La psicofarmacologia è un’area della medicina molto peculiare: sebbene abbia diversi decenni di sviluppo e di ricerca, allo stesso modo di altre discipline, l’opinione di molti esperti è che al momento ci si stia limitando a scalfire la superficie di un mondo di conoscenze assolutamente vasto, se paragonato ad altre specialità mediche. Questo è motivato da molte recenti acquisizioni che pongono il problema della comprensione e la cura della malattie mentali in stretto rapporto con altre discipline come l’immunologia, l’endocrinologia e la microbiologia (in rapporto alla disciplina della psicobiotica, ovvero dei rapporti tra il cervello ed il microbioma).
Nel corso dei primi anni del nuovo millennio sono due le grandi notizie al riguardo del futuro di questa disciplina, e ambedue provengono dal mondo del business e del marketing: (1) Quasi tutti i maggiori colossi farmaceutici hanno ridotto i budget e lo staff del settore ricerca e sviluppo per le discipline del Sistema Nervoso Centrale, in relazione alla grossa difficoltà di attuare ricerca in accordo alle logiche aziendali. (2) L’uscita dal campo della ricerca delle grandi aziende farmaceutiche ha aperto un oceano di nuove possibilità per i piccoli player, ovvero spin-off accademici e start-up che possono essere più agili e portati a rischiare in un ambito che potrebbe diventare la next-big-thing dell’industria farmaceutica come è avvenuto in passato.
La notizia (1), quella brutta, e la (2), quella bella, in realtà rappresentano semplicemente una nuova prospettiva della scienza che domina ormai in ogni campo, non solo nell’ambito biomedico, ovvero le piccole realtà (spesso piccoli gruppi di ricercatori indipendenti) sono destinate ad osare mentre i grandi colossi della ricerca farmaceutica, sono destinati, eventualmente a finanziare e/o rilevare a caro prezzo eventuali progetti che diano risultati promettenti.
Infatti questo fenomeno di marketing si è verificato nonostante il fatto che i disturbi mentali non sono solo comuni in tutto il mondo (addirittura in lieve costante ascesa), ma anche sempre più riconosciuti dai sistemi sanitari che sono disposti sempre di più a finanziarne le cure per il bene delle nazioni.
In secondo luogo, nonostante tutti i progressi degli ultimi 50 anni, vi è di sicuro un’ampia necessità terapeutica insoddisfatta, il che significa che molte persone con disturbi mentali rimangono sintomatiche e spesso in condizione di disabilità nonostante l’indubbia efficacia di buona parte dei trattamenti esistenti. Questo riguarda, in particolare, la schizofrenia e le gravi forme del disturbo bipolare, ma non solo; per alcune condizioni significativamente disabilitanti, come i deficit sociali derivanti dell’autismo la ricerca non ha ottenuto quasi nessun avanzamento. Poiché i disturbi mentali sono molto diffusi e la nostra capacità di trattarli rimane limitata, queste malattie causano un onere enorme per la società. In totale, questo genere di patologie rimangono la principale causa di disabilità al mondo. In parole povere ci sono tutte le premesse etiche ed economiche per investire tempo, denaro e risorse umane nella psicofarmacologia.
La necessità di un cambio di paradigma nella ricerca in psicofarmacologia
Osservato il futuro dell’aspetto economico dello sviluppo di nuove terapie psicofarmacologiche, viene da chiedersi quale potranno essere le nuove vie della ricerca che potranno sostenere queste eventuali innovazioni.
Un esempio di questo nuovo corso di ricerca è il progetto BRAIN® del National Institute of Health degli USA. L’iniziativa Brain Research through Advancing Innovative Neurotechnologies® (BRAIN®) è nata con l’esplicito scopo di rivoluzionare la nostra comprensione del cervello umano mediante un cambio di paradigma rispetto alla precedente ricerca psicofarmacologica.
Accelerando lo sviluppo e l’applicazione di tecnologie innovative (Intelligenza Artificiale e neuroimaging di nuova generazione), i ricercatori dovrebbero essere in grado di definire una nuova immagine dinamica e rivoluzionaria del cervello che, per la prima volta, mostra come le singole cellule e i circuiti neurali complessi interagiscano nel tempo e nello spazio.
Questo ingente finanziamento ibrido privato-statale, è stato proposto da tempo dai ricercatori per perseguire nuovi modi per trattare, curare e persino prevenire i disturbi cerebrali, in particolar modo psichiatrici; questo progetto si propone in primis di colmare le grandi lacune nelle nostre attuali conoscenze e offrirà opportunità senza precedenti per esplorare esattamente come il cervello consente al corpo umano di registrare, elaborare, utilizzare, conservare e recupera grandi quantità di informazioni, e di come il resto dell’organismo reagisce di conseguenza.
Parallelamente una grossa parte delle nostre speranze è che la genetica si svilupperà nei prossimi anni anche nell’ambito delle neuroscienze, grazie agli sforzi di grandi consorzi internazionali formati per reclutare e studiare pazienti. Mentre gli indizi genetici si accumulano, gli scienziati stanno escogitando nuovi modi per indagare le loro funzioni neurobiologiche e le loro disfunzioni. In questo caso si uscirebbe dal paradigma classico di ricerca del farmaco per entrare, ad esempio, in quello di utilizzare le tecnologie delle cellule staminali per integrare l’uso di neuroni umani ingegnerizzati in animali da laboratorio. L’ingegneria genetica potrebbe quindi essere utilizzata per aggiungere mutazioni che generano le alterazioni neuronali tipiche di alcune psicopatologie e, in seguito, tentare di riconvertirle in cellule “sane”.
Infine sempre più evidenze scientifiche indicano che nuovi farmaci per la terapia dei disturbi psichiatrici potrebbero avere dei target extra neurali, come ad esempio il sistema immunitario, quello ormonale o il microbioma. Alcuni neuroormoni sono già in fase di studio clinico in alcune piccole realtà di ricerca (spin-off e start-up in tutto il mondo) e nuovi composti sono in fase di preparazione. Per ulteriori informazioni vi consigliamo di prendere visione di una lunga lista dei nuovi farmaci in fase di studio destinati a curare le psicopatologie.
Ci sembra opportuno concludere affermando che, in realtà, c’è ancora molto lavoro connesso all’ottimizzazione delle attuali terapie psicofarmacologiche, sia di vecchia che di nuova generazione, che molto probabilmente possono ancora fornire enorme aiuto alla psichiatria contemporanea nell’attesa dell’arrivo di nuove generazioni di farmaci destinati a rivoluzionare la psicofarmacologia come oggi la conosciamo.
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