Con questo post vi voglio proporre un breve compendio sulle basi biologiche della mente umana, dedicato a psicologi, studenti di medicina, specializzandi e appassionati di Neuroscienze.
La promessa è che, in circa un’ora di lettura, potrete avere le basi neuroscientifiche della psichiatria e della psicologia.
Spero troverete questo compendio interessante ed utile anche se, ovviamente, non esaurisce neppure lontanamente l’argomento delle basi neuroscientifiche della Mente e del Comportamento umano.
Introduzione alle Basi Biologiche della Mente
Negli ultimi cento anni i progressi della ricerca sulla biologia del cervello ed i suoi correlati psichici sono avanzati a un ritmo sempre più rapido e hanno raggiunto un punto in cui le neuroscienze possono, a ragione, essere considerate le basi biomediche della psichiatria.
La crescita esponenziale della comprensione dell’organizzazione e della funzione del sistema nervoso centrale ha reso possibile l’inizio dell’analisi del comportamento a livello di tessuto nervoso, di cellule e di molecole.
Da molti decenni alcune metodologie di ricerca, quali la risonanza magnetica funzionale, la spettroscopia e la tomografìa a emissione di positroni ci permettono di caratterizzare alcune anomalie strutturali, metaboliche e fìsiologiche del cervello dei pazienti psichiatrici in vivo.
I paralleli progressi a livello cellulare e molecolare ci permetteranno di definire le basi genetiche della vulnerabilità nei confronti dei disturbi del comportamento e, in ultimo, di determinare i meccanismi cellulari e molecolari responsabili dei disturbi psichiatrici.
Questi sviluppi stanno restringendo progressivamente la cartesiana divisione tra psiche e cervello, migliorando la nostra capacità di correlare l’esperienza psichica con i processi neuronali e neurofisiologici.
Le ricerche portate avanti nel campo delle neuroscienze offrono alla psichiatria importanti opportunità di trattamento del paziente e, a lungo termine, ci permetteranno di comprendere meglio l’esperienza e il comportamento umano.
Pertanto, è essenziale per gli psichiatri (ma anche per gli psicologi e molte altre figure sanitarie) tenere sotto controllo questa area della conoscenza in così rapida evoluzione.
Di conseguenza l’obiettivo di questo post è di affrontare alcuni aspetti molecolari, cellulari e neurofisiologici di base della ricerca neuroscientifica.
Non sarà sicuramente possibile, in questo spazio limitato, trattare in profondità la totalità dei progressi della ricerca sulle basi biologiche della mente, che è in costante evoluzione; quello che faremo sarà di trattare tutti quegli argomenti che hanno un effetto diretto sulla psichiatria.
Anatomia e funzioni del Neurone
Il neurone è un tipo di cellula altamente specializzata, sia anatomicamente che biochimicamente, al fine di svolgere delle funzioni altamente specializzate di elaborazione delle informazioni mediante segnali di tipo elettrico e biochimico.
All’interno del sistema nervoso, vi sono centinaia di tipi diversi di neuroni, ciascuno dedicato a funzioni speciali.
Al contrario di molti altri tipi cellulari, come quelli che costituiscono il fegato, l’epidermide o il sistema emopoietico, che possono mantenere la capacità di dividersi per tutta la vita dell’individuo, i neuroni non si dividono più dopo che sono maturati.
Questa incapacità della maggior parte dei neuroni di andare in mitosi ha ovvie implicazioni per gli effetti irreversibili dei danni al sistema nervoso, nonostante si sia osservato che i neuroni dell’ippocampo possono sviluppare mitosi.
Il neurone può essere suddiviso in quattro componenti distinte: il corpo cellulare (o pericario), i dendriti, l’assone e le terminazioni presinaptiche.
La maggior parte della sintesi delle proteine e delle altre componenti strutturali dei neuroni generalmente avviene nel pericario, ovvero all’interno del corpo cellulare, sebbene vi siano sempre più prove che vi sia una sintesi specializzata di proteine anche nei dendriti.
Situato all’interno del pericario del neurone c’è il nucleo, che contiene il materiale genetico sotto la classica forma di acido desossiribonucleico (DNA).
L’informazione per la sintesi proteica è quindi codificata dai geni contenuti nel DNA; queste informazioni genetiche vengono poi lette attraverso un procedimento chiamato trascrizione, in cui il DNA serve da riferimento per la sintesi dell’acido ribonucleico (RNA).
Il trascritto primario di RNA che ne deriva viene quindi elaborato per ottenere un RNA messaggero (mRNA) defìnitivo, che viene trasportato al di fuori del nucleo nel citoplasma del pericario.
In questa sede l’mRNA viene tradotto in proteine all’interno di organelli intracellulari chiamati ribosomi.
La ricca concentrazione del sistema di sintesi RNA-proteine che circonda il nucleo nel pericario rappresenta la sostanza di Nissl, che si osserva con alcune metodiche classiche di colorazione dei neuroni nel tessuto cerebrale.
La traduzione delle proteine avviene per la maggior parte nel pericario, ma a partire dall’inizio degli anni 2000 sono stati osservati ribosomi attivi nei dendriti, a riprova la possibilità che il controllo locale della traduzione delle proteine possa avvenire mediante processi di segnale neurale.
La dimensione del pericario neuronale è grossolanamente proporzionale alla sua estensione di dendriti e assoni.
Deve essere sottolineato che solo una percentuale molto piccola del volume neuronale è contenuta all’interno del corpo del neurone; la maggior parte del volume cellulare è distribuita lungo l’assone e nell’albero dendritico.
