Diagnosi psichiatriche, Vere o False? Giuste o Sbagliate?
La diatriba al riguardo è lunga, sfiancante e spesso sostenuta da motivazioni totalmente inconsistenti.
Ho già scritto diversi altri articoli al riguardo ma la discussione tra chi legge questo blog non sembra avere tregua, e non riguarda solo le persone che si dichiarano apertamente a favore dell’antipsichiatria.
Ma un nuovo studio, pubblicato su Psychiatry Research, avrebbe concluso che le diagnosi psichiatriche sono scientificamente inutili come strumenti per identificare i disturbi mentali.
Questo nuovo studio, presente sull’edizione di Settembre 2019 di Psychiatry Research, condotto da alcuni ricercatori dell’Università di Liverpool, ha prodotto un’analisi dettagliata di cinque capitoli chiave dell’ultima edizione dell’ormai famoso Manuale Diagnostico e Statistico (DSM-V), su schizofrenia, disturbo bipolare, disturbi depressivi, disturbi d’ansia e disturbi correlati a traumi.
Strumenti diagnostici come il DSM-V sono stati creati per fornire ai i professionisti della salute mentale un linguaggio diagnostico condiviso e tentare di fornire una sorta di elenco definitivo dei vari disturbi mentali, compresi i loro quadri sintomatologici caratteristici.
Rispetto a questo nuovo studio i principali risultati che saltano agli occhi sono i seguenti:
- Le diagnosi psichiatriche utilizzerebbero tutte regole decisionali ed orientamenti diverse.
- C’è un’enorme quantità di sovrapposizione di sintomi tra una diagnosi e l’altra (ad esempio tra schizofrenia e disturbo bipolare).
- Quasi tutte le diagnosi nascondono il ruolo dei traumi, degli stimoli ambientali e degli eventi avversi.
- Le diagnosi ci dicono poco sul singolo paziente e di quale trattamento hanno bisogno (ma questo è un problema che mi pare abbondantemente condiviso con molte altre specialità mediche).
Alla luce di queste osservazioni gli autori concludono che l’etichettatura diagnostica rappresenta “un sistema categoriale sostanzialmente falso“.
Ovviamente quello che deriva da questo studio produrrà nuove discussioni e polemiche, inoltre i vari autori hanno anche accompagnato i risultati pubblicati con diverse interviste.
Il ricercatore capo Dr.ssa Kate Allsopp, dell’Università di Liverpool, ha affermato, rincarando la dose: “Sebbene le etichette diagnostiche creino l’illusione di una spiegazione, sono scientificamente prive di significato e possono creare stigma e pregiudizio. Spero che questi risultati incoraggino i professionisti della salute mentale a pensare oltre le diagnosi e a considerare altre spiegazioni del disagio mentale, come i traumi e altre esperienze di vita avverse“.
Allo stesso modo il Prof. Peter Kinderman, dell’Università di Liverpool, ha anche lui detto: “Questo studio fornisce ulteriori prove che l’approccio diagnostico biomedico diagnostico in psichiatria non è adatto allo scopo. Le diagnosi frequentemente e acriticamente segnalate come ‘malattie reali’ sono infatti fatte sulla base di modelli internamente incoerenti, confusi e contraddittori di criteri largamente arbitrari. Il sistema diagnostico presuppone erroneamente che tutto il disagio sia il risultato di un disordine e si basa pesantemente su giudizi soggettivi su ciò che è normale“.
Il Prof. John Read, dell’Università di Londra Est, ha infine affermato che: “Forse è giunto il momento di smettere di fingere che le etichette “che suonano come mediche” contribuiscano in qualche modo alla nostra comprensione delle complesse cause del disagio umano o del tipo di aiuto di cui abbiamo bisogno quando siamo in difficoltà“.
Insomma ci troviamo davanti ad un nuovo e diretto attacco all’autorevolezza ed alla consistenza della psichiatria come scienza medica che sottolinea come la teoria e la pratica della diagnosi in psichiatria sia centrale ma controverse.
Quello che ho voluto leggere io in questo articolo è che un approccio pragmatico alla valutazione psichiatrica, che consenta il riconoscimento dell’esperienza individuale, del vissuto lasciatemi dire, potrebbe essere un modo più efficace di comprendere il disagio mentale piuttosto che mantenere l’attenzione fissa verso un sistema categoriale che presenta aspetti positivi e negativi.
D’altra parte spero che gli autori non si vogliano dirigere verso il pericoloso ambito della negazione dell’esistenza della malattia mentale ma, al contrario, accettare il fatto che se vogliamo aiutare le persone affette da disagio mentale è necessario avere un linguaggio comune ed un sistema di riferimento che possa permettere di applicare il metodo scientifico alla ricerca di nuove cure.
In ogni caso credo che leggere questo articolo, che personalmente condivido solo in piccola parte, possa fornire interessanti spunti di riflessione.
Eccovi il riferimento bibliografico:
- Kate Allsopp, John Read, Rhiannon Corcoran, Peter Kinderman. Heterogeneity in psychiatric diagnostic classification. Psychiatry Research, 2019; 279: 15 DOI: 10.1016/j.psychres.2019.07.005
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Bravo dottor Rosso!
Se avessi ascoltato alcuni psichiatri che avevano già condannato il mio parente a una vita da malato con diagnosi incondivisibili oggi Egli non sarebbe quello che è: un uomo che vive a pieno la sua vita
pur sapendo che deve lottare contro lo stigma.
Condivido totalmente le sue riflessioni.