Ho deciso di riportare sul mio blog questa mia prospettiva sulla psichiatria non tanto per esprimere un semplice parere personale, ma per provare a ragionare intorno ad alcuni fatti che hanno molto a che vedere con il mio lavoro e con la mia identità professionale ed umana.
La medicina (quindi in teoria anche la psichiatria), a suo grande merito, è diventata negli ultimi 80 anni il simbolo più visibile di un Grande Progetto Illuminista in cui il progresso scientifico ed il suo metodo avrebbero sconfitto i due grandi mali dell’ignoranza e della sofferenza, a beneficio di tutti.
Al di la di che cosa simbolizzi in realtà la scienza medica, non è ancora chiaro se essa abbia raggiunto questo scopo così ambizioso, in particolar modo per quello che riguarda la disciplina della psichiatria.
Per prima cosa vorrei dirvi che il termine arbitrario di “Psichiatria Analogica” è ormai diventato sinonimo della “Psichiatria Biologica” o meglio di un’approccio alla malattia mentale basato sull’idea che esista un farmaco per correggere ogni stato emotivo.
E quindi vorrei ulteriormente sottolineare che con il termine “Psichiatria Biologica” non intendo il senso letterale preciso di questa espressione, bensì mi riferisco alla prospettiva del “riduzionismo biologico” a cui siamo stati lentamente abituati negli ultimi 80 anni e che ha violentemente sostituito il senso profondo di un ipotesi teorica tutt’altro che deprecabile.
Che cosa c’è nel sapere medico, se non la biologia? Con che cosa possiamo entrare in contatto se non con il nostro corpo e con le sue manifestazioni fisiche (onde sonore, motricità, secrezioni e odori)? Che cosa c’è dietro al nostro vissuto e al nostro comportamento se non un sistema complesso e non lineare di interazioni neurali?
Purtroppo e per fortuna questa è l’unica posizione scientificamente accettabile, ad oggi.
Quindi a tramontare non è la biologia ma il riduzionismo biologico, ovvero il “far le cose semplici”.
Dopo il tramonto, verso la fine degli anni Novanta, del mito di questa “psichiatria biologica semplificata” di provenienza prevalentemente statunitense il ruolo della psicofarmacologia è stato indubbiamente ridimensionato, per lo meno a livello di letteratura scientifica indipendente, anche se gli psicofarmaci restano ancora medicine molto prescritte, spesso sovra prescritte in maniera spesso inappropriata.
Ormai sono in molti ad aver capito (ed in moltissimi iniziano a sospettarlo fortemente) che il nostro sistema nervoso è troppo complesso, in se e nelle sue relazioni con l’ambiente e con gli altri, per pensare che siano gli psicofarmaci lo strumento principe per portare sollievo e serenità a chi soffre di un disturbo mentale.
Sono indubbiamente uno degli strumenti, ma non sono il solo strumento.
E questo preoccupa gli psichiatri perché gli psicofarmaci sono un loro dominio assoluto, il loro strumento esclusivo che li differenzia da psicologi, counselor o altri operatori della salute mentale.
Come si dice: quando hai solo un martello allora tutto sembra un chiodo….
Ma se decidiamo di prenderci cura della salute mentale delle persone le cose si complicano e gli psicofarmaci non sono abbastanza.
Di cos’altro abbiamo bisogno?
La lista è piuttosto precisa e non troppo lunga:
- una psicoeducazione precisa e comprensibile
- un corretto intervento psicoterapeutico
- un intervento di counseling motivazionale rivolto al cambiamento di alcuni stili di vita e comportamenti disfunzionali
- la possibilità di confrontarsi in maniera gruppale con persone che hanno sperimentato lo stesso disagio mentale
Ma queste cose non si fanno. Quasi mai, purtroppo.