Per questa ragione, la richiesta metabolica e di attività sintetica al pericario del neurone è considerevole, poiche il pericario mantiene tutto il restante neurone.
Le proteine sintetizzate all’interno del pericario sono trasferite all’assone e ai dendriti mediante un trasporto assoplasmatico per rimpiazzare i componenti inattivati o degradati.
Per contro, i prodotti di degradazione delle proteine strutturali e con funzione metabolica nell’assone e nei dendriti vengono spesso trasportati indietro al corpo cellulare per essere riprocessati.
L’assone è una sottile estensione tabulare dal cellulare neuronale attraverso il quale gli impulsi elettrici vengono condotti alle terminazioni nervose.
I neuroni generalmente emettono un solo singolo assone, la cui lunghezza varia da meno di un millimetro per gli interneuroni a oltre un metro per i motoneuroni che innervano gli arti.
L’assone, quando si avvicina al suo campo terminale di innervazione, può ramifìcarsi in varia misura, secondo il numero di neuroni con cui esso forma contatti sinaptici, scambiando informazioni elettriche e/o biochimiche.
Alcuni neuroni hanno contatti sinaptici molto limitati, mentre altri, come quelli dopaminergici nigrostriatali, hanno assoni che possono arborizzarsi in modo incredibile per contattare milioni di neuroni nel loro campo di innervazione.
I dendriti sono sottili estensioni tubulari multiple del corpo cellulare del neurone che funzionano da struttura primaria per la ricezione dei contatti sinaptici da altri neuroni.
Quali funzioni svolgono i neuroni del Sistema Nervoso Centrale (SNC)?
I neuroni sono generalmente coinvolti nell’integrazione di molteplici informazioni sinaptiche.
Per chi si occupa di psichiatria e psicologia sarà sicuramente già chiaro che il tessuto nervoso, ed i neuroni che lo compongono, sono resposabili di quell’epifenomeno che noi chiamiamo “Mente“, che è l’oggetto dello studio di psicologi e psichiatri.
I singoli neuroni, le vie nervose in cui si organizzano o i centri di elaborazione del segnale non sono ancora completamente compresi nelle loro funzioni anche se è ovvio che risiedono li le basi biologiche della mente.
In ogni caso siamo ormai certi che la funzione sinaptica è senz’altro il “luogo” in cui il fenomeno della mente prende forma e quindi la complessità degli alberi dendritici, in qualche modo, rende ragione del fenomeno complesso che è la mente.
Alcuni neuroni, quali le cellule del Purkinje nel cervelletto e quelli componenti la sostanza reticolare del tronco encefalico, che hanno importanti funzioni integrative, possiedono alberi dendritici molto estesi che ricevono segnali sinaptici da migliala di neuroni.
Vediamo che la sinapsi è una struttura specializzata coinvolta nella trasmissione dell’informazione da un neurone a un altro; la trasmissione avviene generalmente attraverso messaggeri chimici chiamati neurotrasmettitori ma spesso può essere anche di tipo elettrico, ovvero con un passaggio di scarica ionica da un neurone all’altro.
Strutturalmente, la sinapsi consiste di un rigonfìamento della porzione terminale dell’assone del neurone presinaptico noto come “bottone sinaptico“, che è fermamente adeso alla membrana dendritica dell’adiacente neurone postsinaptico attraverso giunzioni specializzate.
La membrana dendritica a livello della sinapsi è particolarmente ricca di recettori che rispondono ai neurotrasmettitori rilasciati dal bottone terminale del neurone presinaptico.
La terminazione presinaptica contiene un certo numero di strutture cellulari che le permettono di essere in qualche modo indipendente dal corpo cellulare neuronale dal punto di vista metabolico e funzionale.
La terminazione contiene mitocondri, i compartimenti energetici della cellula che generano adenosintrifosfato (ATP) mediante il metabolismo aerobica del glucosio, enzimi coinvolti nella sintesi e nella degradazione dei neurotrasmettitori, e le vescicole di deposito che mantengono significative concentrazioni di neurotrasmettitori in uno stato protetto, in attesa del rilascio.
Quando il tessuto cerebrale viene sperimentalmente dissociato attraverso una leggera omogeneizzazione in soluzioni tampone adatte, la sinapsi con il bottone terminale e la membrana postsinaptica adiacente vengono portati via per formare i sinaptosomi, utilizzati per studiare gli aspetti biochimici delle funzioni sinaptiche come il tipo e il numero di recettori dei neurotrasmettitori che sono localizzati all’interno di una certa regione del cervello.
La proprietà fondamentale che permette ai neuroni di funzionare nel procedimento informativo e di segnale è l’eccitabilità della membrana.
Questa proprietà deriva dalla natura specializzata della membrana: essa mantiene un gradiente di voltaggio tra l’interno del neurone e il liquido extracellulare e regola selettivamente il flusso transmembrana degli ioni.
Due tipi di proteine sono principalmente responsabili della regolazione della distribuzione degli ioni e pertanto del voltaggio attraverso la membrana neuronale.
Esse sono le pompe ioniche transmembrana e i canali ionici voltaggio-dipendenti.
Sulla base della sequenza molecolare del DNA che codifica alcune di queste pompe e canali voltaggio-dipendenti, sembra che ciascuna rappresenti una famiglia di geni, derivata da un suo proprio gene ancestrale.
Cosa ancora più importante, lo studio molecolare ha iniziato un’era di analisi dettagliata tra struttura e attività che verosimilmente porterà alla formulazione di nuove e migliori sostanze farmacologiche psicoattive.
