In questo articolo vengono riassunte tutte le principali caratteristiche della schizofrenia, sia per quanto riguarda la sua definizione, le sua caratteristiche cliniche e le attuali possibilità di trattamento (farmacologico e non farmacologico). La schizofrenia, per alcuni aspetti, rappresenta il prototipo del disturbo psichiatrico e gode di una densa e variata rappresentazione nell’immaginario popolare, nella narrativa e nel cinema.
Ho già parlato in termini divulgativi, adatti al grande pubblico, della schizofrenia in un altro articolo. In questa sede specifica mi voglio rivolgere ad un pubblico più tecnico ed intenzionato ad approfondire il tema della schizofrenia, avvicinandosi a tutte le sue dimensioni teoriche e pratiche.
La schizofrenia e i disturbi correlati sono caratterizzati da sintomi psicotici come deliri e allucinazioni. C’è uno spettro di gravità in questo disturbo psichiatrico.
La schizofrenia può essere una malattia particolarmente invalidante perché il suo corso, sebbene variabile, è spesso cronico e recidivante. La cura dei pazienti con schizofrenia pone un onere considerevole per tutti gli assistenti, dalla famiglia del paziente fino ai servizi sanitari e sociali. I medici d medicina generale, purtroppo, possono seguire con attenzione solo pochi pazienti con schizofrenia cronica nelle loro liste, e la gravità dei loro problemi e le esigenze delle loro famiglie renderanno questi pazienti importanti e assolutamente meritevoli di attenzione specialistica psichiatrica.
Questo articolo si propone di fornire informazioni sufficienti affinché il lettore sia in grado di conoscere gli aspetti teorici della malattia, di riconoscere i sintomi di base della schizofrenia e dei disturbi correlati e di essere a conoscenza dei principali approcci terapeutici.
Considerazioni iniziali sulla Diagnosi di Schizofrenia
Non c’è dubbio che, tra tutti i disturbi trattati dalla psichiatria, la schizofrenia ponga i maggiori problemi di definizione e di formulazione precisa dei suoi confini diagnostici e, di conseguenza, della possibilità di definirla in maniera univoca ed oggettiva. Uno degli aspetti più problematici del disturbo schizofrenico è, infatti, quello di sfuggire ad ogni tentativo di definizione univoca in termini “operativi”.
Da un punto di vista strettamente clinico resta ancora oggi esemplare la definizione data nel 1911 da Eugen Bleuler:
“Con il termine demenza precoce o schizofrenia designamo un gruppo di psicosi a decorso a volte cronico a volte invece carat- terizzato da attacchi intermittenti, che può arrestarsi o regredire in qualsiasi stadio ma che non permette una completa restitutio ad integrum. La malattia è caratterizzata da un tipo specifico di alterazione del pensiero, dell’affettività e delle relazioni con il mondo esterno che non si ritrova con queste particolari caratte- ristiche in altri disturbi… (Pertanto) i processi associativi spesso funzionano con semplici frammenti di idee e di concetti. Ciò comporta associazioni che gli individui normali valutano come scorrette, bizzarre e assolutamente imprevedibili… Nei casi più gravi le espressioni emotive e affettive sembrano completamente mancanti. Nei casi più lievi possiamo notare solo che l’intensità delle reazioni emozionali non è proporzionata ai vari eventi che hanno causato queste reazioni… L’affettività può anche essere qualitativamente anormale, vale a dire inadeguata rispetto ai processi intellettivi coinvolti. In aggiunta ai segni, spesso discussi, di cosiddetto deterioramento molti altri sintomi sono riscontrabili nella maggioranza dei casi ospedalizzati, quali i deliri, le allucinazioni, la confusione, lo stupore, le fluttuazioni dell’umore di tipo maniacale o depressivo e i sintomi catatonici“
Nel caso della schizofrenia ci si trova nel curioso paradosso di una certezza clinica della sua esistenza come grave malattia psichiatrica, di fronte alla difficoltà obiettiva di giustificare in termini razionali ed operativi questa certezza. La schizofrenia, infatti, è il prototipo della sindrome; identificata da Emil Kraepelin, prima di Bleuler, sulla base della dicotomia dementia praecox/psicosi maniaco-depressiva, è stata successivamente descritta su base sindromica da Bleuler ed è stata inclusa sulla base di questi criteri nelle attuali classificazioni dei disturbi psichiatrici (vedi in seguito il DSM V).
