anche a personaggi laici come William Tuke, un commerciante di tè quacchero che fondò il “Retreat” a New York
In particolare, Pinel (alla Salpêtrière per le donne e il Bicêtre per gli uomini), ha anticipato diverse tendenze, abolendo l’uso di catene di contenimento e riconoscendo un gruppo di pazienti lunatici curabili (principalmente affetti da depressione o mania senza sintomi psicotici), per i quali un approccio più umanitario avrebbe potuto essere terapeutico.
Il termine “psichiatria” fu usato per la prima volta da Reil, un professore di medicina in Germania, nel 1808 per descrivere la disciplina in evoluzione, ma i suoi praticanti rimasero noti per molti anni come alienisti (poichè si occupavano di alienazione mentale) fino al XX secolo.
Durante il diciottesimo secolo c’era stato un crescente interesse per la follia in tutta Europa; in Gran Bretagna, in particolare, i pazzi furono consegnati a case di cura private private, che divennero un grosso business.
Nel 1788, il re Giorgio III soffrì di una malattia mentale per la quale alla fine ricevette l’attenzione di Francis Willis, un medico rinomato per il suo sguardo penetrante e la sua maestria nella relazione, oltre che per aver attuato grosse scoperte al riguardo dell’anatomia del sistema nervoso centrale; le implicazioni costituzionali di questo evento furono considerevoli, e successivamente alla guarigione del Re il Parlamento istituì un comitato per indagare su questo e sulle cure dei malati di mente in generale.
I manicomi terapeutici sorti nel XIX secolo avevano in comune una routine di lavoro e di attività, e un approccio da parte dello staff racchiuso nel termine “terapia morale”: “a mildness of manner and expression, an attention to their narrative and seeming acquiescence in its truth “(Haslam, Bedlam); “La voce rassicurante dell’amicizia” (Burrows, Londra); “encouraging esteem… conducive to a salutary habit of self-restraint” (Samuel Tuke, York)
È stata apprezzata anche in questi anni l’architettura edificante come forma di terapia, così come l’accesso alla luce solare e l’opportunità di lavorare all’aria aperta.
Molte di queste istituzioni avevano direttori carismatici e impiegati che potevano permettersi e vantarsi di non “punire corporalmente” i pazienti a scopo di terapia.
Reil (1803) descrisse le qualità di un buon psichiatra come “perspicacia, talento per l’osservazione, intelligenza, buona volontà, perseveranza, pazienza, esperienza, un fisico imponente e un aspetto che suscita il rispetto” (vedi Shorter, 1997). All’epoca la maggior parte dei trattamenti fisici a loro disposizione erano costituiti da: purganti, clisteri, salassi (sostenuti ad esempio per la mania da Benjamin Rush, il padre fondatore della medicina americana) ed emetici, volti a tirare fuori sostanze irritanti nervose (catarsi, un termine usato per la prima volta da Aristotele per descrivere l’uscita delle emozioni del pubblico nel teatro greco a scopo di terapia di gruppo).
Durante il diciannovesimo secolo il confinamento dei pazienti in un manicomio è passato da una procedura insolita nata da una grave necessità, alla prima risposta delle società nel trattare la malattia mentale. I manicomi, in conseguenza di queste teorie, furono costruiti su vasta scala mentre i politici rispondevano alle richieste dei primi entusiasti medici.
Sfortunatamente, poichè i medici non avevano trattamenti efficaci, i manicomi erano destinati ad accumulare pazienti sempre più incurabili, lasciando il personale sopraffatto, demoralizzato e con convinzione insufficienti a sostenere il loro approccio morale, con una conseguente deriva di violenza e di aberrazione.
La situazione dell’epoca venne esacerbata in particolare da un aumento del numero di persone con malattie mentali, soprattutto in conseguenza della neurosifilide e dell’alcolismo, e dalla crescente riluttanza delle famiglie nella società industrializzata a tollerare la pazzia.
