Le dipendenze da sostanze hanno pervaso la cultura umana fin dall’inizio della civiltà.
Non c’è una società o agglomerato umano sul pianeta Terra che non faccia uso di sostanze d’abuso.
Per capire il concetto di “dipendenza“, dobbiamo capire bene perché la gente fa uso di droghe.
La ragione è in realtà molto elementare: la gente fa uso di droghe perché “funzionano”.
Le droghe sono molto efficienti ad alleviare e a modificare i contenuti di pensiero che inducono sofferenza, lieve o grave che sia.
Sono potenti e immediate per quanto riguarda il dolore fisico, il dolore psichico, i disordini, i traumi, anche soltanto per allontanare la nostra coscienza dalla noia esistenziale della routine quotidiana.
Tutte le droghe sono accomunate da un meccanismo di azione che, in ultima analisi, è rivolto a modificare il centro di reward neuronale (di “ricompensa”) basato sulla dopamina e le vie neuronali che da esso derivano.
Questo è, in poche parole, ciò che fanno le droghe.
Qualsiasi approccio alle dipendenze negli esseri umani deve iniziare con la constatazione del fatto che le persone usano le sostanze d’abuso (alcol, droghe, zucchero, ma anche le dipendenze comportamentali come il gambling) perché risultano utili e sembrano essere al loro servizio per garantire sollievo.
Una dipendenza può rappresentare, secondo una prospettiva personale, la soluzione migliore che una persona ha trovato per affrontare il suo dolore o un problema.
Il nostro lavoro di medici dovrebbe essere non solo quello di aiutare le persone ad astenersi dall’utilizzo patologico di una data sostanza ma anche essere in grado di aiutare le persone ad identificare il problema di base e a trovare altre soluzioni per affrontarlo.
Molto recentemente si sente parlare di “nuove droghe”, senz’altro un problema di notevole interesse ed importanza ma che non rappresenta la realtà della situazione mondiale.
L’alcol è ancora la sostanza d’abuso più pericolosa e dannosa per l’umanità, dati epidemiologici alla mano, mentre l’abuso di zucchero raffinato è la dipendenza sicuramente più sottovalutata e meno discussa.
Ma non vorrei parlare soltanto di questi argomenti che, in realtà, ho già trattato in molti altri articoli e video (“Il Marketing della Dopamina” e “Il Futuro dell’Alcol: cosa si dirà delle bevande alcoliche tra 50 anni?“)
Quello che vorrei affrontare qui è il fatto che, in questi ultimi anni, tra le tossicodipendenze, si dovrebbe notare molto chiaramente una nuova epidemia di oppioidi e di eroina.
Questo problema non è nuovo, ma cosa contribuisce a questo nuovo continuo aumento dell’utilizzo di oppioidi e derivati?
Una Nuova Epidemia di utilizzo di Oppioidi e di Eroina nel Mondo Occidentale?
L’indicatore più drammatico di un’epidemia è la morte come esito di un processo patologico.
I decessi legati agli oppioidi continuano ad aumentare ogni anno, nel Mondo Occidentale (Stati Uniti in particolare ma anche in Italia) nonostante diversi interventi attuati sul piano culturale, sociale e sanitario.
Negli ultimi tempi, tra gli individui di mezza età e con un’istruzione scolastica da bassa a superiore, si sono sviluppate molte dipendenze da oppioidi.
Persone che hanno trascorso la loro vita lavorando e trascurando la loro salute, obesi, poco attivi fisicamente, hanno sviluppato artrite, problemi alla schiena e dolori e sono senza lavoro e con poche prospettive per loro ed i loro figli.
Questo è il tipico profilo personale ed ambientale che invita all’uso degli oppioidi come soluzione per sentirsi meglio, non solo sul piano fisico.
Infatti chi utilizza antidolorifici derivati sintetici dell’oppio scoprono presto i benefici che essi hanno sul piano anche psicologico e di sofferenza interiore.
Vediamo che gli oppioidi sotto prescrizione medica rimangono un problema, potenziale o in atto, di notevoli dimensioni nelle città, nei centri urbani e anche tra la gente di ceto medio-basso, in tutto l’Occidente.
Le condizioni di scarsità economica, culturale, relazionale e di prospettive, l’esperienza del trauma e la mancanza di speranza per il futuro sono tutti fattori di rischio che generano dipendenza perché le persone soffrono e cercano una soluzione.
Oppiodi ed eroina sembrano essere la solita vecchia soluzione a queste condizioni di sofferenza.
Interventi Sociali: che cosa funziona nel trattamento delle Dipendenze e che cosa no?
Partiamo dagli interventi sociali.
Ricordate il proibizionismo? Quello è stato un enorme fallimento (e una grande opportunità per la mafia).
Un altro è la criminalizzazione delle droghe.
Abbiamo caricato le nostre carceri e prigioni in modo sproporzionato con persone che trasportano, spacciano ed utilizzano sostanze a causa della criminalizzazione dell’uso di sostanze.