Purtroppo abbiamo ormai compreso che la soluzione di fornire supporto umano specialistico rispetto a tutti questi interventi a tutti coloro che soffrono di un disturbo mentale non è percorribile perché siamo in troppi sul Pianeta, questi pazienti sono troppi, il “tempo uomo” necessario è molto alto ed i costi relativi sono insostenibili sia per i singoli che per la Società.
È ovvio che solo una piccola porzione della popolazione, ricca, colta e consapevole, potrebbe giovarsi del miglior intervento terapeutico possibile per la sua patologia.
Date un’occhiata a questo grafico sulla “miscela più appropriata di interventi terapeutici” per alcune psicopatologie:
Una corretta miscela di psicofarmaci, psicoterapia, psicoeducazione e consapevolizzazione della popolazione è senza dubbio la soluzione perfetta, ma è raramente ottenibile tramite l’attuale paradigma di intervento, per lo meno non su scala globale.
Tutto questo per dire che il vero lavoro terapeutico (il “gold standard“) per aiutare i pazienti nell’ambito della salute mentale è davvero complesso, molto oneroso sul piano emotivo e anche estremamente dispendioso in termini di tempo e di energie, dando per scontato, e non è per nulla così, di possedere uno sterminato plotone di operatori perfettamente preparati ed equilibrati sul piano professionale e di metodo.
Inoltre da non sottovalutare è anche la constatazione che il concetto di malattia mentale necessita di una revisione nelle sue componenti sociali e culturali che, se correttamente pensata ed attuata, avrebbe notevolissime ripercussioni sul piano dell’organizzazione della nostra Società e richiederebbe appropriate risorse comunicative.
Sto parlando dell’annosa questione di come fare a restare sani in un Mondo profondamente ammalato.
In sintesi estrema il “gold standard” di cura in psichiatria è un lavoro utopico e sovra umano per l’attuale psichiatria analogica che si appoggia in maniera inefficace a forze lavoro di scarsa qualità, poco coordinate tra loro e spesso insufficienti in termini di “tempo uomo” disponibile per ogni singolo paziente.
Quindi il concetto di “tramonto della psichiatria analogica” e la parallela “alba della psichiatria digitale” si riferisce esplicitamente al fatto che una parte del peso di questo lavoro sovra umano potrebbe essere, per quanto possibile, affidato a qualche cosa di non umano.
Un istanza operativa non umana, ovvero un algoritmo (in qualsiasi forma ed incarnazione lo si voglia intendere) potrebbe davvero rappresentare il futuro della psichiatria?
Interventi digitali in appoggio al paradigma biologico della psichiatria
Nell’immagine che segue ho riasunto un modello di intervento rivolto al disturbo depressivo basato sull’Augmentation dell’intervento psicofarmacologico classico mediante risorse digitali:
Quanti pazienti ricevono un intervento completo di questo tipo tramite l’attuale paradigma “analogico” della psichiatria?
Molto pochi direi, una percentuale minima.
È importante ricordarci che le cose stanno cosí e che la ragione di questa mancanza di applicazione delle migliori cure possibili alla popolazione risiede in quanto detto prima: assenza di “tempo uomo”, costo del tempo uomo, coordinamento dei vari interventi tra loro, e infine preparazione, standardizzazione, efficienza ed efficacia delle risorse umane.
Tramite la medicina digitale questo gap tra il “mondo ideale” ed il “mondo reale” potrebbe essere colmato.
Lo tsunami di disagio mentale che farà seguito alla pandemia da COVID-19
Una necessità importante per iniziare ad immaginare concretamente il passaggio tra psichiatria analogica, basata sull’ipotesi di interventi fondati sul riduzionismo biologico, e psichiatria digitale, basata sull’integrazione di tutte le “anime” della salute mentale, sarà proprio lo tsunami di disagio mentale che farà seguito alla pandemia da COVID-19.
Molto probabilmente non ci sarà un reale aumento di patologie come la depressione, il disturbo bipolare, la schizofrenia o veri e propri disturbi d’ansia.
