Come fare a scegliere il giusto psicofarmaco?
Qualcuno sostiene che la psicofarmacologia sia una disciplina al confine tra scienza ed arte, e probabilmente non è scorretto affermarlo.
In questo articolo vi espongo alcune considerazioni generali, aspecifiche ma piuttosto di metodo, per approcciarsi correttamente alla scelta del giusto psicofarmaco per una data psicopatologia.
Scegliere il giusto psicofarmaco: Introduzione
Come tutte le aree della medicina, quella che possiamo chiamare, quindi, anche l’arte della psicofarmacologia si basa su una diagnosi corretta e sulla definizione di quello che possiamo intendere per “risposta alla terapia“.
Prima di prescrivere un farmaco psicotropo o una TEC, occorre fare una valutazione accurata allo scopo di (1) stabilire la diagnosi, il decorso della malattia e i sintomi bersaglio; (2) decidere se la diagnosi e i sintomi bersaglio possano rispondere ai farmaci (ad es., una disforia collegata a problemi familiari non dovrebbe essere generalmente trattata con farmaci, a meno che sia presente un’altra condizione responsiva ai farmaci, come una depressione maggiore o una bipolarità); (3) escludere cause non psichiatriche, come le malattie endocrine o neurologiche e l’abuso di sostanze; (4) rilevare la presenza di altri problemi medici che influenzano la scelta del farmaco, come le malattie epatiche e cardiache; (5) valutare altri farmaci che il paziente assume e che possono causare interazioni farmacologiche; e (6) valutare l’anamnesi personale e familiare delle risposte ai farmaci.
Il concetto di Sintomi Bersaglio
Una componente chiave di una decisione ben ponderata sull’uso di un farmaco è la definizione dei sintomi bersaglio.
Il medico dovrebbe determinare ed elencare i sintomi specifici designati per il trattamento e monitorare la risposta di questi sintomi alla terapia.
I colloqui psichiatrici semistrutturati standard, come la Schedule for Affective Disorders and Schizophrenia (SADS; Endicott e Spitzer 1978) e la Structured Clinical Interview for DSM-V (SCID; Spitzer et al. 1990 aggiornata negli anni 2000), e le scale di valutazione, come la Hamilton Depression Rating Scale (HDRS; Hamilton 1960) e la Overt Aggression Scale (GAS; Silver and Yudofsky 1991; Yudofsky et al. 1986), forniscono metodi e strutture specifici per valutare i sintomi e i comportamenti bersaglio e servono anche a monitorare le variazioni dopo terapia.
In mancanza di scale di valutazione formali, i sintomi bersaglio possono essere valutati su una scala 1-10.
Il problema delle Politerapie
Un errore clinico frequente e pericoloso è il trattamento psichiatrico in politerapia di sintomi specifici di una malattia, in luogo del trattamento più specifico della malattia stessa.
Ad esempio, non è raro che uno psichiatra veda in consulenza un paziente che assume un tipo di benzodiazepine per l’ansia, un altro tipo di benzodiazepine per l’insonnia, un analgesico per i disturbi somatici aspecifici e un antidepressivo sottodosato per sensazioni di tristezza.
Spesso, i disturbi somatici, l’insonnia e l’ansia sono componenti di una depressione sottostante, che può essere aggravata dall’approccio polifarmacologico tipico della terapia sintomatica.
D’altro canto, è anche vero che ci sono molti pazienti le cui condizioni psichiatriche richiedono l’uso concomitante di più agenti psicotropi.
L’uso razionale e attentamente valutato di molti farmaci psichiatrici va distinto da una politerapia mal ponderata ed è, sempre, basato su studi di evidenza ben disegnati e replicati più volte.
Un esempio di utile terapia di associazione è l’aggiunta di litio all’antidepressivo nei pazienti che hanno tratto un beneficio solo parziale dal solo antidepressivo, oppure la combinazione di di diversi stabilizzatori in pazienti bipolari con risposta parziale ad un solo stabilizzatore.
La scelta dello Psicofarmaco
La scelta di uno psicofarmaco per una diagnosi o sintomo viene fatta sulla base di considerazioni specifiche sia per il paziente che per il farmaco.
