Una terapia digitale per il trattamento della depressione, da sola o in associazione ad una terapia psicofarmacologica, dovrà essere progettata, in ultima analisi, con il fine di riuscire a modificare schemi di pensiero e di comportamento disfunzionali.
In generale un trattamento “digitale” (spesso abbreviato come DTx) si fonda sulla possibilità di attuare cambiamenti comportamentali e di stile di vita mediante una serie di stimoli digitali (notifiche, suggerimenti testuali e direttive) provenienti da un software che monitori le abitudini di vita del paziente e stimoli, mediante algoritmi di intelligenza artificiale, nuovi pattern di comportamento e schemi di pensiero.
È questo un approccio di lavoro fortemente ispirato alla terapia cognitivo-comportamentale.
La riduzione algoritmica di un approccio psicoterapico o di una tecnica di counseling presenta indubbiamente una grossa sfida per quella equipe di lavoro multidisciplinare (medici, ingegneri e psicologi) che si dedica alla progettazione di una terapia digitale per il trattamento della depressione.
In che modo il Colloquio Motivazionale (in inglese “Motivational Interviewing“) potrebbe migliorare l’esito di questo lavoro di progettazione di una terapia digitale per il trattamento della depressione?
Secondo il giudizio di molti la Terapia Cognitivo-Comportamentale (CBT) ed il Colloquio Motivazionale (MI) potrebbero apparire contrapposti sul piano concettuale.
La CBT si potrebbe ritenere una pratica terapeutica basata su di un approccio direttivo ad opera di un esperto che “possiede”, se cosí si può dire ciò che manca al paziente (competenze, conoscenze, pensiero razionale) il cui lavoro è quello di insegnarle, di trasmetterle (“Io conosco quello di cui hai bisogno e te lo insegnerò”).
Si potrebbe quasi utilizzare il termine informatico di “installare nuove competenze” nella mente di una persona.
Il MI, al contrario, non ha nulla a che vedere con il concetto di far sviluppare nuove funzioni al paziente, con l’installare, appunto, concetti nella sua mente, ma si basa piuttosto sull’abilità del terapeuta di far emergere le proprie personali ragioni e risorse dal paziente in un’ottica non direttiva ispirata direttamente al lavoro di Carl Rogers.
Secondo questa descrizione iniziale, che cosa potrebbe essere più agli opposti?
Tuttavia, a nostro modo di vedere, risulta piuttosto chiaro come la MI e la CBT non solo siano compatibili, ma addirittura complementari.
L’integrazione tra la MI e la CBT, in una terapia digitale, potrebbe permettere di fare un balzo in avanti al lavoro con il paziente in termini di efficacia e di efficienza.
In che modo?
L’Integrazione tra CBT e MI come strategia di trattamento
Chi utilizza la CBT ha, credo, prestato troppa poca attenzione all’impatto sostanziale delle abilità interpersonali e della relazione terapeutica, derivanti dall’approccio motivazionale, nel plasmare l’impegno terapeutico, il mantenimento, l’aderenza e l’esito del trattamento.
Chi invece utilizza la MI potrebbe sentire la mancanza di uno schema strategico con cui potenziare le risorse personali.
Inoltre i sostenitori della MI potrebbero anche essere accusati di aver prestato troppo poca attenzione alla valutazione empirica e scientifica del loro lavoro negli ultimi decenni, nonostante sia stato lo stesso Carl Rogers ad essere il pioniere della ricerca sui processi e sui risultati della psicoterapia.
A partire da questa prospettiva generale che riguarda ancora un ambiente psicoterapeutico non digitalizzato, in un contesto “reale” per cosí dire, bisogna provare ad utilizzare uno sforzo immaginativo per prendere contatto con la riduzione algoritmica di questo approccio, indispensabile nella progettazione di una terapia digitale per il trattamento della depressione.
Ma prima di procedere alla dimensione specifica della progettazione di una terapia digitale riteniamo sia opportuno fornire ancora qualche precisazione rispetto all’utilizzo di un approccio terapeutico che sia rivolto all’integrazione tra CBT e MI (2).
Nell’ultimo decennio, il campo di studio del “cambiamento comportamentale” ha incoraggiato l’integrazione di diverse forme di trattamenti basati sull’evidenza, identificandone i fattori generali e gli elementi condivisi e applicandoli a molteplici comportamenti.