È importante sottolineare come nessuno dei “sintomi” della schizofrenia è specifico per essa. Inoltre, molti dei sintomi che vengono asso- ciati alla sindrome possono essere assenti in rapporto alle varie fasi del disturbo. Infine va rilevato che a tutt’oggi, nonostante il gran nume- ro di dati biologici disponibili, la schizofrenia non ha però ancora assunto la dignità di una “malattia” vera e propria. Questo perché non è stato ancora possibile stabilire una netta correlazione biunivoca tra il quadro clinico “generale” e specifiche alterazioni biologiche encefaliche (sebbene l’attuale mole di dati stia facendo sempre più avvicinare i ricercatori a questo obiettivo finale).
In questi ultimi anni, l’approccio operativamente più utile alla psicopatologia della schizofrenia non è stato quello per “sintomi” bensì quello per “dimensioni”, vale a dire per gruppi di sintomi giustificati da una comune alterazione di funzione, a loro volta sostenuta da un meccanismo patofisiologico specifico. L’insieme rappresentato da una dimensione psicopatologica e dal meccanismo cerebrale che ad essa sottende permette di vedere la schizofrenia come un disturbo a psicopatologia multidimensionale che vede coinvolti più meccanismi (tra loro correlati) nel medesimo quadro di stato e di decorso.
In una prospettiva di tipo “dimensionale”, più utile ai fini clinici, terapeutici e di ricerca, diventa dominante il concetto di “spettro schizofrenico”. Nel concetto di spettro la linea guida (o principio organizzatore) è la dimensione psicopatologica. La categoria “schizofrenia” delle classificazioni tradizionali è solo uno dei molti disturbi “categoriali” che rientrano nello spettro, ai cui estremi possono essere collocati disturbi usualmente non considerati “schizofrenici” come i disturbi deliranti acuti e il disturbo schizotipico di personalità. In questa prospettiva, il concetto di “malattia” non diventa evidentemente più applicabile alle singole “categorie diagnostiche”, bensì alle dimensioni. Il disturbo schizofrenico (e gli altri disturbi dello spettro) possono così essere visti come condizioni di “comorbilità dimensionale” che lasciano aperto il problema non ancora risolto di una eventuale patofisiologia comune.
Epidemiologia e Genetica della Schizofrenia
Secondo le varie classificazioni delle patologie psichiatriche oggi esistenti, la schizofrenia viene tuttora definita solo in termini sindromici e ci sono poche ragioni per poter continuare a pensare che rappresenti solamente una singola malattia. Ne consegue che l’accertamento della sua presenza nella popolazione e la sua caratterizzazione sono spesso alquanto arbitrarie, essendo fortemente influenzate da fattori sociali e culturali, da scuole di pensiero psichiatrico e da fattori soggettivi che possono essere minimizzati solo con molta attenzione. Anche la ricerca genetica per la schizofrenia è influenzata da questi stessi limiti, oltre che dalla difficoltà, d’ordine più generale, di applicare tecniche e metodologie di una disciplina scientifica caratterizzata da un alto grado di precisione biologico-matematica ad un og- getto scientifico d’indagine, la schizofrenia appunto, caratterizzata da vaghi confini.
Se così accade, ad esempio, che ci siano più persone ammalate di schizofrenia di quante ne vedano effettivamente gli psichiatri, come studi condotti a livello nazionale negli Stati Uniti indicano, allora una famiglia con 2 soggetti schizofrenici avrà una maggiore probabilità di essere scoperta di una famiglia con un solo ammalato. Si ha in questo caso un errore sistematico selettivo in favore di quadri “familiari”. Inoltre, poiché la diagnosi dipende da una valutazione soggettiva che, sebbene molto sensibile, è tuttavia soggetta all’effetto della presenza di ipotesi preconcette, una diagnosi di schizofrenia in un componente di una famiglia può fare aumentare la probabilità di una simile diagnosi per altri membri della famiglia che mostrino un disordine psichiatrico. Infine occorre tenere conto di un problema epistemologico generale relativo alla reale natura delle conclusioni possibili stante i dati disponibili. La tendenza ad inferire prove di una ipotesi da osservazioni che sono in realtà solo compatibili con essa, ha spesso portato a conclusioni premature riguardo la sovrastima dell’importanza di fattori genetici od ambientali.
Nella letteratura scientifica classica la prevalenza nella popolazione generale era considerata circa dell’1%, mentre la prevalenza nei genitori degli schizofrenici del 5% e nei loro fratelli e/o figli, all’incirca del 10%.
