Il Disturbo di Depersonalizzazione e Derealizzazione è una psicopatologia più frequente di quanto non si immagini e riguarda l’1,2% della popolazione.
Utilizzo il termine “Depersonalizzazione e Derealizzazione” anche se sarebbe più corretto definirlo “Disturbo di Depersonalizzazione e/o Derealizzazione” in quanto queste due condizioni di alterazione dello stato mentale possono presentarsi da sole o insieme, a seconda dei casi.
Definizione di Depersonalizzazione: si tratta di un’esperienza mentale soggettiva di distacco o estraneamento da se stessi, sia dal proprio corpo che dai propri processi mentali o da ambedue; le persone che sperimentano questo disturbo lo descrivono come se stessero osservando la propria vita dall’esterno.
Definizione di Derealizzazione: è un esperienza di “distacco” analoga a quella precedente ma che riguarda la realtà intorno al soggetto, tutti gli oggetti animati od inanimati ed il fluire della realtà vengono vissuti con irrealtà, lontananza e senso di non appartenenza.
Dato che queste due esperienze di distacco, da noi stessi e dalla realtà attorno, risultano spesse presenti allo stesso tempo nello stesso soggetto e dato che non ci sono evidenze che abbiano origini psicobiologiche distinte, nel DSM-5 è stata adottata una classificazione unica, ovvero “Disturbo da Depresonalizzazione/Derealizzazione” (“DRD“).
È molto importante sottolineare che, per essere diagnosticato come affetto da un disturbo di depersonalizzazione e derealizzazione (“DRD“), un paziente deve sperimentare una depersonalizzazione e/o una derealizzazione persistente (almeno 3 mesi), ricorrente ed associata a disagio e compromissione funzionale che non sia secondaria ad altra patologia psichiatrica, ad una causa medica o all’utilizzo di sostanze.
Ci tengo particolarmente a ricordare che il DRD è spesso sottovalutato e poco conosciuto anche dagli specialisti ed un ritardo nella diagnosi comporta una sofferenza prolungata e un notevole danno esistenziale.
Infatti molto spesso i clinici non prendono in considerazione i sintomi connessi alla depersonalizzazione e/o alla derealizzazione rivolgendo la loro attenzione sui sintomi affettivi o d’ansia.
I sintomi, pur essendo spesso abbastanza tipici e specifici, possono apparire vaghi o metaforici all’occhio di un medico che li ha incontrati raramente e che quindi potrebbe non fidarsi delle proprie conoscenze per fare la diagnosi.
Inoltre altrettanto spesso i pazienti parlano poco volentieri dei loro sintomi e hanno grossi timori nel chiedere aiuto temendo di essere considerati “pazzi” oppure di stare per diventarlo.
I sintomi sono tipicamente molto disturbanti, e a volte invalidanti, e culminano in uno stato soggettivo che il paziente potrebbe descrivere come condizione di “morto vivente” o di “perdita del sé” e, come tali, sono associati a maggiore morbilità e a un certo grado di mortalità.
Anche il comportamento privo di vitalità e robotico che questi pazienti spesso mostrano in un esame iniziale del loro stato mentale può ingannare i clinici e non fargli riconoscere l’estrema sofferenza emotiva di questa psicopatologia.
I Sintomi del Disturbo di Depersonalizzazione e Derealizzazione
Quali sono quindi i sintomi caratteristici del disturbo di depersonalizzazione e derealizzazione?
Ho pensato di riassumerli nella seguente tabella:
- Irrealtà del Sé: distacco dal corpo o da parti di esso, distacco dai propri pensieri, distacco da sentimenti ed emozioni, distacco dai comportamenti con la sensazione di essere “robotico” e di non riuscire a partecipare.
- Appiattimento: scarsa emotività, poche emozioni, scarsa sensibilità alla fame, alla sete, al piacere fisico ed alla libido.
- Alterazioni Percettive: visione offuscata, a “tunnel”, priva di profondità, senso di distacco dalla propria voce, olfatto e gusto poco acuti, smorzati.
- Disintegrazione Temporale: tempo che passa troppo lento o troppo veloce, esperienze passate vissute come troppo remote ed irreali, difficoltà a connettere tra loro gli eventi del passato, difficoltà ad evocare i ricordi.
- Irrealtà dell’Ambiente Circostante: tutto è simile ad un sogno, la realtà è annebbiata oppure “come dietro ad un vetro”, surreale, lontana.
Il decorso del disturbo di depersonalizzazione e derealizzazione può essere intervallato da ricadute e remissioni o avere un andamento continuo e cronico (Simeon et al. 2003). Il secondo caso è più frequente, specialmente nel corso del tempo, e interessa circa i due terzi di tutti i pazienti che ne soffrono.
Il grado di compromissione del funzionamento occupazionale e/o interpersonale è variabile: si possono avere casi molto invalidanti ed altri ad altissimo funzionamento, sebbene sia presente sempre un notevole livello di sofferenza.
I questionari di self-report possono essere d’aiuto per confermare la diagnosi di disturbo di depersonalizzazione e derealizzazione, specialmente per quei medici che non hanno molta familiarità con i sintomi dissociativi.
La Dissociative Experiences Scale (Bernstein-Carlson e Putnam 1993) è una scala ampiamente utilizzata che include diversi item relativi alle esperienze di depersonalizzazione/derealizzazione e l’approvazione di altri item riguardanti l’amnesia e l’alterazione dell’identità dovrebbe essere molto bassa.
Anche la Cambridge Depersonalization Scale (Sierra e Berrios 2000), più specifica per questo disturbo, è un questionario di self-report costituito da 29 items che può risultare molto utile.
Il Trattamento del Disturbo di Depersonalizzazione e Derealizzazione
Una volta formulata la diagnosi definitiva è possibile mettere in atto le vari opzioni terapeutiche.
Il trattamento di tutti i pazienti affetti da DRD, specialmente considerando che il DRD non è un disturbo molto conosciuto, dovrebbe comprendere sempre elementi di psicoeducazione e un’iniziale psicoterapia di supporto.
Tra le psicoterapie Utilizzate abbiamo:
- Psicoterapia Psicodinamica, secondo l’ipotesi che una persona in cui la coesione o la stabilità delle autorappresentazioni siano profondamente minacciate potrebbe fare ricorso alla depersonalizzazione, cioè a una disconnessione dal sé, in risposta a cambiamenti travolgenti (a non sta succedendo a me”).
- Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale, nell’ipotesi che il disturbo, al di là della motivazione per cui si innesca, venga sostenuto e mantenuto per un eccessivo monitoraggio dei sintomi o per l’attribuzione che ad essi si danno di conseguenze troppo minacciose o catastrofiche sulla propria esistenza.
Rispetto agli interventi psicofarmacologici vanno ricordati:
- SSRI (inibitori del reuptake della serotonina): hanno dimostrato, insieme agli antidepressivi triciclici, buona efficacia nel trattamento dei sintomi da DRD.
- Lamotrigina.
- Naltrexone.
- Benzodiazepine, per brevi periodi e a basso dosaggio.
This work is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.
Ultimi post di Valerio Rosso (vedi tutti)
- Neurobiologia del Piacere e della Felicità - 27/05/2023
- Brain Restart: i migliori PSICONUTRACEUTICI - 17/05/2023
- Psichiatria per Psicologi: il miglior libro per superare esami e concorsi. - 07/05/2023
Lascia un commento