Nel 1894 il neurologo americano Silas Weir Mitchell disse ai medici dei Manicomi che avevano perso il contatto con il resto della medicina e che i loro trattamenti erano “una finzione”, una bugia. Sono questi gli anni nei quali nacquero, a ragione, i primi movimenti antipsichiatrici nel mondo anglosassone ed in Europa. In Gran Bretagna, oltre all’Ospedale Maudsley, aperto nel 1923 per l’insegnamento e la ricerca e per il trattamento di pazienti recentemente malati, la psichiatria manicomiale rimase praticamente separata dal resto della medicina fino agli anni ’30.
La Psichiatria Accademica
Nel corso dell’Ottocento molti sviluppi si verificarono nei centri accademici, in particolare in Germania, dove le nuove tecniche di neuroanatomia (Wernicke), istologia (Meynert) e patologia (Alzheimer) furono portate in centri dove anche l’osservazione e la descrizione dei fenomeni psicoaptologici più gravi erano in corso.
Griesinger scrisse un libro molto influente (1861) sull’argomento e si sforzò di collegare la psichiatria con la medicina generale. La visione di Griesinger era che “le malattie psicologiche sono malattie del cervello”. Una prospettiva davvero rivoluzionaria per l’epoca.
Le vecchie teorie umorali, di derivazione ippocratica, cominciarono ad essere sostituite da nuove idee sulla connessione tra malattia mentale e funzione cerebrale, suggerendo la possibilità di curarle una volta riconosciuta la lesione del sistema nervoso che le poteva sostenere.
Il perseguimento di questi collegamenti ebbe successo per neurosifilide, il cretinismo e la demenza. Nel 1900, grazie a questi successi, i centri accademici tedeschi avevano stabilito un modello per la psichiatria da insegnare insieme alla medicina.
Ma nonostante questi sviluppi biologici e neuroscientifici, la scena fu monopolizzata a lungo dall’ascesa della nuova ideologia della psicoanalisi e dalle grandi promesse che essa suggeriva.
Di sicuro al volgere del secolo XX molti importanti clinici ritenevano che la malattia psichiatrica fosse in gran parte inguaribile, e quindi si dedicarono alla ricerca piuttosto che alla cura del paziente. Un esempio fu Kraepelin il quale aveva concluso che la malattia mentale doveva essere definita dalla sua prognosi piuttosto che dalla sua causa, e che le scienze del cervello erano ancora troppo premature per fornire una comprensione della malattia mentale.
Questa linea di pensiero ha annullato per molti anni la premessa che l’entusiasmo per la ricerca è un segno distintivo di una migliore assistenza clinica; inoltre, non è stata in grado di riconoscere che i trattamenti migliori possono essere sviluppati senza una conoscenza perfetta dell’eziologia a condizione che si mantenga la fiducia che la malattia abbia una base biologica.
Wernicke tentò di collegare i sintomi psichiatrici alla localizzazione del cervello; sebbene abbia avuto successo per l’afasia e le aree del linguaggio, questo approccio ha portato a un confuso tentativo di classificazione che Karl Jaspers ha descritto in seguito come “mitologia del cervello”. Inoltre, l’atteggiamento di molti clinici fu influenzato dalla dottrina della degenerazione promulgata da Morel (1857) e dal sessuologo ante litteram Krafft-Ebing (1879), secondo il quale la grave malattia mentale rappresenta l’azione dei processi ereditari che progrediscono nel corso delle generazioni e costituisce un minaccia alla società.
In Francia, l’enfasi eccessiva di Charcot (1825-93) sull’isteria espresse l’idea, rivoluzionaria e piena di speranze per l’epoca, che il comportamento di una malattia può produrre i sintomi che il dottore intende trattare, attraverso il meccanismo della suggestionabilità.