La stima della prevalenza per i genitori degli schizofrenici è probabilmente ridotta, rispetto ai fratelli, dall’attenuazione delle informazioni ottenibili da cartelle cliniche più vecchie e soprattutto da fattori selettivi che operano nell’accoppiamento e nel matrimonio e riducono la probabilità che uno schizofrenico conclamato diventi un “genitore”. Studi più recenti hanno evidenziato un minor rischio nei parenti di primo grado; ad esempio, un attento studio epidemiologico di Tsuang et al. (1980) ha portato alla conclusione che tale rischio fosse del 3,2%.
Una maggiore evidenza deriva dagli studi che valutano l’incidenza o la prevalenza della schizofrenia in gemelli monozigoti e dizigoti di soggetti schizofrenici. Gli studi gemellari della schizofrenia negli ultimi cinquant’anni hanno trovato con una notevole consistenza che il tasso di concordanza nei gemelli dizigoti non è difatti significativamente differente da quello dei fratelli, mentre nei gemelli monozigoti può essere da 2 a 6 volte maggiore.
Il più completo studio gemellare per la schizofrenia, dove peraltro si è cercato di evitare o almeno tenere sotto controllo le sorgenti di errore, è stato descritto da Gottesman e Shields (1972). Venne trovata una più alta concordanza di schizofrenia nei gemelli monozigoti che non nei dizigoti ed una valutazione consensuale globale portò il tasso di concordanza monozigote al 40-50% e quello dizigote al 9-10%.
Esordio della Schizofrenia
La schizofrenia è considerata ubiquitariamente una malat- tia giovanile il cui esordio è collocato nell’età della tarda adolescenza o dell’inizio dell’età adulta, entro i 45 anni di età. Studi più recenti hanno osservato che la diagnosi di malattia schizofrenica dopo i 45 anni non costituisce un evento raro sia in relazione, verosimilmente, all’aumentata longevità sia all’aumentato numero di esordi in età tardiva. Infatti uno dei cambiamenti più significativi introdotti dal DSM-V, nell’attenzione del riconoscimento universale del fenomeno dell’esordio tardivo, è stato l’abolizione del requisito dell’esordio dei sintomi entro i 45 anni di età per poter porre diagnosi di schizofrenia. Questa acquisizione è stata confermata nel DSM-IV, mentre l’ICD-10 ha recentemente incluso la parafrenia nel gruppo delle schizofrenie. Queste modificazioni nelle classificazioni e nei criteri no- sografici adottati hanno avuto ripercussioni significative sugli studi epidemiologici relativi all’età di esordio della schizofrenia.
Peraltro quando si vada ad indagare l’esordio della malattia schizofrenica si rileva, comunemente, la mancanza di un netta concordanza tra quello che viene riconosciuto co- me l’inizio della malattia e il momento in cui questo sia cominciato internamente al soggetto. La ricostruzione genera molte difficoltà obiettive. La manifestazione socialmente visibile, cioè la comparsa di comportamenti che si disco- stano significativamente dalla normalità, evidenti anche durante la visita o il ricovero, raramente coincide con il vero inizio dei sintomi diagnosticati della malattia.
Generalmente l’inizio dei sintomi riconosciuti come psicotici è preceduto da una fase prodromica di anormalità subcliniche di durata variabile e, ancor prima possono comparire, molto precocemente nella vita, segnali dei sintomi e dei segni della schizofrenia, come suggerito dagli studi condotti sui bambini ad alto rischio nati da madri schizofreniche.
È inevitabile quindi una certa discordanza tra i dati epidemiologici pubblicati e l’esperienza clinica considerato che le statistiche cui si riferiscono i primi si basano essenzialmente sui dati dei primi ricoveri.
L’analisi delle prime ospedalizzazioni suggerirebbe un’età di massimo rischio per il sesso maschile situata tra i 15 e i 24 anni e tra i 25 e i 35 per le femmine. Questi dati, relativi alle prime ospedalizzazioni, sono in parte confermati anche per l’Italia, dai dati dei registri psichiatrici che tengono conto dei primi contatti comunque effettuati con i servizi psichiatrici. L’età di esordio è più elevata nel sesso femminile a prescindere dai criteri adottati per definire l’esordio della malattia schizofrenica. Quando ci si riferisca alla prima comparsa dei sintomi la differenza è compresa tra i 3 e i 5 anni; per oscillare tra i 3 e i 6 anni quando si valuti il primo contatto con l’istituzione psichiatrica.
