Lo avete notato anche voi? Da ormai diversi anni la parola “depressione” ha completamente sostituito la parola “tristezza” nel linguaggio comune. Questa curiosa sostituzione terminologica riguarda ogni età ed ogni classe sociale nel momento in cui un individuo deve descrivere una condizione del proprio animo che sia riconducibile ad una reazione negativa rispetto ad un evento spiacevole.
Ho già affrontato in un altro articolo la differenza che c’è tra tristezza e depressione, ma in questo caso vorrei parlare con voi del perchè, in molti casi, sia molto piú facile ed interessante descriversi come persone depresse piuttosto che persone tristi.
Il primo punto di rilievo, sul piano del significato dei due termini, è che la parola “tristezza” si riferisce ad uno stato d’animo mentre la parola “depressione” indica una patologia psichiatrica, ovvero una malattia. A questo punto la domanda potrebbe essere: perché le persone tendono a negare l’esistenza di uno stato d’animo tramutandolo in una malattia?
Oltre all’ovvia volontà di utilizzare un espressione iperbolica per dare maggior forza e drammaticità, captando così maggiormente l’attenzione dell’interlocutore (come vi spiego in questo articolo), c’è di sicuro qualche cos’altro al di sotto…
La nostra Società, sempre di più, ci sta allontanando dalla possibilità di farci carico autonomamente e responsabilmente della nostra vita. In questa maniera saremo sempre costretti a risolvere le nostre difficoltà in termini di consulenza tecnica e di aiuto specialistico.
Sto parlando di un più o meno esplicito tentativo di attribuire ad altri o ad “altro” le cause le ragioni e le conseguenze delle nostre scelte. Una malattia, da un punto di vista fatalistico e magico, è qualche cosa che subiamo e per la quale non siamo responsabili.
In qualche maniera ci stiamo sempre più allontanando dalla possibilità di essere adulti, nel senso di autonomi ed identificati, per ricadere in una sorta di dipendenza da figure d’aiuto verso le quali tendiamo ad avere condotte di abuso e di dipendenza.
…Sono depresso? Allora ho bisogno di un farmaco, di uno psichiatra, di una psicoterapia, di uno psicologo…
Ed ecco che questi presidi di aiuto, indispensabili quando presenti condizioni di vera patologia, possono trasformarsi in interventi inappropriati, che minacciano il nostro libero arbitrio, la nostra possibilità di guidare la nostra vita e l’opportunità di crescere.
Oltre a non avere alcuna indicazione ed utilità ogni qual volta si parla di “tristezza” ovvero di una condizione umana non sanitaria, presente sin dall’inizio dei tempi.
Ci tengo a ribadire il fatto che un intervento di cura possa essere inappropriato sia che si parli di assumere un farmaco, sia che ci si riferisca all’esposizione ad una psicoterapia poichè, dal mio punto di vista, non ci sono tutte queste differenze: sia un farmaco che una terapia possono essere allo stesso modo inutili o dannose.
Infine lasciatemi dire che confondere “tristezza” e “depressione”, ovvero il medicalizzare e lo psicologizzare ogni ambito di difficoltà della nostra vita, potrebbe avere come conseguenza una netta compromissione della nostra evoluzione come esseri umani e provocare un danno alla nostra resilienza.
Perché, quindi, nessuno usa piú la parola “Tristezza” ma tutti usano la parola “Depressione”?Perché è più comodo, perché ci porta a delegare ad altri la ricerca della nostra felicità, perché ci scarica dalle nostre responsabilità rispetto al nostro benessere mentale e perché ci inserisce in un mercato dell’aiuto specialistico (inappropriato ogni qual volta che non ci sono condizioni sanitarie autentiche) dove, in estrema sintesi, possiamo immaginare di comprare la nostra opportunità di essere felici invece di farcene carico come esseri senzienti in grado di sviluppare delle strategie autonome.
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Leggo sempre i suoi articoli con interesse e questo non fa eccezione .In seguito ad una forma violentissima di mononucleosi all età di 24 anni ho sviluppato sindrome da fatica cronica e negli ultimi anni una ipersonnia crescente fino alla diagnosi nel 2016 di ipersonnia idiopatica . Andavo in palestra tre volte la settimana e avevo due lavori . Ora a fatica lavoro da casa e non riesco nemmeno ad uscire per una cena al ristorante . Vado a letto alle nove di sera e l attività fisica peggiora i sintomi . Eppure non mi definisco depresso , anche se la tristezza purtroppo fa parte dei momenti in non riesco a fare nemmeno le cose “normali” per gli altri . Grazie per i suoi articoli che spingono ad interrogarci su noi stessi e sul significato della vita . Una frase che mi è piaciuta e “le cose belle insegnano ad amare la vita , quelle brutte a saperla vivere .” .
Grazie a te! La tua testimonianza è splendida! Un abbraccio…