Ogni volta che avviene una grande tragedia accadono alcune cose, mirabolanti e funeste. La caduta del ponte Morandi a Genova, il ponte che tutti i genovesi hanno percorso fin da bambini per passare da un lato all’altro del torrente Polcevera, non fa eccezione.
Il copione è sempre lo stesso: per prima cosa bisogna aggiungere disagio e amarezza a situazioni che ne possiedono già abbastanza. I professionisti di quel nobile mestiere che dovrebbe essere informare le persone, senza alcun desiderio di portare verità o chiarezza, iniziano subito ad aggiungere elementi tragici ed opinioni personali per aumentare il dolore di chi legge, con il successivo scopo finale di indirizzare la rabbia delle persone verso un nemico, ovvero l’antagonista politico del momento.
Dopo che crolla un ponte, in Italia e in tutto il mondo occidentale, nessuno ha interesse all’autentica ricerca del vero, semplicemente si manipola l’informazione per manipolare le persone, doppiamente ferite e tradite, sia che si tratti delle vittime, delle loro famiglie o di chi, attonito e confuso, non ha avuto danni diretti.
Dopo che crolla un ponte, se si riesce a dominare la preoccupazione, il dolore e la confusione, si possono riconoscere con chiarezza le modalità con le quali il potere controlla la gente.
Si, perché nel momento in cui chi controlla l’informazione del mainstream riesce a convertire la depressione delle persone in aggressività, il gioco del controllo sociale, vecchio come il mondo, è fatto.
Una volta che hai prodotto rabbia ed aggressività a partire dalla depressione dovrai solo prendere la mira, mediaticamente parlando, verso un obiettivo politico e vedrai che le persone non penseranno più a ricercare la verità o a attuare strategie esistenziali logiche ed intelligenti per evitare che le tragedie si ripetano. Una volta che viene generata rabbia verso un nemico comune puoi dire, senza paura di sbagliarti, che hai ripreso il controllo sociale.
Perché la gente viene controllata proprio nel momento in cui la ricerca del vero e la razionalità vengono schiacciate dalla rabbia.
D’altra parte quando crolla un ponte e muoiono decine di persone, le persone vogliono uscire dalla depressione e sono predisposte naturalmente a farsi manipolare da chi domina l’informazione. Purtroppo, è proprio la tristezza a portare all’analisi interiore, alla dolorosa consapevolezza, ma tutti noi non vediamo l’ora allontanare la possibilità di sondare nel profondo la realtà, e rinunciare alla nostra libertà di autodeterminarci se in cambio ci danno una scappatoia alla dolorosa consapevolezza, fornendo un nemico comune contro cui scagliarci, un entità metafisica assoluta che sino a poche ore prima era semplicemente, per fare un esempio a caso, “Autostrade per l’Italia”.
E badate bene che con questo non voglio dire che il brand “Autostrade” non abbia colpe, in realtà, semplicemente, io non lo so e quindi non lo escludo. Ma ormai il gioco dentro la mia mente è iniziato. La voglia di sapere davvero come stanno le cose scivola via insieme alla mia tristezza, per far spazio all’aggressività contro qualcosa o qualcuno.
Per farvi capire meglio quello che voglio dire vi vorrei fare l’esempio degli Stati Uniti, i veri maestri della generazione di “Nemici Comuni”.
Il governo USA per decenni ha usato la Russia, Saddam Hussein, Osam bin Laden, l’ISIS e chi più ne ha più ne metta, per controllare la gente, per polarizzare la loro rabbia contro un nemico comune, convertendo l’enorme depressione della low class americana in rabbia. E badate bene, non ha usato degli stinchi di santo bensì dei veri bastardi che non meritano alcun rispetto da parte dell’opinione pubblica ma… c’è un enorme ma.
Per migliaia di anni, i leader politici hanno unito e manipolato le comunità umane allineandole contro nemici comuni. Infatti, oggi più che mai, la ricerca di “nemici comuni” risulta essere il migliore investimento di chi detiene il potere per continuare a mantenerlo o per provare a riprenderselo.