Quello che ci dicono i fatti è che sarà lo stress cronico connesso a disoccupazione, restrizione della libertà, disagio economico, elaborazione del lutto e difficoltà relazionali a colpire una grossa fetta della popolazione.
Quindi sul piano psicopatologico le conseguenze di tutto questo stress cronico saranno i disturbi dell’adattamento, una categoria quasi completamente ignorata e non nominata dalla psichiatria e dagli psichiatri perché poco aggredibile sul piano psicofarmacologico.
E quindi cosa potrà pensare di fare la psichiatria mondiale per aiutare una popolazione che subirà conseguenze importanti sul piano del disagio mentale in ragione di un aumentata esposizione a forti fattori di stress cronici?
Quale sarà il carico di disagio mentale da affrontare?
Si può immaginare di garantire la giusta miscela di interventi terapeutici utilizzando solo gli esseri umani tramite il nostro sistema sanitario nazionale messo a dura prova dalla pandemia oppure facendo uso di operatori della salute mentale privati che non potranno essere pagati dalla maggior parte della popolazione?
Gli anni a seguire spingeranno tutti noi che operiamo nel campo della psichiatria e della psicologia a dover immaginare di essere aiutati nella gestione del disagio mentale da parte di istanze digitali ed algoritmi che dovranno essere organizzati in un ecosistema digitale per la salute mentale.
Verso la Disintermediazione della Sanità
Come sarà quindi immaginabile un possibile scenario di medicina digitale applicata alla salute mentale?
Non è più possibile immaginare una sanità completamente mediata dall’intervento umano, per lo meno se vogliamo garantire un aiuto concreto a tutta la popolazione e non ad una parte privilegiata di persone, più ricche, più consapevoli e più istruite.
Osserveremo di sicuro lo stravolgimento della presa in cura del paziente in molti punti di questo processo in cui il digitale si integrerà all’intervento umano.
- Avvicinamento del Paziente alla presa in cura: si dovranno informare le persone e psicoeducarle rispetto alle possibili problematiche di salute mentale mediante la comunicazione digitale.
- Prima valutazione: il triage del paziente candidato ad una presa in cura potrà essere attuato mediante attività psicometrica automatizzata.
- Gestione degli eventi “ad alto rischio”: violenza e suicidio potranno essere pre-valutati con il digitale (tramite l’Intelligenza Artificiale) e poi gestiti in maniera specifica dal personale umano.
- Presa in cura “puntiforme” contrapposta ad una presa in cura “continua”: la gestione attuale dei pazienti prevede il vecchio paradigma di una serie di valutazioni spaiate e dislocate nel tempo; nel prossimo futuro tramite il digitale e l’approccio narrativo al paziente e al suo disturbo sarà possibile garantire una presa in cura “continua” e non interrotta 24/7 mediante un ecosistema digitale che misceli interventi umani ed algoritmi.
- Erogazione digitale di counseling, colloquio motivazionale e psicoterapia CDB mediante Terapie Digitali (DTx).
- Utilizzo massivo della Telemedicina per gli interventi in remoto mediati da umani: per abbattere le distanze, accelerare le prestazioni, favorire l’accesso.
Bibliografia:
- Van Praag HM. Biological psychiatry: still marching forward in a dead end. World Psychiatry. 2010 Oct;9(3):164-5. doi: 10.1002/j.2051-5545.2010.tb00301.x. PMID: 20975860; PMCID: PMC2948723.
- James Le Fanu, The rise and fall of biological psychiatry, Brain, Volume 137, Issue 6, June 2014, Pages 1850–1852, doi.org/10.1093/brain/awu085
- Hasler G. Understanding mood in mental disorders. World Psychiatry. 2020 Feb;19(1):56-57. doi: 10.1002/wps.20719. PMID: 31922695; PMCID: PMC6953576.
- Van Praag HM. Over the mainstream: diagnostic requirements for biological psychiatric research. Psychiatry Res 1997;72:201-12.
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