I fattori generali di un approccio terapeutico, a volte chiamati “fattori comuni“, si riferiscono ai processi personali, interpersonali ed altri processi che sono condivisi tra tutti i trattamenti psicosociali, come ad esempio l’alleanza terapeutica, l’empatia, la competenza relazionale, le capacità comunicative, l’ottimismo e la fiducia.
Questi fattori comuni spiegano molto del risultato ottenuto da un dato trattamento al di là delle caratteristiche specifiche di quel trattamento.
Questo dato evidente e spesso presente in letteratura ha rappresentato un elemento di resistenza allo studio scientifico ed evidence based delle psicoterapie.
In un trattamento digitale, uno dei possibili elementi di forza potrebbe proprio essere un maggiore controllo di questi “fattori comuni” legati alla ricorsività ed alla rigidità dell’approccio mediato da un software, che è chiaramente anche un limite secondo una prospettiva “classica”.
Crediamo che l’integrazione del Colloquio Motivazionale (MI) e della terapia cognitivo-comportamentale (CBT) possa essere sinergico come approccio terapeutico unificato e potrebbero, in effetti, fornire dei vantaggi molto interessanti proprio in un contesto digitale, ancor più che in un contesto “classico”.
Perché il MI?
Il MI è uno stile collaborativo e di guida dell’interazione relazionale, utilizzato per rafforzare la motivazione intrinseca e l’impegno verso il cambiamento.
Dopo oltre 30 anni di studi empirici, il MI ha dimostrato di essere un approccio di intervento di successo, basato sull’evidenza, per facilitare il cambiamento positivo del comportamento (1), ed è sempre più utilizzato nei settori dell’abuso di sostanze, della salute mentale e, più in generale, dell’assistenza sanitaria di base e specialistica.
Il MI definisce i comportamenti di comunicazione che sono alla base dei fattori relazionali della psicoterapia e fornisce quindi una base per la comunicazione tra paziente ed operatore in molteplici contesti.
Il MI ha diverse specifiche che lo candidano come approccio di trattamento rivolto al cambiamento con notevoli potenzialità di riduzione algoritmica.
Perché la CBT?
La CBT si concentra sulla possibilità di cambiamento di pensieri e comportamenti disadattivi nell’ipotesi che essi sostengano i sintomi ed interferiscano con il funzionamento generale della persona.
La CBT è senz’altro uno dei trattamenti basati sull’evidenza più diffusi ed efficaci rispetto a molte psicopatologie come la depressione, l’ansia, l’abuso di sostanze, il deficit di attenzione e iperattività (ADHD) e l’obesità.
La CBT è sicuramente un impegno notevole per i pazienti depressi anche perchè un certo livello di “lavoro a domicilio” tra una classica seduta ed un altra, per lavorare su cambiamenti in aree che in passato sono state difficili da padroneggiare per i clienti (spesso connesse alle cosiddette distorsioni di pensiero) (1). Questo è il motivo per cui gli esperti (3) dicono che la MI può migliorare l’efficienza della CBT fornendo strategie per costruire la motivazione dei clienti ad applicarsi al meglio alla terapia.
La MI e la CBT come approcci elettivi alla progettazione di una Terapia Digitale
A questo punto è necessario esplicitare le motivazioni che stanno alla base della scelta del Colloquio Motivazionale e della Terapia Cognitivo-Comportamentale come fondamento della progettazione di una terapia digitale per il trattamento della depressione, con o senza l’integrazione con una terapia psicofarmacologica.
Il punto fondamentale per tale scelta è sostanzialmente connesso alla possibilità di un’agevole riduzione algoritmica di un dato approccio psicologico che sia rivolto al cambiamento.
In tal senso sia la MI che la CBT possiedono numerose evidenze e diversi report sperimentali e clinici rispetto al loro utilizzo nel campo della Computer Delivered Therapy o Computer Assisted Therapy (5)(6)(7)(8)(9)(10)(11)(12)
Allo stato attuale importanti riflessioni includono l’efficacia degli interventi mediante terapie digitali se confrontata direttamente con il trattamento mediato dall’essere umano e con il placebo digitale, cosí come la longevità dei benefici, le caratteristiche demografiche dei pazienti e il rapporto costo-efficacia: gli RCT a nostra disposizione che confrontano questi scenari clinici hanno riportato risultati equivalenti (13)(14)(15).
In effetti, al netto di un adeguato sviluppo di un algoritmo terapeutico rivolto al quadro clinico della depressione, lo sviluppo di un corretto trial clinico randomizzato, per validare un trattamento digitale, risulta essere un area di studio ampiamente aperta e sperimentale.
Bibliografia:
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