Uno studio del 1992 di valutazione di tutti i primi contatti ha evidenziato una differenza specifica di genere nei pazienti con età inferiore ai 35 anni, mentre per contro nel gruppo compreso tra i 35 e i 54 anni il rapporto si ribalta con una maggiore vulnerabilità del sesso femminile. I soggetti maschi presentano un picco tra i 16 e i 25 anni, i soggetti di sesso femminile tra i 25 e i 35 anni con un secondo picco tra i 40 ed i 45 anni.
Clinica della Schizofrenia: segni e sintomi
Poiché la presentazione clinica e l’esito della malattia variano, la schizofrenia può essere una malattia confusa da comprendere. È meglio cominciare considerando le descrizioni semplificate di due presentazioni comuni: (i) la sindrome acuta; e (ii) la sindrome cronica. È quindi più facile capire le caratteristiche principali e la diversità della schizofrenia.
Le principali caratteristiche cliniche della sindrome acuta possono essere grossolanamente riassunte nei seguenti punti:
- allucinazioni
- idee persecutorie
- disorganizzazione del pensiero
- deliri di tipo strutturato e non strutturato
- ritiro sociale
- prestazioni compromesse sul lavoro
Il termine sindrome positiva è talvolta usato per riferirsi a queste caratteristiche. Si riferisce alla comparsa di allucinazioni e delirio, in contrasto con la perdita della funzioni cognitive ed emotive nella sindrome cronica, la cosiddetta sindrome negativa.
Molti pazienti con schizofrenia acuta possono, in alcune fasi, apparire del tutto normali. Alcuni appaiono inadeguati nel loro comportamento sociale, preoccupati e ritirati, o comunque strani. Altri sorridono o ridono senza una ragione ovvia, o appaiono perplessi per ciò che sta accadendo intorno a loro. Alcuni sono irrequieti e rumorosi e alcuni mostrano cambiamenti improvvisi e inaspettati nel comportamento. Altri si ritirano dalla compagnia, trascorrono molto tempo da soli nella loro stanza, magari sdraiati immobili sul letto apparentemente assorti nei loro pensieri.
Le anormalità dell’umore sono comuni. Cambiamento dell’umore come depressione, ansia, irritabilità o euforia sono frequenti. Al contrario ci può essere una riduzione delle normali variazioni dell’umore, che si definisce appiattimento affettivo. Un paziente con questo disturbo può sembrare indifferente agli altri a causa dell’umore immutabile. Emozione non in linea con la situazione, una condizione nota come incongruità di affetto. Un paziente può, ad esempio, ridere quando viene informato sulla morte della madre.
Le allucinazioni uditive sono tra i sintomi più frequenti della schizofrenia. Possono essere vissuti come semplici rumori o suoni complessi di voci o musica. Le voci possono pronunciare singole parole, frasi brevi o intere conversazioni. Le voci possono sembrare dare comandi al paziente. Una voce può pronunciare i pensieri del paziente a voce alta, o come pensa lui o immediatamente dopo. A volte, due o più voci possono sembrare che parlino del paziente in terza persona. Altre voci possono commentare le sue azioni.
La consapevolezza di malattia è generalmente compromessa. La maggior parte dei pazienti non accetta che le loro esperienze derivino da un disturbo mentale, spesso ascrivendole invece alle azioni malevole di altre persone. Questa mancanza di consapevolezza è spesso accompagnata dalla riluttanza ad accettare un trattamento. La combinazione di comportamento disturbato, allucinazioni e deliri viene spesso definita come quadro clinico positivo della schizofrenia. Va ricordato che i pazienti schizofrenici non necessariamente sperimentano tutti questi sintomi.
I deliri si verificano comunemente nella schizofrenia. La maggior parte dei deliri presenti nella schizofrenia derivano da un precedente cambiamento mentale. I deliri possono essere precedute dal cosiddetto umore delirante, che raramente si trova in condizioni diverse dalla schizofrenia o dalle allucinazioni. Si verificano diversi tipi di delirio. I deliri persecutori sono comuni, ma non specifiche per la schizofrenia. Meno comuni ma di maggior valore diagnostico sono le idee di riferimento (false credenze secondo cui oggetti, eventi o persone hanno un significato personale speciale), o anche i deliri di influenzamento o di controllo.
È ormai riconosciuto che le persone con schizofrenia soffrono frequentemente di una varietà di disabilità cognitive e che queste menomazioni sono associate a importanti aspetti del risultato funzionale, come l’acquisizione di abilità sociali e le possibilità di un impiego di successo. Molte aree del funzionamento cognitivo sembrano essere influenzate; i più frequenti sono i deficit nel funzionamento e nella memoria semantica, l’attenzione e il funzionamento esecutivo. Anche la fluenza verbale e il funzionamento motorio sembrano essere influenzati, anche se in misura minore.