Le pompe fondamentali nello stabilire i gradienti fìsiologici di ioni osservate nella membrana neuronale sono una pompa energia-dipendente (ATP), l’ATPasi sodio-potassio, che sposta due ioni Na+ all’esterno della cellula per ogni ione K+ che viene fatto entrare; e la pompa che rimuove il Ca++ dalla cellula.
A riposo, vi sono concentrazioni relativamente alte di Na+ e CI- all’esterno del neurone e una concentrazione relativamente alta di K+ all’interno della cellula.
La maggior fonte di carica negativa all’interno della cellula deriva da aminoacidi con carica negativa.
In generale, la membrana è polarizzata, con una differenza di voltaggio attraverso la membrana di circa -70 mV rispetto all’esterno; questo viene chiamato potenziale di riposo di membrana.
Quando la membrana del neurone viene depolarizzata a circa -35 mV, si genera un potenziale d’azione, che rappresenta l’eccitazione della cellula ed è il meccanismo fondamentale del segnale neuronale.
In modo specifico, quando l’interno della cellula diventa più positivo, i canali specializzati del sodio voltaggio dipendenti si aprono, permettendo a una maggior quantità di ioni positivi di entrare nella cellula.
Il potenziale d’azione rappresenta la diffusione della depolarizzazione attraverso l’apertura indotta dei canali del sodio voltaggio dipendenti adiacenti.
Poiché ciascun canale del sodio che si apre in successione fornisce la carica positiva per portare il segmento contiguo dell’assone oltre la soglia per aprire i propri canali del sodio, il potenziale d’azione è autorigenerante, e una volta iniziato, si propaga verso l’assone senza fermarsi.
Quando il potenziale d’azione giunge nella terminazione presinaptica, esso causa l’apertura dei particolari canali del Ca++ che si trovano in questa sede (definiti canali del Ca++ “tipo N” per contraddistinguerli dai canali “tipo L” che vengono inibiti dai farmaci calcio antagonisti analoghi del verapamil usati clinicamente).
L’ingresso del Ca++ inizia una serie di processi biochimici complessi, ma rapidi, che inducono le vescicole che contengono i neurotrasmettitori a fondersi con la membrana presinaptica e quindi a rilasciare il loro contenuto nella sinapsi, permettendo quindi la trasmissione sinaptica.
Poiché l’ingresso di una carica positiva depolarizza la membrana, portando il neurone a un punto più prossimo alla soglia per l’eccitazione di un potenziale d’azione, i recettori dei neurotrasmettitori che permettono l’ingresso di cationi quali Na+ o Ca++ sono eccitatori, e quelli che causano l’ingresso di anioni quali CI- oppure l’uscita di cationi quali K+ sono inibitori.
I dendriti neuronali e i corpi cellulari continuamente sommano impulsi eccitatori e inibitori per determinare quando un neurone genererà un potenziale d’azione.
L’innervazione di un neurone non è casuale, ma altamente organizzata ed è in quella organizzazione che risiedono le basi biologiche della mente.
Gli impulsi eccitatori sono generalmente concentrati nella porzione distale dei dendriti, mentre gli impulsi inibitori sono localizzati nella porzione iniziale dei dendriti e intorno al pericario.
Questa distribuzione spaziale significa che gli impulsi inibitori giocano un ruolo predominante nel determinare se un neurone produrrà un potenziale d’azione.
Poiché il potenziale d’azione è autorigenerante, la decisione di eccitare un potenziale d’azione è un processo del tipo “tutto o nulla“.
Una volta che il bilancio è a favore di una adeguata depolarizzazione nella regione prossimale dell’assone (cioè il cono d’emergenza assonale), dove la densità dei canali del Na+ voltaggio-dipendenti è alta, si genera un potenziale d’azione.
I Neurotrasmettitori
Spesso non viene apprezzato e condiviso il fatto storico indiscutibile che la psichiatria, la specialità medica più attenta ai problemi della comunicazione, abbia ospitato la maggior parte della iniziale ricerca sui meccanismi della comunicazione chimica tra i neuroni nel cervello.
Cosa rilevante, poco dopo che fu individuata per la prima volta l’esistenza dei neurotrasmettitori cerebrali, John Smythies ipotizzò che la schizofrenia potesse derivare da una alterazione del metabolismo del neurotrasmettitore adrenalina che avrebbe prodotto un metabolita psicomimetico, che chiamò adenocromo o anche adrenocromo.
Anche se l’affascinante ipotesi dell’adenocromo alla fine non si dimostrò vera, essa diede inizio durante gli Anni Sessanta a numerosi studi miranti alla caratterizzazione della distribuzione metabolica delle catecolamine nell’encefalo.
Più recentemente, i tentativi di comprendere il sistema di comunicazione neuronale nell’encefalo ha condotto all’identifìcazione di un numero rapidamente crescente di sostanze che hanno la funzione di neurotrasmettitori.
Tuttavia, durante la metà degli Anni Sessanta, si pensava che solo un basso numero di sostanze corrispondesse ai criteri per potere agire da neurotrasmettitori del cervello con una certa sicurezza.
Spesso è stato usato il termine di neurotrasmettitore “putativo” riferendosi al fatto che è oltremodo difficile soddisfare tutti i criteri che definiscono inequivocabilmente una sostanza essere un “neurotrasmettitore cerebrale”, ovvero:
- Il neurone continene la sostanza attiva.
- Il neurone sintetizza la sostanza attiva.
- Il neurone rilascia la sostanza attiva durante la depolarizzazione.
- La sostanza attiva agisce fisiologicamente sui neuroni.
- La risposta fisiologica post-sinaptica alla sostanza attiva è identica a quella del neurotrasmettitore rilasciato dal neurone.
