È molto frequente sentire affermare, forse più in passato che ai giorni nostri, di un romanzo o di un film che sia stato scritto in stile psicoanalitico. Ma che cosa significa questa espressione e in che cosa una narrazione fantastica differisce da un’altra più classica o più genericamente orientata a dimensioni psicologiche più superficiali?
Ovviamente la risposta che proverò a dare con questa mia riflessione sarà piuttosto acerba e tutt’altro che definitiva, ma sarebbe interessante iniziare una discussione che potrebbe dare frutti interessanti soprattutto se a contribuire saranno persone più competenti di me.
La Psicoanalisi e la Narrazione
La Psicoanalisi è ormai un elemento di cultura del ‘900 di dominio pubblico. Essa si basa sul principio rivoluzionario che la nostra attività psichica è prevalentemente inconscia, vale a dire che il nostro modo di sentire, di pensare, di godere, di pensare, in una parola di vivere, è fortemente influenzato da un deposito di memorie, di emozioni e di vissuti che operano dentro di noi senza che ne siamo consapevoli.
La reale novità della psicoanalisi è proprio questa: la scoperta dell’attività dinamica di contenuti inconsci.
Da qui l’importanza dell’esplorazione di questi elementi, specie nei casi in cui un atteggiamento conflittuale, nevrotico potremmo dire, dell’individuo, fa supporre che vi sia un conflitto profondo “rimosso”, ossia mantenuto lontano dalla consapevolezza ma dolorosamente attivo nelle sue manifestazioni esteriori, che possono essere non solo una sofferenza astratta, spirituale, ma anche concretamente biologica e relazionale.
In psicoanalisi, dunque, bisognerà andare a scoprire la causa inconscia, ovvero nascosta, di una data sofferenza per poterla guarire.
Per penetrare nell’inconscio ci sono diverse strategie, tutte però basate sul principio che ognuno di noi lascia trasparire ciò che é sepolto dentro la nostra psiche per mezzo di un’attività incontrollata, inconsapevole: un errore nel parlare, una svista, un discorso a vanvera, un sogno strampalato, un associazione bizzarra tra elementi in apparenza poco affini.
L’attività di un analista, cosí come di uno psicoterapeuta ad indirizzo psicodinamico (psicoanalitico), sarà quella di interpretare, di studiare e di indagare tutti questi elementi che affiorano apparentemente in maniera casuale, per fornire loro senso, disponendoli secondo una narrazione comprensibile al paziente, che possa essere accettata da lui.
Tutto questo, come potete ben comprendere, ha molta affinità con alcuni tipi di narrazione e con alcuni tipi specifici di generi narrativi.
La Psicoanalisi nel processo di produzione del racconto fantastico
Per prima cosa, ma solo per liberarci subito da un argomento marginale, è necessario ribadire come molti termini psicanalitici sono passati ormai nel linguaggio comune, e tutto il ‘900 ha contribuito a questo trasferimento terminologico costante, man mano che la conoscenza e la pratica della psicoanalisi si diffondeva.
Ad esempio la parola “inconscio” rappresenta un patrimonio di significato diffusissimo, e spesso poco chiaro nelle sue dimensioni più complesse, allo stesso modo di altri termini particolari come “rimozione”, “complesso”, “resistenza”, “proiezione”, “libido”, “transfert” e molti altri.
Tutto questo ha senz’altro contribuito sul piano di significato, molte storie del ‘900 e continua a farlo in questi anni 2000, ma bisogna provare a cercare influenze più sostanziali e profonde del pensiero psicoanalitico sul modo di raccontare le storie degli esseri umani contemporanei.
La cosa principale, sempre rimanendo nel campo dei rapporti “esterni”, mi sembra che l’avvenuto consolidamento della psicoanalisi, ha sicuramente contribuito a sostenere il continuo crescente interesse per le scienze psicologiche in generale, in modo tale che molti scrittori e sceneggiatori sono stati invogliati all’introspezione, a scavare nell’interno dei loro personaggi, a seguire gli sviluppi e le conseguenze psicologiche delle loro azioni.