Nella prima metà del 20 ° secolo, la psichiatria americana divenne dominata dalle idee di Adolf Meyer (Johns Hopkins University) che diede più valore agli studi anamnestici, alle indagini mediche ed alla storia clinica rispetto allo studio del migliore trattamento. Inoltre, gli psichiatri accademici iniziarono a dedicare maggiore attenzione alle condizioni mentali meno gravi incontrate al di fuori del manicomio, poiché più facilmente curabili con gli strumenti dell’epoca. Quali erano questi presidi farmacologici? Oppio, paraldeide, tinture, cocaina, shock insulinici,cannabis, bromuro ed altre sostanze di dubbio o non facile utilizzo, alla luce delle moderne acquisizioni della psicofarmacologia.
Una voce notevole, fuori dal coro, che conservava l’entusiasmo per la ricerca di trattamenti migliori era quella di Thomas Clouston, a Edimburgo, il cui libro di testo (1896) denunciava chiaramente le carenze dei trattamenti fisici disponibili e la speranza di trattamenti migliori.
Piante Medicinali, Droghe ed Alcaloidi
Dioscordes (57aC), il chirurgo di Nerone, compilò un primo elenco di medicine, tra cui quasi 500 derivate dalle piante, che diede il via in maniera embrionale alla farmacologia. In realtà Paracelso (nato nel 1493, Svizzera) è considerato il nonno della farmacologia; lui insegnava che ogni droga (o pianta) doveva essere usata da sola, che la chimica era la scienza per produrre medicine, e che solo la dose rende una cosa un farmaco o, al contrario, un veleno.
Le piante con usi medicinali che interessano la mente hanno da sempre compreso: Papaver somniferum (papavero, oppio e morfina), Elleboro (veratrum), Rauwolfia serpentina (reserpina), Solanacea henbane (hyoscine), Atropa belladona (atropina), Cannabis (THC) e Hypericum perforatum (iperico, iperico alcaloidi).
Nel corso dei secoli gli utilizzi delle piante vennero affinati, ad esempio la valeriana officianalis (acido valerianico) venne utilizzata per l’insonnia, come la Passiflora e la camomilla (Chamaemilum nobile, Matricaria recutita). La radice di Kava (Piper methysticum) delle isole del Pacifico meridionale ha almeno 15 ingredienti chimici ed effetti che includono il rilassamento e la sedazione. Il Gingko biloba può aiutare la demenza; il luppolo (per la birra) peggiora la depressione.
Nel 1896, Clouston descrisse che la Cannabis veniva usata in combinazione con bromuro di potassio come trattamento per l’eccitazione maniacale. Le piante sono sempre state difficili da identificare, sebbene la classificazione introdotta da Linneo (1707-78) abbia contribuito a questo.
Nella loro forma naturale le medicine derivate dalle piante mancavano di purezza e variavano in concentrazione del principio attivo; erano quindi pericolosi da somministrare, con il rischio di overdose
Le tecniche chimiche del XIX secolo consentirono di estrarre, purificare e identificare gli ingredienti alcaloidi attivi. La morfina fu isolata nel 1806 (Serturner, Germania) e usata per via orale e (con l’introduzione della siringa ipodermica dal medico scozzese Alexander Wood nel 1855) mediante iniezione sottocutanea come sedativo, fino a quando ci si rese conto di quanto fosse facile la dipendenza. Il giusquiano e successivamente la hyoscine (isolati nel 1880) furono usati per calmare i pazienti agitati e maniacali, così come l’atropina. Rawolfia serpentina fu usata in India più di 2 000 anni fa per la Oonmaad (follia). La reserpina fu isolata da essa nel 1953, sintetizzata e introdotta come antipsicotico nel 1954; ha fornito informazioni preziose sul ruolo della dopamina, della noradrenalina e della setononina (5-HT) nel cervello e sui meccanismi delle azioni antidepressive del farmaco.
Il veratrum era la fonte dei moderni antagonisti del calcio, alcuni dei quali possono avere proprietà antimaniche. È stato recentemente confermato che l’erba di San Giovanni ha un’attività antidepressiva ei suoi ingredienti (ipericina e iperforina) condividono proprietà biochimiche con i moderni inibitori del reuptake della monoammina e agonisti 5-HT.