Durante l’ultimo decennio, il numero di neurotrasmettitori putativi è aumentato di quasi dieci volte.
Inoltre si è progressivamente chiarito il fatto che la maggior parte dei neuroni rilasciano più di un neurotrasmettitore, spesso una molecola neurotrasmettitoriale a basso peso molecolare e uno o più peptidi.
La discussione che seguirà in questo post sarà incentrata su esempi rappresentativi delle due maggiori classi di neurotrasmettitori cerebrali: i neurotrasmettitori “classici” a basso peso molecolare, quali la noradrenalina, che sono sintetizzati localmente nelle terminazioni nervose, e i neurotrasmettitori neuropeptidici, quali le endorfìne, che vengono sintetizzate nel pericario.
Neurotrasmettitori “Classici”:
- Serotonina
- Dopamina
- Noradrenalina
- Acetilcolina
- Istamina
- Adrenalina
- Acido Aspartico
- GABA (Acido gamma-aminobutirrico)
- GLUTAMMATO (Acido Glutammico)
- Glicina
- Omocisteina
- Taurina
Neurotrasmettitori Neuropeptidi:
- Endorfine
- Sostanza P
- Leu-Encefalina
- Met-Encefalina
- Insulina
- Glucagone
- Bombesina
- Neuropeptide Y
- ACTH (Ormone Adrenocorticotropo)
- FSH
- TSH
- Angiotensina II
- ……molti altri….
Le Catecolamine (Dopamina, Adrenalina e Noradrenalina)
Il sistema di neurotrasmettitori meglio caratterizzato sotto l’aspetto di sintesi, deposito, rilascio e metabolismo, è il sistema catecolaminergico.
I principi stabiliti per la trasmissione catecolaminergica nel sistema periferico e nel cervello hanno una applicabilità generale ad altri classici sistemi di neurotrasmettitori.
I neurotrasmettitori catecolaminergici comprendono la dopamina, la noradrenalina e l’adrenalina.
Sebbene ciascuno agisca di per sé come neurotrasmettitore, essi rappresentano prodotti di passaggi sequenziali di una singola via di biosintesi delle catecolamine, come si vede qui di seguito:
Gli enzimi responsabili della sintesi delle catecolamine sono sintetizzati nel pericario cellulare e vengono trasportati lungo l’assone fino alle terminazioni presinaptiche.
I neuroni che utilizzano la dopamina come neurotrasmettitore posseggono i primi due enzimi di questa via, la tirosina-idrossilasi e la dopa-decarbossilasi.
I neuroni che rilasciano noradrenalina esprimono un terzo enzima, la dopamina P-idrossilasi, e i neuroni che producono adrenalina esprimono un quarto enzima, la feniletanolamina-N-metiltransferasi (FNMT).
Poiché la tirosina idrossilasi è un enzima strettamente controllato a limitazione di prodotto, gli importanti meccanismi regolatori che determinano la disponibilità di neurotrasmettitori sono comuni in questo intero gruppo di neurotrasmettitori.
Le vie di sintesi dei neurotrasmettitori classici in generale, anche se non senza eccezioni, coinvolgono la conversione di un precursore “inerte” a un neurotrasmettitore “portatore” dell’informazione.
Nel caso delle catecolamine, l’aminoacido L-tirosina funge da precursore.
La tirosina idrossilasi, l’enzima regolatore nella via di sintesi, viene virtualmente saturata dai livelli locali di tirosina nel cervello.
Pertanto, livelli in aumento di questo aminoacido nel cervello non dovrebbero condizionare significativamente la biosintesi di catecolamine.
Inoltre, per prevenire un circolo vizioso di sintesi e degradazione di catecolamine, la tirosina idrossilasi è soggetta a un meccanismo di inibizione da prodotto finale.
Di conseguenza, quando la concentrazione di catecolamine nelle terminazioni nervose supera le loro capacità di deposito, le catecolamine in eccesso inibiscono l’attività della tirosina idrossilasi, impedendo quindi ulteriore sintesi di catecolamine.
Pertanto, quando i neuroni catecolaminergici non sono attivi, viene bloccata l’ulteriore produzione di catecolamine.
D’altro canto quando le catecolamine vengono rilasciate e le scorte vengono ridotte, questo meccanismo inibitorio viene rimosso e il ritmo di sintesi aumenta.
Durante l’attività neuronale, tuttavia, entrano in gioco altri meccanismi che sono anche più significativi sotto il profilo biologico.
Le ripetute scariche dei neuroni catecolaminergici causano l’attivazione di un secondo sistema di messaggeri e quindi delle proteine chinasi (si veda oltre).
La fosforilazione della tirosina idrossilasi, da parte delle proteine chinasi, riduce la sua sensibilità all’inibizione retroattiva e, inoltre, aumenta la sua affìnità per un cofattore critico, la pterina.
Periodi di attività neuronale catecolaminergica prolungata e aumentata fanno entrare in gioco un secondo meccanismo: la sintesi di ulteriori molecole enzimatiche nella via sintetica delle catecolamine. Questo secondo processo è regolato a livello del corpo cellulare catecolaminergico, dove una quota addizionale di mRNA codificante la tirosina idrossilasi viene trascritta dal DNA nucleare.
Così la sintesi delle catecolamine è sottoposta a regolazione dinamica strettamente coordinata dall’attività del neurone catecolaminergico.
Dopo che è avvenuta la sintesi enzimatica di catecolamine all’interno del citosol delle terminazioni nervose, le catecolamine vengono concentrate nelle vescicole, piccoli sacchi dotati di membrana posti all’interno della terminazione nervosa. Il deposito nelle vescicole di catecolamine è un processo attivo che consuma energia sotto forma di ATP, e viene irreversibilmente inibito dal farmaco antipertensivo reserpina.
