Il tema della comparazione tra i vari antipsicotici e tra quelli di prima e di seconda generazione l’ho già affrontato in questo articolo, per ciò che riguarda le formulazioni long-acting.
In questo breve articolo vorrei semplicemente riassumere, in poche parole, i principali risultati di questi due fondamentali studi di psicofarmacologia.
Sia lo studio CATIE che lo studio CUtLASS hanno dato una risposta significativa alla seguente domanda: tra i pazienti affetti da schizofrenia, possiamo giudicare i farmaci antipsicotici di seconda generazione (come olanzapina, quetiapina, risperione e ziprasidone) come superiori se confrontati con farmaci antipsicotici di prima generazione come la perfenazina nel CATIE o l’aloperidolo o altri (CUtLASS) in termini di efficacia terapeutica?
Ambedue gli studi CATIE e CUtLASS sono trial in doppio cieco eseguiti da un team in USA ed uno in UK (vedete le note in bibliografia).
Quali sono i risultati più importanti che emergono da questi studi che, di fatto, hanno dato conferma reciproca? Ve li riassumo nei seguenti punti:
- non vi sono differenze significative di efficacia tra i farmaci di prima e quelli di seconda generazione
- gli effetti collaterali risultano comparabili in termini di gravità (anche per quello che riguarda gli effetti extrapiramidali, per lo meno per gli antipsicotici coinvolti negli studi)
- più del 70% dei pazienti interrompono il trattamento entro 18 mesi
- non ci sono prove che gli antipsicotici di seconda generazione siano migliori di quelli di prima rispetto all’efficacia sui sintomi negativi e sul miglioramento della cognitività
Come potete immaginare questi due studi diedero un forte scossone alle convinzioni degli psichiatri, specialmente di quei medici che facevano troppo affidamento ai messaggi ed agli studi sponsorizzati dalle aziende produttrici dei nuovi farmaci antipsicotici di seconda generazione.
Dai risultati di questi due studi pilota, e da quelli che seguirono, si consolidò sempre di più l’idea che la scelta dell’antipsicotico per trattare il paziente affetto da schizofrenia dovrebbe derivare per lo più dal profilo di collateralità più consono a quel dato paziente piuttosto che ad una ipotetica “maggior efficacia” secondo “l’esperienza del medico”.
Concludo dicendo che ancora oggi sono troppi gli psichiatri e gli operatori della Salute Mentale che non conoscono adeguatamente i contenuti e le conclusioni di questi studi e che, di conseguenza, attuano delle scelte terapeutiche poco consapevoli, non ottimali e di scarsa efficacia.
Bibliografia:
- Lieberman JA Stroup TS McEvoy JPet al. Effectiveness of antipsychotic drugs in patients with chronic schizophrenia. N Engl J Med 2005;353:1209–23.
- Jones PB Barnes TR Davies Let al. Randomized controlled trial of the effect on Quality of Life of second- vs first-generation antipsychotic drugs in schizophrenia: Cost Utility of the Latest Antipsychotic Drugs in Schizophrenia Study (CUtLASS 1). Arch Gen Psychiatry 2006;63:1079–87.
- John Lally, James H. MacCabe; Antipsychotic medication in schizophrenia: a review, British Medical Bulletin, Volume 114, Issue 1, 1 June 2015, Pages 169–179, https://doi.org/10.1093/bmb/ldv017
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Salve dottore,
Per fortuna anche in Italia sono disponibili tests di farmacogenetica che hanno lo svantaggio di essere molto costosi ma anche il vantaggio di rilevare qual’è il farmaco piu idoneo in termini di tolleranza per un dato paziente.In Italia le novità tardano ad arrivare (la clozapina arrivò dopo venti anni rispetto all’America)e molti psichiatri usano ancora neurolettici di 1° generazione ignorando i pesanti effetti collaterali sui pazienti!