Questo, dati epidemiologici alla mano, non ha fatto nulla per ridurre l’epidemia di utilizzo di sostanze, non solo di eroina ed oppiocei.
Un altro approccio è l’atteggiamento paternalistico, minaccioso e l’esortazione: “Non sapete che tutto questo sta distruggendo la vostra vita? Non sapete che state perdendo il controllo su voi stessi?”.
Questo non ha assolutamente alcun effetto, anzi, di solito allontana una persona da chi emana questo genere di messaggi, incluso chi lavora nelle professioni mediche e di aiuto.
Questi sono quattro approcci privi di senso, non stiamo ancora facendo la cosa giusta sul piano sociale.
Vi ricordate cosa abbiamo detto all’inizio? Sul piano sociale, sappiamo tutti, che il migliore intervento è offrire delle soluzioni “sane” ed alternative alle droghe per risolvere i problemi delle persone, psicologici, sociali, relazionali, economici e di stile di vita.
Quali Interventi Sanitari funzionano nel trattamento delle Dipendenze?
Per capire come dobbiamo approcciare sul piano sanitario la dipendenza da sostanze (ma anche la dipendenza in generale, incluse quelle “comportamentali“), è utile fare un breve Tour del nostro cervello.
Ci sono quattro regioni cerebrali specifiche che sono coinvolte nella dipendenza, e se riusciamo ad interagire con esse in maniera efficace possiamo fare la differenza.
La prima, fondamentale, è il centro di reward (di “ricompensa”), l’area tegmentale ventrale e il nucleo accumbens, infatti è proprio qui che la dopamina viene rilasciata in risposta ad esperienze piacevoli.
Questo centro di reward modifica in maniera drammatica il nostro comportamento, le nostre sensazioni e le relazioni con gli altri, mobilitando il cervello verso la ricerca di nuovo piacere.
E tutto questo con le droghe è molto semplice perchè esse garantiscono al massimo la ripetibilità e la stabilità di un esperienza di piacere.
Abbiamo interventi molto efficaci ed approvati che agiscono sul centro di ricompensa: buprenorfina, bupropione, naltrexone; anche altri farmaci possono agire, tramite vie traverse, su questo centro come ad esempio la ketamina ed alcuni antidepressivi.
Al momento questi farmaci sono davvero sottoutilizzati oppure utilizzati male.
Il secondo centro per le dipendenze è il nostro centro di memoria, l’amigdala e l’ippocampo.
Qui è dove codifichiamo la memoria di quando, grazie alle droghe, ci si sentiva davvero bene.
Ricordate i cani di Pavlov? Bene, lui riuscí ad addestrare i cani a sbavare al suono della campana, non al cibo.
Questa è una risposta condizionata, e le risposte condizionate sono tra i più forti, i più potenti fattori di rischio di ricaduta nell’utilizzo di sostanze.
Se qualcuno con una dipendenza in fase di recupero ha un amico che chiama e gli propone di “fare una serata”, questo potrebbe essere un fortissimo spunto per una ricaduta innescata dal centro di memoria, dal riflesso condizionato.
Rispetto alla gestione del centro neuronale della memoria e delle risposte condizionate, abbiamo diversi approcci, in particolare la terapia cognitivo-comportamentale, che sono efficaci nell’aiutare le persone a prevenire le ricadute.
Il terzo centro è la corteccia orbitale frontale, è proprio qui che molti neuroscienziati credono che risieda la motivazione.
Come si fa a rovesciare l’equilibrio in favore della motivazione al cambiamento?
Abbiamo una tecnica molto potente chiamata colloquio motivazionale che è facilmente appresa non solo dai medici o dagli psichiatri, ma da tutto il personale sanitario che lavora per aiutare le persone che dipendono da sostanze.
Il quarto ed ultimo centro è la nostra corteccia prefrontale.
È qui che possiamo avviare attività di elaborazione profonda e superiore delle nostre esperienze con le sostanze.
Il problema è che, come singoli, non abbiamo un freno molto potente.
Allora come possiamo potenziarlo?
Il modo migliore è quello di utilizzare i gruppi di sostegno, Alcolisti Anonimi (“AA”), i Club Alcolisti in Trattamento (“CAT”), la psicoterapia individuale e gli interventi familiari sono tutti rinforzi della corteccia prefrontale e possono essere efficaci nell’aiutare i pazienti a superare i loro problemi di dipendenza.
Infine, ultimo ma non meno importante, gli interventi trasversali su diverse strutture neuronali, che attuiamo quando cerchiamo di correggere le frequenti malattie mentali che si trovano spesso “in associazione” ai disturbi da uso di sostanze: ADHD, disturbo bipolare, depressione, disturbi di personalità, schizofrenia.
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Tutto interessante, ma lo scoglio più grande è riuscire a capire a chi rivolgersi, cosa fare e come gestire una situazione di dipendenza in presenza di disturbo bipolare (sembra questa la diagnosi). Ci si sente soli e disperati. Intuisco che consigli un tanto al chilo non è possibile darli, ma indicazioni di strutture? Grazie e scusi le domande un po’ sulle righe.