Le vescicole di deposito servono a due scopi. In primo luogo, esse proteggono le catecolamine dalla degradazione enzimatica da parte dell’enzima monoaminossidasi (MAO).
Questo enzima metabolico è localizzato sulla membrana esterna dei mitocondri.
Il trattamento con reserpina che interferisce con il deposito nelle vescicole provoca il rilascio di catecolamine all’interno della terminazione nervosa, in modo che esse vengono rapidamente degradate dalle MAO; in secondo luogo, le vescicole mediano il rilascio di quanti di catecolamine attraverso l’esocitosi quando un potenziale d’azione raggiunge la terminazione nervosa.
Oltre all’enzima intracellulare MAO, un secondo enzima che inattiva le catecolamine è localizzato sulla superfìcie esterna della membrana del neurone, come anche su quella di molti altri tipi cellulari; questo enzima, la catecol-0-metiltransferasi (COMT), catalizza l’inattivazione delle catecolamine attraverso la metilazione di uno dei gruppi idrossilici dell’anello.
Tuttavia la degradazione enzimatica non è il meccanismo più importante attraverso cui viene conclusa l’azione delle catecolamine nelle sinapsi.
Il meccanismo più rilevante è una ricaptazione attiva delle catecolamine all’interno della terminazione nervosa che le rilascia; la ricaptazione è mediata da una specifica proteina di trasporto che scambia la catecolamina in un processo energia-dipendente che viene guidato dal gradiente del sodio attraverso la membrana neuronale (Pacholczyk et al. 1991).
Le proteine di trasporto della dopamina e della noradrenalina sono membri di un’ampia famiglia genetica di proteine che comprendono anche i vettori della serotonina, del glutammato e dell’acido y-aminobutirrico (GABA) (per una revisione, si veda Giros e Caron nel loro splendido articolo del 1993).
I procedimenti coinvolti nella sintesi, deposito, rilascio e inattivazione dei neurotrasmettitori “classici” sono riassunti in questa immagine:
Questi procedimenti interconnessi assicurano la pronta disponibilità dei neurotrasmettitori nella terminazione nervosa che può essere regolata dall’attività neuronale e l’inattivazione dei neurotrasmettitori rilasciati nello spazio sinaptico in modo che essi non producano effetti indesiderati sui neuroni confinanti.
Meccanismi simili funzionano, in varia misura, per altri neurotrasmettitori classici, quali la serotonina, l’acetilcolina e l’istamina.
I neurotrasmettitori aminoacidici, tuttavia, rappresentano una importante eccezione al principio che i neurotrasmettitori vengono sintetizzati da precursori neurofìsiologicamente mattivi.
L’aminoacido glutammato sembra essere il neurotrasmettitore eccitatorio predominante nel cervello; l’aminoacido glicina è un importante neurotrasmettitore inibitorio.
Queste molecole sono presenti nel plasma e sono importanti precursori della sintesi proteica, caratteristica che potrebbe sembrare incompatibile con il ruolo di neurotrasmettitore, che deve avere azione altamente ristretta a livello spaziale e temporale.
Tuttavia, l’encefalo consuma una considerevole quantità di energia nei processi di trasporto selettivo e per gli enzimi catabolici al fine di mantenere concentrazioni estremamente basse di questi neurotrasmettitori aminoacidici nello spazio extracellulare del cervello.
L’estensione di questa protezione e esemplificata dal fatto che la concentrazione intracellulare di glutammato in alcune regioni del cervello è pari a 10 mM, mentre la sua concentrazione nel liquor è approssimativamente di 0,1 mM, che rappresenta un gradiente tra compartimento extra ed intracellulare di 100.000 volte.
I Neuropeptidi
Il fatto che proteine a basso peso molecolare (cioè peptidi) siano utilizzate dall’organismo come segnali biologici è noto da diversi decenni sulla base del loro ruolo quali gli ormoni nell’ipofìsi e in altri organi endocrini.
Il potenziale ruolo dei peptidi quali neurotrasmettitori derivò dalla scoperta che i fattori di rilascio che controllano la secrezione di numerosi ormoni ipofisari erano, di fatto, peptidi sintetizzati da neuroni nel nucleo arcuato dell’ipotalamo.
Tuttavia, la scoperta fondamentale che stimolò l’ampio interesse nei neuropeptidi in qualità di neurotrasmettitori venne dall’individuazione delle endorfine, peptidi oppioidi endogeni diffusamente distribuiti nel sistema nervoso centrale (SNC) (Hughes et al. 1975).
Fin dalla scoperta delle endorfine circa due decenni orsono, il numero di peptidi che si ritiene agiscano come neurotrasmettitori nel cervello è aumentato considerevolmente, fino a raggiungere il triplo del valore iniziale.
La ricerca “classica” sui neuropeptidi (per una revisione storica dell’argomento, si veda Hockfet 1991) durante l’ultimo decennio degli anni ’90 dimostrò un certo numero di regole generali per lo più valide ancora oggi.
A differenza dei neurotrasmettitori costituiti da piccole molecole sintetizzati attraverso processi enzimatici all’interno della terminazione nervosa, i neuropeptidi sono sintetizzati all’interno del corpo cellulare del neurone come si vede da questa immagine:
Ciò riflette il fatto che la sintesi di neuropeptidi, che sono proteine di piccole dimensioni, è diretta dall’mRNA che è stato trascritto dal DNA all’interno del nucleo.
I livelli di neuropeptidi nella terminazione nervosa dipendono completamente dalla sintesi, dall’elaborazione e dal trasporto dei peptidi dal pericario del neurone.