In linea generale si potrebbe obiettare che Dostoevskij, il fondatore del romanzo psicologico moderno, precedette Freud, però è indubitabile che né Proust, né Joyce, né Stephen King e neppure Chuck Palahniuk avrebbero spinto tanto a fondo le loro analisi psicologiche se non fossero vissuti in un ambiente culturale straordinariamente attento ai fenomeni psicodinamici, e questo grazie all’attività del Dr. Freud.
A mio parere, a titolo di esempio, né Proust, né Joyce o Gadda o altri, sebbene dotati di meravigliosa attività introspettiva, possono essere considerati dei reali autori psicoanalitici; sebbene producano spesso profili di personaggi nevrotici, e riecheggino qua e là vari motivi freudiani, rimangono sostanzialmente nel campo della letteratura psicologica tradizionale.
Possono essere senza dubbio oggetto di studio psicoanalitico, questo si, mo non li considererei autori influenzati più di tanto dalla psicoanalisi.
Ad esempio “La Coscienza di Zeno”, di Italo Svevo del 1923, è una produzione letteraria che definirei completamente psicoanalitica, forse la prima italiana, sia dal punto di vista della forma che del contenuto: steso come il rapporto di un paziente al suo analista, è un mirabile ritratto di un nevrotico velleitario ed inibito, dove gli apporti di Freud sono tenuti ben presenti anche se la spinta all’ironia (lo scrittore nevrotico riesce a superare il blocco che lo paralizza solo ricorrendo all’umorismo) conduce a non prendere troppo sul serio, o a mostrare di non prendere troppo sul serio, le dottrine freudiane.
Saltando avanti di qualche decina d’anni, vorrei ragionare su di un capolavoro della letteratura del ‘900, ovvero “The Shining” di Stephen King.
Nel romanzo di King, ogni cosa esprime forti richiami al mondo della psicoanalisi: lo stile narrativo è un mirabile piano sequenza letterario che rimanda ad un flusso libero di coscienza, abbiamo poi il topos dell’edificio come sede di memorie antiche, di antichi traumi incistati in una dimensione soprannaturale ed onirica.
In ogni angolo del romanzo possiamo ritrovare il concetto del ritorno del rimosso, splendidamente allegorizzato dai segni soprannaturali dell’albergo dove si svolge la storia. Il contrappunto tra il ritorno alla coscienze di traumi collettivi (il cimitero indiano su cui è costruito l’albergo) ed i traumi dei singoli personaggi crea un disegno metafisico perfetto. E che si presta ad una lettura psicoanalitica forse un pochino ovvia e di maniera, ma molto ben raccontata con un perfetto linguaggio psicanalitico.
Ma in cosa consiste questo “linguaggio psicoanalitico? Consiste, io credo, nell’utilizzo esteticamente appropriato delle libere associazioni come sistema narrativo di prima scelta. Il discorso tradizionale è caratterizzato dalla logica, quello psicoanalitico dalla libertà.
Dato un pensiero iniziale o un fatto qualsiasi che serva da punto di partenza, vi si collegano in una disposizione diciamo così lineare e in piena libertà altri fatti o riflessioni che devono sgorgare il più automaticamente possibile dalle profondità dell’essere, senza alcuna obbligatoria dipendenza coi concetti e le immagini precedenti, senza alcuna preoccupazione per i concetti e le immagini che seguiranno, ma in piena corrispondenza con quanto affiora dall’inconscio, dai sedimenti interiori dei quali normalmente non conserviamo memoria. La libertà riguarda tanto gli argomenti, quanto le parole, quanto l’ordine dell’esposizione.