I fattori specifici per il paziente comprendono malattie mediche o psichiatriche associate, assunzione di altri farmaci, anamnesi precedente di risposta a un farmaco, anamnesi familiare di risposta a farmaci e circostanze della vita che possano essere influenzate dagli effetti collaterali dell’agente scelto.
Ad esempio, per un anziano con depressione e ipertrofìa prostatica, bisognerebbe scegliere un antidepressivo con minime proprietà anticolinergiche per evitare la ritenzione urinaria.
Per un paziente con disturbo di panico e depressione maggiore bisognerebbe scegliere un antidepressivo che tratti anche il disturbo di panico.
Per un pittore con disturbo bipolare, un farmaco che causi tremore delle mani può essere problematico.
Per una donna che assume anticoncezionali orali, la carbamazepina può aumentare il metabolismo epatico del contraccettivo, riducendone quindi l’effìcacia.
I pazienti spesso, ma non sempre (Post et al. 1992), rispondono positivamentè ai farmaci che sono stati utili in passato.
Ad esempio, un soggetto con depressione grave precedentemente responsiva ai triciclici, ma attualmente non responsiva a vari antidepressivi di nuova generazione, potrebbe rispondere ancora ad un triciclico.
Il medico deve inoltre considerare le capacità fisiche, intellettive e psicologiche del paziente e di chi se ne occupa, quando sceglie un nuovo farmaco.
Ad esempio, nei pazienti con demenza può non essere sicuro utilizzare un inibitore delle monoaminossidasi (IMAO), per cui è importante ricordare le restrizioni dietetiche e le potenziali interazioni farmacologiche.
Un paziente anziano con lieve compromissione mnesica può avere diffìcoltà a seguire le istruzioni sull’aumento del dosaggio di un antidepressivo.
In genere, più complicate sono le istruzioni e quanti più farmaci vengono prescritti, tanto maggiori difficoltà avrà il paziente a seguire la terapia.
I fattori specifìci per un farmaco comprendono la disponibilità delle preparazioni e il costo.
Nella maggior parte dei casi si preferisce la monosomministrazione per la comodltà del paziente e l’adesione alla terapia.
La valutazione della risposta ad uno psicofarmaco
Con il paziente vanno sempre discussi e messi in chiaro durata ed obiettivi di un trattamento psicofarmacologico: il piano terapeutico dovrebbe prevedere un dosaggio e una durata predeterminati che forniscano un ciclo adeguato di farmaco.
Troppo spesso i farmaci vengono sospesi senza il beneficio di un ciclo adeguato (ad es., dosaggio o durata del trattamento inadeguati).
Oppure impostati come un ciclo indeterminato, “per sempre”, senza parlare di quali obiettivi ci poniamo sul piano clinico.
Un piano terapeutico dovrebbe essere rivisto se il paziente ha una sensibilità eccessiva al farmaco, se emergono effetti pericolasi o disabilitanti o se il paziente non risponde a un ciclo adeguato.
In questi casi, può essere indicata una rivalutazione diagnostica del paziente, con esami ulteriori per evidenziare qualsiasi malattia non psichiatrica occulta che non è risultata evidente alla prima valutazione, ma che potrebbe spiegare la persistenza dei sintomi.
Diversi approcci terapeutici variano da un secondo ciclo con una classe correlata di formaci all’uso di metodi terapeutici complementari o diversi.
Ad esempio, un paziente la cui depressione delirante non risponde al trattamento combinato con agenti antipsicotici e antidepressivi e in cui una valutazione accurata non rivela una causa fisica sottostante può essere un candidato alla TEC.
Infine, nei pazienti non responsivi bisogna determinare un punto finale per il trattamento.
Troppo spesso, la terapia è continuata oltre il punto in cui si ottiene un beneficio terapeutico.
Un esempio comune è l’uso delle benzodiazepine per il trattamento dell’ansia in cui i pazienti possono essere mantenuti per anni senza la valutazione del beneficio terapeutico tramite una graduale sospensione.
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