Cosa sono e quali sono le applicazioni terapeutiche dei Big Data e del Machine Learning in Psichiatria?
In psichiatria molti dei pazienti non rispondono al primo trattamento, spesso devono essere tentate differenti terapie prima di trovare quella che funzioni; ciò comporta un lungo periodo in cui i sintomi non sono efficacemente trattati.
In questa branca infatti per ottenere una buona risposta terapeutica è necessario andare oltre i sintomi osservabili nel paziente per individuare qual è disturbo psichico sottostante che li causa. Inoltre non è ancora possibile predire quale tipo di trattamento risulterà più efficace per un determinato paziente.
Ad esempio in un gruppo di pazienti depressi: alcuni risponderanno a una terapia antidepressiva con Inibitori della Ricaptazione della Serotonina (SSRI); altri a inibitori della Ricaptazione della Serotonina e Noradrenalina (SNRI); altri a differenti farmaci antidepressivi come i multimodali e altri ancora alla psicoterapia.
Ad oggi non siamo in grado di individuare i fattori che mi permettano di predire a quale trattamento risponderà un dato paziente e quindi qual è quello più indicato per lui.
Individuare dei fattori predittivi di risposta terapeutica permetterebbe di utilizzare da subito la terapia più efficace per ciascun paziente. Questo porterebbe enormi vantaggi in termini di salute mentale, sociali ed economici per il singolo individuo, per la collettività e il sistema sanitario nazionale. Diventa quindi prioritaria in psichiatria la ricerca di veri e propri biomarker, in grado di predire accuratamente la risposta dei pazienti a uno specifico trattamento.
L’ applicazione del Machine Learning e l’utilizzo dei Big Data in psichiatria permetterà di soddisfare questa esigenza. C. M. Gillan & R. Whelan, due ricercatori del Trinity College di Dublino, pubblicata sulla rivista Current Opinion in Behavioral Sciences nel 2017.
Con Machine Learning, essenzialmente sinonimo di (Data-Mining e Statistical Learning); si indica una classe di approcci di analisi dei dati che si concentrano sulla costruzione di algoritmi predittivi piuttosto che sull’interpretazione del campione analizzato. Si tratta di “addestrare” un algoritmo a identificare quali differenti fattori alla base (variabili demografiche, cliniche, cognitive e neurobiologiche) predicano un risultato futuro, come ad esempio il tasso di risposta a una terapia.
Gli autori forniscono indicazioni per un utilizzo corretto dei Big Data in psichiatria:
- Utilizzare campioni con molti pazienti, per aumentare il potere statistico e la riproducibilità dei risultati.
- Validare i biomarker individuati sia all’interno del campione, ma soprattutto su gruppi di pazienti esterni.
- Utilizzare molteplici e appropriati parametri per misurare il potere predittivo (Sensibilità, Specificità, Valori predittivi Positivo e Negativo).
- Considerare nell’ algoritmo predittivo le diverse conseguenze dei tipi di errore possibile; la differenza ad esempio tra trattare qualcuno che non migliorerà rispetto al non trattare qualcuno che potrebbe migliorare).
- Condividere liberamente i modelli e i dati, al fine facilitare il confronto e ampliare il campione di validazione.
Sarà inoltre mantenere un interpretazione critica dei modello predittivi generati su tre livelli:
- Semplificazione continua mantenendo solo i fattori decisivi.
- Plausibilità sulla base delle teorie neuroscientifiche.
- Considerare i possibili fattori confondenti.
Spesso all’approccio di Machine Learning (Data-Driven), cioè derivato dai dati, viene opposto quello Theory-Driven (guidato da conoscenze teoriche); un esempio di quest’ultimo tipo è quello proposto dal movimento della psichiatria computazionale. Questa si prefigge di migliorare l’efficacia delle terapie in psichiatria attraverso lo studio dei fenomeni psichici con modelli matematici dettagliati del funzionamento cerebrale. L’ idea è che una conoscenza precisa, con calcoli e misure, dei processi neurobiologici collegati ai differenti sintomi, possa portare allo sviluppo di diagnosi più accurate e terapie più efficaci.