Naturalmente questo non è mai possibile in senso assoluto, a meno che l’individuo non si trovi in stato di ipnosi, o sotto l’influsso di particolari droghe. Ma la psicoanalisi non vuole questo e non rinuncia mai alla partecipazione dell’individuo, il quale entro certi limiti deve collaborare con la sua volontà e comunque non deve mai ricusare la propria personalità.
Ed è chiaro che in queste cose entra anche il carattere: c’è chi si abbandona più e chi meno alla libera esposizione dei pensieri, chi è più e chi meno sincero, chi si preoccupa dell’ordine e della forma e chi non se ne preoccupa affatto.
In sede di psicoanalisi, è l’analista che dovrà valutare ciò e trarne le conseguenze, per portare ordine e chiarezza servendosi dell’apparente disordine.
Per quanto riguarda la trasposizione della tecnica delle libere associazioni alla letteratura, invece, è l autore stesso che dev’essere contemporaneamente analizzando e analista, ossia, almeno in sede di revisione del testo, non bisogna mai dimenticare che un risultato artistico apprezzabile si ottiene soltanto con una rappresentazione organica di fatti, pensieri e stati d’animo, ed è quanto mai improbabile che questo risultato venga raggiunto automaticamente.
Data così un’idea della scrittura psicoanalitica, bisogna aggiungere che non basta il linguaggio basato sulle libere associazioni per avere uno stile psicoanalitico.
Molti scrittori, da Celine a Joyce, Proust, la Stein, Beckett, o innumerevoli altri più recenti, hanno usato il monologo interiore, il flusso di coscienza, la scrittura automatica o a ruota libera, però, escludendo forse BECKETT, la loro connessione con la psicoanalisi è semplicemente indiretta.
Il fatto è che alla scrittura deve corrispondere la cosa scritta, ossia alla forma deve corrispondere il contenuto, perché si abbia lo stile.
Il contenuto psicoanalitico è essenziahnente dato dall’affiorare dei motivi inconsci nel personaggio, dal ritorno a galla di sentimenti, situazioni, persone, episodi rimossi e mantenuti in stato di conflitto nell’inconscio, e che ora si fanno dinamicamente espliciti, giustificando un comportamento attuale del personaggio.
Non si tratta quindi d’una ricerca del tempo perduto, d’una caccia ai ricordi basata sulla nostalgia e sul disperato senso del passato, col narratore che si porta per così dire indietro a rivivere le cose che non esistono più, ma quasi del contrario, cioè del passato che si scopre vivo e attivo nel personaggio, a lui contemporaneo si potrebbe dire.
Nello stile psicoanalitico vi sono tre qualità di tempi presenti: il presente della narrazione, ossia quello in cui si immagina collocata la stesura del racconto, il presente storico tradizionale, ed il presente dell’analisi, ossia il vivido e dinamico presentarsi dell’inconscio. Come vediamo accadere in due esempi di prima, ovvero King e Palahniuk, tutto confluisce su di un piano unico, fondendosi e anche confondendosi talvolta, l’antico ridiventando attuale nella presa di coscienza, tornando a far parte del personaggio cosí come non ha mai cessato di far parte dell’individuo.
Sia chiaro che io mi riferisco ad una questione di differenze e non di preferenze, e neppure di gerarchie. Se lo stile psicoanalitico sia da preferirsci ad altri ed in quali ambiti è tutto da vedersi, trattandosi di arte. Anche perché comporta molte limitazioni.
Difficilmente, ad esempio, potrebbe sopportare il “bello scrivere” in se, il pezzo di bravura, la perfezione stilistica classica. Ma se uno vuole entrare profondamente nell’animo umano in cerca di verità profonde, credo che sia la strada più conveniente da percorrere.
Per approfondire questi argomenti vi consiglio due libri: “Sentieri della mente. Filosofia, letteratura, arte e musica in dialogo con la psicoanalisi” di Longhin e Mancia, e il bellissimo “Cinema (italiano) e Psichiatria” di Ignazio Senatore. Acquistateli al miglior prezzo su Amazon.it:
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