L’eroina (diacetilmorfina) è stata sintetizzata nei laboratori Bayer nel 1896 e promossa come rimedio per la tosse e per molti altri malanni dal marketing dell’epoca. Il suo nome è nato perché si diceva che gli operai delle fabbriche si sentissero eroici. All’incirca in quel periodo i chimici di Bayer (Hoffmann e Eichengrun ebreo, il cui nome fu successivamente omesso dalla storia “ufficiale”) stavano creando l’aspirina; lo fecero con acido acetilsante salicilico, il principio attivo del mirto, della corteccia di prateria e del salice; fu quindi prodotto un farmaco più stabile e meno amaro. Tale fu il successo di Bayer nel ricavare somme ingenti dalla guarigione di malattie comuni che al trattato di Versailles, gli alleati espropriarono il marchio di Bayer – e con esso l’aspirina – come parte delle riparazioni della Prima Guerra Mondiale. Solo negli anni ’70 Vane scoprì le azioni dell’aspirina che bloccava la produzione di prostaglandine; questo è stato il lavoro per il quale ha ricevuto un premio Nobel e che ha portato a ulteriori usi per l’aspirina, compreso l’ictus.
Il fisiologo francese Claude Bernard aveva previsto che alcuni farmaci (come il curaro del veleno della freccia sudamericana) potevano essere usati come bisturi fisiologici per sezionare i meccanismi della neuro-trasmissione. Questo si è dimostrato profetico riguardo alle teorie biochimiche della depressione e della schizofrenia, che derivano dalla conoscenza del meccanismo d’azione degli antidepressivi e degli antipsicotici, e le idee di Bernard hanno anticipato la ricerca di farmaci con azioni selettive su particolari recettori.
Sedativi, Anticonvulsivanti ed i primi Psicofarmaci
La sintesi da parte dei chimici, in particolare in Germania, di farmaci sedativi nel 19 ° secolo, ha dato il via alla moderna industria farmaceutica. Il Chloral (1832) composto da cloralio, sintetizzato da von Liebig (il fondatore della chimica organica), è risultato essere un sedativo (1869) ed è stato prodotto dalla divisione farmaceutica formata da Bayer (1888). È diventato ampiamente usato in psichiatria, sebbene molto facile all’abuso e alla dipendenza; ci sono stati anche casi di morte improvvisa per il cloralio (vedi gli studi di storia della psicofarmacologia di Shorter, 1997).
La paraldeide fu introdotta in medicina sin dal 1882 e usata come anticonvulsivante e sedativa, essendo considerata relativamente sicura, sebbene sgradevole.
I sali di bromuro furono prodotti dai chimici francesi nel XIX secolo, si rivelarono potenti sedativi. Nel 1857 Locock (Londra) riferì l’uso del bromuro di potassio nell’epilessia e nell’isteria; i bromuri divennero popolari e rimasero in uso come alternative economiche al cloralio per la sedazione fino agli anni ’40. A dosi più elevate producono il bromismo, uno stato confusionale tossico, meravigliosamente descritto dall’esperienza personale di Evelyn Waugh (1957). McLeod ha utilizzato alte dosi di bromuri per indurre lunghi periodi di sonno profondo in pazienti con mania, con risultati dichiaratamente buoni.
L’acido barbiturico (i cosiddetti barbiturici) fu sintetizzato per la prima volta nel 1864 ma il suo primo utile derivato ipnotico e anticonvulsivante, l’acido dietil babiturico (‘Veronal‘) fu prodotto molto più tardi, nel 1904. Seguirono molti altri barbiturici, incluso il fenobarbitale. Questi farmaci inducevano il sonno e l’agitazione sollevata; hanno anche aperto la strada alla terapia del sonno profondo o alla narcosi prolungata. I pazienti sarebbero indotti a dormire per 16 ore al giorno per diversi giorni, con brevi intervalli di veglia per mangiare e bere. Sebbene ampiamente utilizzato e molto apprezzato dagli staff dell’epoca, l’efficacia a lungo termine e la sicurezza di questo trattamento non venne mai dimostrata in uno studio controllato. Il trattamento con barbiturici comportava anche un rischio significativo di depressione respiratoria e cardiovascolare, polmonite e morte.