L’inghippo della questione, lo ha studiato in maniera mirabile il neuropsichiatra e psicologo Jean-Michel Oughourlian che, nel suo libro “Psychopolitics: Conversations with Trevor Cribben Merrill” propone la tesi che l’unico vero nemico sia colui il quale si rende responsabile delle piccole e grandi frustrazioni quotidiane e chi occultamente non si oppone alle grandi catastrofi globali, come i cambiamenti climatici o, lasciatemi dire, la caduta dei ponti.
Il pensiero di Oughourlian ci rivela come tutte le persone siano legate insieme in un processo imitazione e di rinforzo dell’aggressività che è dinamico e contingente, e mostra che gli stessi modelli di comportamento irrazionale che riuniscono gli individui quando sono coesi verso un “nemico comune”, allontanandoli dalla ricerca del vero, spiegano anche il comportamento spesso illogico delle nazioni che hanno spesso il fine occulto di portare profitto alla classe dominante e non al popolo tutto.
Quindi dico a me stesso come direi ad un paziente in psicoterapia, che bisogna trovare sicuramente i responsabili della tragedia ma non permettiamo che questa ricerca annulli la possibilità di trovare una strategia perché tragedie come questa non si ripetano mai più.
Anche perché la vera colpa, anche in questo caso, sarà un grottesco ed insensato oggetto liquido che includerà magari “Autostrade per l’Italia” come capro espiatorio a cui dovremo, però, aggiungere un esercito di politicanti del passato e del presente, ingegneri compiacenti, amministrativi corrotti e forse tutti noi genovesi che ogni volta che passavamo sul ponte Morandi, incolonnati con centinaia di TIR, dicevamo sottovoce a a noi stessi “…ma come fa a non crollare?”.
Perché spesso il “nemico comune” che ci vogliono far credere essere causa dei nostri mali non esiste, o meglio non è IL vero nemico ma solo un icona, un “bastardo qualunque”, un cattivo scelto ad arte tra la schiera di tutti i responsabili.
Esiste di sicuro la nostra superficialità, e quella degli altri, e la nostra difficoltà a rimanere lucidi in un mondo che ci distrae per controllarci.
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Condivido. Sono molto triste per la tragedia che ha colpito le persone e la nostra martoriata città. Mi chiedo: perché la nostra generazione non è stata capace di realizzare la variante? Il ponte sul Polcevera era appena appropriato per il transito degli anni sessanta. E quale legame c’e’ con il fallimento delle istanze del 2001?
Non entro nel merito dell’articolo del Dr. Rosso.
Preferisco leggere l’accaduto dandone una (possibile) interpretazione sociologica, piuttosto che politica.
Per questo ritengo la dinamica della ricerca e attribuzione di “colpe”, nonché il bisogno di canalizzare – attraverso il meccanismo dello spostamento – sentimenti di rabbia, frustrazione, impotenza…da ascriversi all’interno del meccanismo del capro espiatorio, così come mirabilmente esposto da René Girard.
Quello che vorrei invece portare alla Sua attenzione e rispondere così anche all’amico Vallarino, è la Sindrome di Nimby (acronimo inglese per Not in my back yard, lett.: Non nel mio cortile) che, mi pare stia sempre più perniciosamente diffondendosi in questo Paese, che ha bloccato la costruzione della variante cosiddetta della “Gronda” a causa dell’opposizione del comitato dei NO Gronda, uno dei vari comiTati del NO, i cui NO Tav sn solo l’ennesimo (e forse il più conosciuto di tali sedicenti “comitati” espressione di quello che a mio avviso può benissimo essere ricondotto ad un ben più problematico ..malinteso senso della democrazia).
A causa della Sindrome NIMBY, in Italia sta diventando impossibile prendere quei provvedimenti indispensabili alla Comunità, in quanto di fatto risultano essere fastidiosi per la relativa zona fastidiosa.