Analogamente, sembra che i neuroni peptidergici riescano a rispondere meno rapidamente a prolungati aumenti del rilascio a causa del ritardo nella sintesi e nel trasporto di neuropeptidi supplementari dal pericario.
Una delle più eccezionali scoperte riguardo alla sintesi dei neuropeptidi è che un singolo gene spesso da origine a più peptidi attivi, e, inoltre, che lo spettro di peptidi prodotti da un singolo gene può essere diverso in differenti tipi cellulari.
La generazione di questa variabilità deriva subito dopo la trascrizione del gene che codifica il precursore peptidico.
Nelle cellule eucariote la maggior parte dei geni è costituita da sequenze che codificano la proteina corrispondente (chiamate esoni) interrotte da sequenze non codifìcatrici (chiamate introni).
Quando un gene viene trascritto, il trascritto primario è co-lineare al DNA e pertanto contiene sia esoni che introni.
Prima che l’RNA lasci il nucleo per essere tradotto, gli introni vengono rimossi e gli esoni vengono montati (spliced) per formare l’mRNA maturo; è stato dimostrato che il trascritto primario di alcuni geni di polipeptidi viene montato in modo alternativo in differenti tipi cellulari.
Attraverso l’inclusione o l’esclusione di particolari esoni dall’mRNA citoplasmatico maturo, può essere prodotto l’mRNA che codifica peptidi nettamente differenti.
Per esempio, la calcitonina e il peptide correlato al gene della calcitonina sono prodotti dello stesso gene derivati da tale montaggio alternativo.
L’mRNA maturo che codifica i neuropeptidi viene tradotto nel reticolo endoplasmatico granulare (RE) per dare origine a grandi precursori chiamati poliproteine: questi precursori (cioè, pre-pro-opiomelanocortina o pre-pro-encefalina) contengono una sequenza, quasi sempre al terminale aminico della proteina, che indirizza la proteina alla via secretoria del neurone.
Questa sequenza caratterizzante, o “pre” sequenza, viene rapidamente eliminata da una endopeptidasi, lasciando la restante parte del precursore (cioè, la proopiomelanocortina o proencefalina).
Questo precursore viene quindi sottoposto a un ulteriore passaggio proteolitico e a una successiva modificazione chimica (cioè, glicosilazione, aminazione, acetilazione o fosforilazione) all’interno del RE e dell’apparato di Golgi per produrre numerosi peptidi biologicamente attivi che saranno quindi rilasciati.
Proprio come il montaggio alternato dell’RNA permette la produzione di multiple molecole di segnale da un singolo gene, il procedimento differenziato del precursore peptidico permette la generazione di multiple molecole di segnale da un unico precursore peptidico.
All’interno dei precursori peptidici, gli enzimi attivi riconoscono coppie di residui aminoacidici (lisina o arginina) come siti per il taglio.
La famiglia di enzimi responsabile del procedimento all’interno delle cellule di mammiferi è stata scoperta solo di recente ed è caratterizzata in modo incompleto; tuttavia, sembra che alcuni enzimi abbiano una maggiore affinità per alcune basi di residui dibasici rispetto ad altre.
Pertanto, secondo quale enzima viene espresso in un particolare tipo di neurone o di cellula endocrina, i grandi precursori possono essere frammentati in differenti peptidi attivi che possono avere diversi ruoli fisiologici.
Tra i neurotrasmettitori peptidici, gli oppioidi endogeni sono i più studiati e hanno una chiara importanza per la psichiatria a causa del loro ruolo nella risposta allo stress, nel comportamento volontario e nell’analgesia.
Hughes e colleghi nel 1975 hanno identifìcato i primi oppioidi endogeni, Met- e Leu-encefalina.
Circa 20 oppioidi attivi sono stati successivamente isolati e caratterizzati dal cervello dei mammiferi e dalle ghiandole surrenali e ipofisaria.
Tutti questi oppioidi endogeni contengono i medesimi quattro aminoacidi al terminale aminico, Tyr-Gly-Gly-Phe, seguiti da Met o da Leu (Met-encefalina e Leu-encefalina) e tutti i peptidi oppioidi derivano da uno dei tre grandi precursori poliproteici, ciascuno codificato da un gene separato.
I precursori sono la proencefalina (che codifica sei copie della sequenza della Met-encefalina e una di quella della Leu-encefalina), la prodinorfìna (che è il precursore dell’oppioide endogeno dinorfìna e dei peptidi correlati) e la proopiomelanocortina.
La proopiomelanocortina (POMC) è particolarmente interessante poiché contiene la sequenza di peptidi attivi che hanno una funzione biologica apparentemente diversa, il peptide oppioide P-endorfina e l’ormone non oppioide adrenocorticotropo (ACTH), e anche perché viene elaborata per produrre differenti peptidi attivi in diversi tessuti come potete vedere da questa immagine:
Nel lobo anteriore dell’ipofisi l’enzima di catalizzazione presente riconosce soltanto un sottotipo di siti dibasici di distacco all’interno della proopiomelanocortina.
In questo tessuto, il precursore produce un peptide N-terminale con una funzione biologica sconosciuta oltre all’ACTH e all’ormone P-lipotropina; la P-lipotropina viene quindi ulteriormente tagliata per produrre il peptide oppioide P-endorfina.
In tal modo, quando l’ACTH viene rilasciato dall’ipofìsi viene anche rilasciata una molecola di P-endorfina. Molti mammiferi (ma non gli uomini) posseggono un lobo ipofisario intermedio che contiene un altro enzima di catalizzazione.