L’uso successivo di benzodiazepine, negli anni ’60, per la sedazione prolungata era più sicuro. Il primo vero farmaco ansiolitico, il clordiazepossido (nome commerciale “Librium“) fu introdotta nel 1961. Il Valium (diazepam) divenne il farmaco più comunemente prescritto al mondo in pochi anni dalla sua commercializzazione per la combinazione di un’alta efficacia nei confronti dell’ansia mista ad un elevatissimo pericolo di dipendenza.
Bisogna ammettere con molta onestà che il rischio di dipendenza dalle dosi terapeutiche di benzodiazepine non è stato ampiamente riconosciuto fino al 1981. Una grande colpa della classe medica e dei ricercatori é stato l’aver sottovalutato il potenziale di pericolosità di farmaci, gli ansiolitici, che sono parsi a torto molto sicuri. I sedativi furono ampiamente usati, in tempo di guerra, per assistere la catarsi o l’abreazione nelle vittime dello “shock da granata” in particolare nella prima guerra mondiale.
Il Problema della Precisione Diagnostica
Una diagnosi accurata diventa sempre più importante man mano che vengono scoperti trattamenti che sono specificamente efficaci in particolari condizioni di malattia; questo è il punto importante che ha riguardato la psichiatria scientifica del ‘900.
C’è una tendenza nota al sovrautilizzo o all’uso indiscriminato ogni qualvolta viene scoperto un nuovo trattamento. Ciò si è verificato, ad esempio, negli Stati Uniti con il disturbo bipolare dopo l’introduzione del litio. Quando Baldessarini (1970) ha confrontato la frequenza della malattia affettiva e della schizofrenia in pazienti dimessi dall’ospedale prima e dopo l’introduzione del litio, è stato notato un pattern reciproco, con diagnosi sempre più frequenti di malattia bipolare e diminuzione della frequenza della schizofrenia. Gli studi al riguardo tendono anche a dare responsabilità di questo fenomeno di malpratica medica anche alle leggi del marketing, che prendono le loro basi proprio nel ‘900.
Con il passare dei decenni, l’accettazione generale di sistemi diagnostici basati su criteri condivisi, in particolare il Manuale Diagnostico e Statistico dell’American Psychiatric Association (DSM), che nella sua edizione del 1980, ha introdotto una maggiore affidabilità diagnostica.
In un altro senso, giusto a titolo esemplificativo di un fenomeno positivo sul piano clinico, in questa stessa edizione la definizione di disturbo dell’umore bipolare è stata ampliata per includere i pazienti con caratteristiche psicotiche incongrue all’umore, che in precedenza sarebbero stati considerati come affetti da disturbo schizoaffettivo o schizofrenia. Pertanto, la disponibilità di litio e l’uso più ampio dei sistemi diagnostici standard hanno portato i pazienti a ricevere una diagnosi più appropriata di disturbo bipolare che in precedenza avrebbe potuto essere diagnosticata con schizofrenia, almeno negli Stati Uniti.
Litio e Stabilizzatori dell’Umore
John Cade in Australia stava studiando gli effetti dell’iniettare le urine di pazienti maniacali in porcellini d’India, quando notò l’effetto calmante del litio (come il suo sale di acido urico).
Decise di iniettare litio in pazienti psicotici e scoprì l’effetto del litio nella mania. Fu altrettanto importante il contributo di Mogens Schou, uno psichiatra accademico di Aarhus, in Danimarca, per confermare questo in un trial clinico controllato.
L’efficacia profilattica del litio nella malattia maniaco-depressiva fu stabilita nel 1968. Così, a partire dal 1950 circa, gli psichiatri smisero di somministrare ai loro pazienti la sedazione chimica in varie forme (ad esempio bromuro) ed iniziarono a somministrare il litio con risultati entusiasmanti e grande sicurezza clinica. L’anticonvulsivante carbamazepina è stata inizialmente riconosciuta come utile nei pazienti bipolari da Okuma et al. (Giappone). Indipendentemente, Post e Ballenger supposero che alcuni anticonvulsivanti potessero essere utili prevenendo l’innesco dell’eccitabilità elettrica nelle aree limbiche del cervello. Un rapporto clinico di importanza storica di Bowden et al (1994) ha dimostrato l’efficacia dell’acido valproico, un’altro anticonvulsivante, sempre nella mania.