Nelle fasi croniche della schizofrenia si assiste più spesso ad un appiattimento generale del paziente sia sul piano del comportamento che del pensiero con tendenza al ritiro ed all’impoverimento emotivo. Questa fase, in apparenza meno eclatante, ha un significato di gravità maggiore e più disabilitante.
Il decorso della schizofrenia e dei suoi quadri clinici è variabile ed è per un 20% caratterizzata da una o più fasi acute con recupero completo, da un 50% con fasi acute e sintomi residui destinati a peggiorare evolvendo verso la demenza e un 30% di quadro clinico misto, di difficile definizione.
Terapia della Schizofrenia
La maggior parte delle persone con schizofrenia sarà curata da servizi di salute mentale specializzati, anche se le prime manifestazioni di schizofrenia vengono solitamente rilevata dai medici di medicina generale. Il ritardo nell’iniziare il trattamento è nettamente associato a un risultato peggiore nella prognosi e l’importanza dell’intervento precoce è sempre più riconosciuta.
I medici generici devono avere familiarità con la valutazione di base e fare un rapido invio allo psichiatra per la piena valutazione e gestione.
L’importanza dell’intervento precoce ha recentemente portato allo sviluppo di servizi specifici che mirano a coinvolgere il paziente con servizi e interventi efficaci il più rapidamente possibile dopo l’insorgenza dei sintomi.
Quando la diagnosi di schizofrenia è sufficientemente chiara, viene iniziata la terapia con farmaci antipsicotici (neurolettici). L’effetto antipsicotico può non verificarsi immediatamente, ma gli antipsicotici hanno anche un effetto calmante che può ridurre la necessità di un agente sedativo. Tipici farmaci antipsicotici sono l’aloperidolo, l’aripiprazolo e molti altri.
Il trattamento farmacologico può essere necessario per un controllo comportamentale immediato, nel qual caso una benzodiazepina sedativa come diazepam o lorazepam viene solitamente utilizzata per il controllo comportamentale, spesso in combinazione con un antipsicotico. Non si dovrebbero usare dosi crescenti di farmaci antipsicotici, o combinazioni di più antipsicotici perché aumentano il rischio di effetti avversi.
Dopo l’inizio di un farmaco antipsicotico, i sintomi di eccitazione, irritabilità e insonnia di solito migliorano in pochi giorni. Allucinazioni e deliri potrebbe richiedere più tempo per migliorare, spesso cambiando gradualmente per diverse settimane. Se non ci sono miglioramenti, è necessario verificare che il paziente stia assumendo i farmaci prescritti. In caso contrario, occorre determinare il motivo e tentare di garantire la conformità dell’assunzione. Se il paziente sta assumendo la dose prescritta, questo dovrebbe essere aumentato con cautela a meno che non sia già nella parte superiore dell’intervallo raccomandato. Può essere necessario combinare diversi farmaci, ma solo se strettamente necessario.
Non ci si deve focalizzare solamente alle cura in fase acuta, ma è fondamentale dedicarsi alla presa in cura nel lungo periodo del paziente affetto da schizofrenia (“cure psicosociali”).
Lo scopo principale della cura psicosociale e della riabilitazione è ridurre la disabilità a lungo termine sperimentata da molti pazienti con schizofrenia. In pratica, la cura psicosociale viene solitamente adattata alle esigenze individuali del paziente. L’abilità è richiesta per organizzare un programma di cura che sia stimolante in modo ottimale ma non troppo stressante.
L’approccio è generale e include l’assistenza di supporto da parte di infermieri di comunità e altri. Esistono solo prove limitate dell’efficacia di metodi specifici che includono:
Formazione sulle abilità sociali: la formazione delle abilità sociali utilizza un approccio comportamentale per aiutare i pazienti a migliorare le capacità interpersonali, di auto-cura e di coping necessarie nella vita normale.
Formazione professionale: ciò include una serie di attività che aiutano a sviluppare le competenze necessarie per ottenere e mantenere un posto di lavoro, alla fornitura di lavoro protetto o ad altre attività professionali.
Cognitive remediation: ha lo scopo di migliorare le competenze neuropsicologiche che sono spesso alterate in corso di schizofrenia e, quindi, migliorare il funzionamento psicosociale e generale della persona.
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