Nel lobo intermedio, l’ACTH viene pertanto ulteriormente tagliato per riprodurre un peptide chiamato peptide del lobo intermedio corticotropino-simile e l’ormone melanocito-stimolante, ma questo ulteriore processo non si verifìca tuttavia negli esseri umani.
Benché gli aminoacidi N-terminali della P-endorfina siano identici alla sequenza della Met-encefalina, quest’ultima non viene rilasciata dalla P-endorfìna poiché non vi sono residui aminoacidici dibasici all’interno della P-endorfina che possano permettere il distacco per ottenere la Met-encefalina.
Piuttosto, la Met-encefalina viene liberata da un altro precursore sopra menzionato, la proencefalina.
Colocalizzazione, ovvero in unico neurone coesistono diversi neurotrasmettitori
Originalmente si credeva che un neurone usasse esclusivamente un unico neurotrasmettitore.
Tuttavia, all’inizio degli anni 2000, è risultato chiaro che nella maggior parte dei casi i neuroni possono rilasciare più di un neurotrasmettitore, rendendo ragione della complessità delle basi biologiche della mente.
La maggior parte dei casi studiati ha dimostrato la colocalizzazione di un neurotrasmettitore classico e di uno o più neuropeptidi, ma ora vi sono perfino esempi in cui due neurotrasmettitori classici come la serotonina e il GABA coesistono nello stesso neurone.
Gli stessi neurotrasmettitori non sono sempre localizzati insieme, per esempio, il peptide oppioide encefalina è stato osservato in coesistenza in alcuni neuroni noradrenergici nel sistema nervoso simpatico e in certi neuroni serotoninergici nel cervello.
Nel cervello, la colecistochinina è stata dimostrata in coesistenza nei neuroni dopaminergici che innervano il sistema cortico-limbico, ma non nei neuroni dopaminergici che innervano lo striato; considerato il gran numero di neurotrasmettitori putativi nel cervello, il numero di combinazioni possibili per la coesistenza è immenso.
Pertanto, la coesistenza indica che la neurotrasmissione sinaptica è molto più complessa di quanto si sia potuto intuire fino a tutto il ‘900, rendendo la comprensione delle basi biologiche della mente una vera sfida di complessità.
I meccanismi nettamente differenti coinvolti nella sintesi e rilascio dei neuropeptidi rispetto ai neurotrasmettitori a basso peso molecolare suggeriscono che i neurotrasmettitori in coesistenza possano avere ruoli in qualche modo diversi, ma complementari.
Alcuni studi indicano che i neuropeptidi vengono rilasciati solo durante i periodi di intensa attività neuronale (cioè, solo con ripetuti stimoli), mentre il neurotrasmettitore classico viene rilasciato in misura proporzionale al flusso di impulsi.
Tuttavia, la comprensione del meccamsmo coinvoÌto nella comunicazione mista resta ancora da essere compreso in profondità.
I Recettori Neuronali coinvolti nelle basi biologiche della Mente Umana
L’identifìcazione, la caratterizzazione e la sequenziazione molecolare dei recettori neurotrasmettitoriali costituiscono un grande progresso nelle neuroscienze, che ha avuto un significativo impatto sulla comprensione del sistema di elaborazione delle informazioni nel cervello e dei livelli di azione delle sostanze neuroattive, compresi gli psicofarmaci.
Benche i neurotrasmettitori siano solitamente definiti come eccitatori o inibitori, come se questa azione fosse inerente alla loro struttura molecolare, la natura delle risposte neuronali a un neurotrasmettitore dipende in ultima analisi dalla presenza di un recettore legato a un trasduttore.
Per questa ragione, secondo i recettori e i trasduttori localizzati su un dato neurone, un neurotrasmettitore può esercitare un effetto inibitore, eccitatore oppure un effetto “modulatore” più complesso.
I recettori neurotrasmettitoriali sono proteine situate sulla membrana neuronale.
Queste proteine possiedono regioni di legame accessibili ai messaggeri extracellulari e altre regioni coinvolte nel trasdurre le interazioni del legame in un effetto intercellulare.
Il legame reversibile di un neurotrasmettitore al suo recettore causa una modifìcazione della conformazione del recettore stesso che stimola l’invio del segnale attraverso la membrana.
I recettori neurotrasmettitoriali (o Neurorecettori) noti possono tradurre il legame dei neurotrasmettitori in uno o due differenti tipi generali di effetti: possono controllare direttamente o regolare l’apertura di un canale ionico che è parte intrinseca della stessa molecola del recettore, oppure possono agire regolando la funzione di una proteina G che traduce il segnale (si veda oltre) e che è associata alla superficie interna della membrana.
I recettori che controllano un canale ionico intrinseco sono chiamati canali regolati dal ligando; i recettori che funzionano attraverso una proteina G sono definiti recettori legati alle proteine G.
Come per altre importanti classi di molecole discusse in precedenza in questo capitolo, quali i canali ionici voltaggio-dipendenti e i vettori neurotrasmettitoriali, i canali regolati dai ligandi, i recettori legati alle proteine G e le proteine G stesse formano una grande famiglia indipendente di molecole con omologia strutturale.
Si ritiene che ciascuna di queste grandi famiglie di geni abbia avuto inizio da un singolo antenato primitivo (p. es., un canale ancestrale regolato dai ligandi) che, attraverso la duplicazione e la mutazione genica, abbia dato origme a un gran numero di geni e quindi di proteine con funzioni specifiche, ma correlate, permettendo di aumentare la complessità della trasmissione del segnale neuronale durante l’evoluzione.