Antiistaminici, Clorpromazina ed Antipsicotici
Trascorse più di un quarto di secolo tra la descrizione delle azioni cliniche dell’istamina di Dale e Laidlaw e la scoperta del primo antistaminico clinicamente utile nel 1942.
Alla fine degli anni ’40 i produttori di farmaci erano in una sorta di frenesia per sintetizzare nuovi antistaminici. Tuttavia, benché sedativi, questi farmaci non erano poi cosí vantaggiosi nella schizofrenia ed in altre psicopatologie. La possibilità di sintetizzare nuovi farmaci che agiscono sul sistema nervoso fu rafforzata nel 1949 quando Paton e Zaimis a Londra descrissero una serie di composti basati sull’ammonio quaternario (correlato all’acetilcolina), che comprendeva un ganglio autonomo bloccante (esametonio) e uno scheletrico depolarizzante rilassante muscolare (decametonio): conseguenza di questi studi sugli antiistaminici fu la sintesi della clorpromazina.
La cloropromazina è stata sintetizzata in Francia come variante di un antistaminico, la prometazina. A seguito della descrizione dei suoi effetti in anestesia da parte di Laborit (1951), gli psichiatri Delay e Deniker riportarono i suoi effetti nella psicosi, calmando i pazienti senza sedazione profonda e alleviando i sintomi psicotici in sole poche settimane. L’uso di questo farmaco si diffuse rapidamente, dando inizio a una rivoluzione psicofarmacologica; molte altre fenotiazine da allora sono state sintetizzate.
Nel 1958 il genio creativo di Paul Janssen, clinico e chimico belga, portò all’introduzione dell’aloperidolo, un butirrofenone con proprietà antipsicotiche.
Questo era stato sintetizzato come una variante della molecola di petidina e si è osservato che si opponeva agli effetti delle anfetamine negli animali. Il fatto che le anfetamine fossero associate a reazioni psicotiche nei ciclisti, che le stavano prendendo per migliorare le loro prestazioni, portò Janssen a studiare gli effetti dell’aloperidolo nella schizofrenia e nella mania. L’insorgenza di effetti collaterali neurologici (parkinsoniani) indicava che questi farmaci influenzavano i neuroni, e il nome neurolettico (cattura i neuroni) era usato per descriverli; il termine “antipsicotico” è ora preferito. Successivamente, sarebbero stati sviluppati nuovi farmaci per evitare questi effetti collaterali (gli antipsicotici atipici).
I farmaci antipsicotici hanno consentito a molti pazienti di essere dimessi dagli ospedali psichiatrici o, addirittura, di evitare il ricovero in ospedale. Il numero di pazienti ricoverati con schizofrenia diminuì rapidamente, dell’80% tra il 1955 e il 1988.
Questo nuovo corso in psichiatria ha continuato una leggera tendenza al ribasso che si era verificata negli anni ’40 quando le idee della psichiatria sociale e comunitaria offrivano alternative all’assistenza ospedaliera, come i Centri Diurni e la terapia di gruppo.
I primi farmaci long-acting, ovvero le forme iniettabili a lento rilascio di farmaci antipsicotici, furono la flufenazina enantato (“Moditen”) e il decanoato (“Modecate”), ambedue introdotti nel 1968 e stimolarono lo sviluppo di servizi infermieristici psichiatrici comunitari, in cui gli infermieri che davano iniezioni divennero keyworker per i pazienti con psicosi fuori dall’ospedale .
Un ulteriore passo avanti fu la dimostrazione in uno studio controllato di Kane et al (1988) che la clozapina era efficace nella schizofrenia che era stata resistente a tutti gli altri tipi di antipsicotici.