Gli autori ritengono tale movimento interessante, ma non sono certi possa portare a effettivi miglioramenti delle terapie psichiatriche; un problema di fondo infatti è che, come nelle altre branche della medicina, lo stesso sintomo può essere causato da alterazioni biologiche e fisiopatologiche differenti. Senza considerare il fatto che identificare la causa di un sintomo non porta automaticamente alla sua risoluzione. Rimarrebbe insoddisfatta infatti la necessità di trovare i biomarker, menzionati prima, che permettano di scegliere il trattamento più efficace per ciascun paziente.
Per questo l’applicazione del Machine Learning e l’utilizzo dei Big Data in psichiatria presentano importanti vantaggi anche rispetto al moderno approccio della Psichiatria Computazionale.
Il Machine Learning permetterà di sviluppare, da grandi quantità di dati, algoritmi di predizione personalizzabili sul singolo paziente; si punta infatti all’accuratezza della predizione di un modello, a differenza degli approcci Theory-Driven in cui ci si concentra sull’interpretazione dei dati. Tuttavia modelli Theory-Driven e Data-Driven potranno essere utilizzati in maniera complementare; i primi permettono infatti di scegliere le variabili da cui partire per la costruzione degli algoritmi di Machine-Learning.
Machine-Learning, già solo il termine in sé, potrebbe far temere una disumanizzazione e un riduzionismo della pratica clinica e della ricerca scientifica. Tali timori tuttavia sono infondati: questi algoritmi ci permetteranno di scegliere le terapie in maniera più accurata; ma anche di orientare e accelerare il progresso della ricerca scientifica. Il ricercatore potrà identificare infatti quali sono i processi neurobiologici e psichici che sottendono alla validità dello stesso biomarker.
In letteratura troviamo già alcuni esempi di algoritmi. Uno studio ha identificato quali sintomi iniziali della depressione predicono un migliore risposta alla terapia psicofarmacologica (Uher et al., 2012); un altro la differente sensibilità alla terapia psicofarmacologica di sintomi depressivi tipici, atipici e correlati all’insonnia (Chekroud et al., 2016); un altro ancora ha individuato i fattori che sembrerebbero predire il farmaco più efficace per ciascun sottogruppo di pazienti (Chekroud et al., 2017).
L’obiettivo del Machine Learning e dei Big Data in Psichiatria è di individuare biomarker che siano validi non solo nel gruppo di pazienti studiati; ma che mi permettano di studiare tutti coloro che presentano quel dato disturbo.
Ma questi biomarker nella pratica cosa sono? Possono essere valutazioni sui sintomi riportati dal paziente; risultati di interviste somministrate dal clinico; reperti di indagini strumentali come la Risonanza Magnetica Cerebrale e l’Elettroencefalogramma; ma anche a fattori genetici ed epigenetici. L’ utilizzo del Machine Learning e dei Big Data in Psichiatria presenta per questo un ulteriore vantaggio; permetterà infatti di valutare quali fattori sono realmente decisivi per la predizione di un outcome; ed eliminare così quelli superflui o il cui apporto è irrisorio a fronte di costi o complessità elevati.
Bibliografia:
- Dwyer DB, Falkai P, Koutsouleris N. Machine Learning Approaches for Clinical Psychology and Psychiatry. Annu Rev Clin Psychol. 2018 May 7;14:91-118. doi: 10.1146/annurev-clinpsy-032816-045037. Epub 2018 Jan 29. PMID: 29401044.
- Chekroud AM, Gueorguieva R, Krumholz HM, Trivedi MH, Krystal JH, McCarthy G: Reevaluating the efficacy and predictability of antidepressant treatments: a symptom clustering approach. JAMA Psychiatry 2017
- Chekroud AM, Zotti RJ, Shehzad Z, Gueorguieva R, Johnson MK, Trivedi MH, Cannon TD, Krystal JH, Corlett PR. Cross-trial prediction of treatment outcome in depression: a machine learning approach. Lancet Psychiatry 2016, 3:243-250.
- Gillan C M & Whelan R. What big data can do for treatment in psychiatry, Current Opinion in Behavioral Sciences 2017, 18:34–42
- Uher R, Perlis RH, Henigsberg N, Zobel A, Rietschel M, Mors O, Hauser J, Dernovsek MZ, Souery D, Bajs M et al.. Depression symptom dimensions as predictors of antidepressant treatment outcome: replicable evidence for interest-activity symptoms. Psychol Med 2012, 42:967-980.
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