La clozapina era stata studiata dal 1960 ed era stata inizialmente respinta a causa dei suoi numerosi effetti collaterali (inclusa l’agranulocitosi), ma la conferma del suo valore in pazienti resistenti al trattamento ha stimolato la ricerca di altri farmaci migliori. Tra questi risperidone è stato sviluppato (e commercializzato dal 1993) perché era noto condividere con la clozapina la capacità di bloccare potentemente gli effetti sia della dopamina che della 5-HT, dando il via alla produzione di nuovi antipsicotici cosiddetti “atipici” o di “seconda generazione”; olanzapina e quetiapina sono molecole anch’esse simili in queste azioni farmacologiche e sono state sviluppate a causa della loro somiglianza strutturale con la clozapina.
Imipramina ed altri antidepressivi
Anche l’imipramina è stata sintetizzata (a Geigy, in Svizzera) come antistaminico, ed è stata provata clinicamente dapprima sulla schizofrenia, con scarsi risultati.
I suoi effetti attivanti hanno portato Ronald Kuhn a darlo a pazienti depressi.: nel 1958 riferì i suoi effetti incredibili in alcuni pazienti con depressione, annunciando così la nascita degli antidepressivi triciclici.
Un altro gruppo di antidepressivi, gli inibitori delle monoaminossidasi, si è evoluto dalla terapia antitubercolare. Iproniazide – a differenza dell’isoniazide – era privo di effetti antibiotici ma migliorava l’umore dei pazienti con tubercolosi. Iproniazid (introdotto nel 1957) fu inizialmente chiamato energizzante psichico, in seguito un antidepressivo.
La scoperta che entrambe le classi di antidepressivi agivano per migliorare la trasmissione di noradrenalina e serotonina (5-HT) ha portato a strategie per lo sviluppo di farmaci mirati specificamente a quei neurotrasmettitori. Il primo degli inibitori selettivi del reuptake 5-HT (SSRI) era la zimelidina, sviluppata sotto la guida di Arvid Carlsson e lanciata da Astra (Svezia) nel 1981, ma presto ritirata a causa di rari effetti collaterali tossici-allergici (sindrome di Guillain-Barré ) e “sintomi simili all’influenza”. In seguito è giunta ha la fluvoxamina.
L’SSRI di maggiore successo, la fluoxetina (“Prozac“), fu approvato nel 1987. Questo farmaco catturò l’immaginazione pubblica forse più di ogni altro farmaco psicotropico. Molti libri sono stati scritti al riguardo, principalmente lodando, ma alcuni anche denigrandolo e ponendo quesiti angoscianti. Il suo enorme successo finanziario continua a stimolare le aziende farmaceutiche a sviluppare migliori farmaci psicotropi.
La storia degli Psicofarmaci, riassunta per date:
1831 Atropine isolated
1857 Bromides synthesised
1869 Chloral as sedative
1880 Hyoscine isolated
1882 Paraldehyde
1903 Barbiturates (‘Veronal’)
1917 Malaria for neurosyphilis
1930 Insulin coma for schizophrenia
1935 Amphetamine (narcolepsy)
1938 Phenytoin introduced, electroconvulsive therapy 1942 Antihistamines
1948 Lithium in mania (Cade)
1949 Hexamethonium and decamethonium (Paton and Zaimis)
1952 Chlorpromazine (Delay and Deniker) 1954 Lithium (Schou)
1957 Iproniazid, psychic energiser – MAOIs
1958 Haloperidol (Janssen), imipramine (Kuhn): TCAs, MARIs.
1961 Chlordiazepoxide: benzodiazepines
1968 Depot antipsychotic injections: ’Modecate’
1968 Lithium prophylaxis
1973 Carbamazepine in mania
1982 Zimelidine: SSRIs
1987 Fluoxetine (‘Prozac’) approved
1988 Clozapine: Kane et al
1988 SSRIs in panic disorder
1993 Risperidone: new atypical antipsychotics
1994 Valproate in mania (Bowden et al)
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