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Neurofisiologia dei Neurorecettori
I trasduttori con cui un recettore neurotrasmettitoriale (“Neurorecettore“) interagisce determinano in ultima analisi la risposta fìsiologica che deriva dal legame di un neurotrasmettitore (o di uno psicofarmaco) con il recettore.
La relativa facilità degli studi sull’associazione del ligando per caratterizzare le interazioni neurotrasmettitore-recettore non elimina il più impegnativo obiettivo di definire quali siano i trasduttori accoppiati ai recettori specifici e gli effetti fisiologici dell’associazione con il ligando sul neurone ricevente.
La difficoltà origina dal fatto che le interazioni recettore-trasduttore spesso non possono essere determinate quando sono presenti ampie popolazioni di recettori, come è invece possibile fare negli studi sull’associazione con il ligando.
Ciò avviene perché i recettori possono essere associati a differenti trasduttori in differenti neuroni, e perché questi studi richiedono misurazioni tecnicamente più complesse della risposta fisiologica all’attivazione degli specifici recettori sui singoli neuroni.
È stata studiata una grande varietà di metodologie per misurare le conseguenze elettrofìsiologiche dell’applicazione locale di neurotrasmettitori su neuroni già caratterizzati.
Utilizzando micropipette a serbatoi multipli, un elettrodo di registrazione associato a una serie di pipette riempite di farmaci può essere applicato a un neurone cerebrale.
Il neurotrasmettitore o lo psicofarmaco vengono applicati sul neurone attraverso le micropipette, e quindi possono esserne valutate le conseguenze sull’attività del neurone.
Per ottenere informazioni più rigorose sugli specifici canali ionici che possono essere coinvolti nella produzione della risposta neurofisiologica, i ricercatori sempre più frequentemente si sono serviti delle tecniche di registrazione intracellulare, in cui una sottile micropipetta viene inserita nel corpo cellulare per determinare le variazioni di voltaggio attraverso la membrana neuronale in risposta all’applicazione di un neurotrasmettitore sulla superficie del neurone.
Gli studi di registrazione intracellulare nell’animale in vivo sono oltremodo difficili, tanto quanto tentare di infìlzare un acino di uva con la punta di un palo alto 30 metri.
Di conseguenza, i ricercatori hanno sviluppato delle preparazioni in cui sottili sezioni di tessuto cerebrale possono essere mantenute vitali per alcune ore immerse in un bagno con soluzione fisiologica ossigenata; i neuroni che interessano possono essere direttamente visualizzati con il microscopio a contrasto di fase, e l’elettrodo di registrazione intracellulare può essere inserito nei neuroni identifìcati sotto il diretto controllo visivo.
Infine, una delle tecniche più efficaci (in uso dagli inizi degli anni 2000), che fornisce informazioni più precise sull’associazione di un singolo recettore con un dato canale ionico, è il patch clamping, dove un microscopico frammento della membrana neuronale viene aspirata nella punta di una micropipetta.
Con questo metodo, il flusso di corrente attraverso i singoli canali ionici può essere monitorato attraverso l’esposizione del patch di membrana all’agonista del recettore o ad altri farmaci psicotropi, ed è possibile determinare quali specifici tipi di canali ionici (sodio, potassio, calcio) sono sensibili a un certo agonista e, ancora, studiare in dettaglio le conduttanze ioniche attraverso i singoli canali.
Benché le proprietà dei canali ionici possano sembrare piuttosto lontane dalla psichiatria clinica, esse forniscono le basi fìsiologiche per i meccanismi di segnale neuronale e, di conseguenza, le basi biologiche della mente umana.
Pertanto, la funzione dei canali merita una importante considerazione nell’interpretazione della fisiopatologia dei disturbi psichiatrici e degli effetti generali degli psicofarmaci; infatti il farmaco anticonvulsivante acido valproico, ora usato nel trattamento del disturbo bipolare, agisce primariamente con un effetto diretto su alcuni canali del sodio voltaggio- e ligando-dipendenti.
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Canali di Membrana ligando dipendenti
I canali ligando-dipendenti sono proteine con funzione di recettore neurotrasmettitoriale che contengono un sito di legame con il neurotrasmettitore e un poro di accesso del canale; per formare il poro, ciascuna subunità proteica attraversa la membrana quattro volte.
Sembra che i recettori solitamente siano formati da cinque diverse subunità disposte con una configurazione a cilindro: l’attivazione di questo tipo di recettori, che contengono canali ionici intrinseci a rapida risposta, è responsabile del trasporto veloce dell’informazione “da punto a punto” nel cervello.
Il principale neurotrasmettitore eccitatorio nel cervello è il glutammato.
Una sottoclasse dei suoi recettori controlla direttamente i canali del sodio, così quando il glutammato si lega al recettore, il canale che attraversa la membrana al suo interno si apre per permettere l’ingresso di sodio, e pertanto il neurone si depolarizza.
Altri importanti canali eccitatori ligando-dipendenti nel sistema nervoso comprendono i recettori colinergici nicotinici e quelli serotoninergici (5-idrossitriptamina [5-HT]).
I principali neurotrasmettiton mibitori sono il GABA nel cervello e l’aminoacido strettamente correlato gìicina nel midollo spinale; i canali recettoriali del GABA e della glicina fanno entrare il cloro, che causa una iperpolarizzazione del neurone.
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Proteine G e recettori correlati
Nel cervello la neurotrasmissione rapida eccitatoria sembra essere sostenuta da un piccolo numero di neurotrasmettitori, in particolare dal glutammato.
Al contrario, con solo due eccezioni note ad oggi (il recettore della serotonina 5-HT3 e i recettori colinergici nicotinici), i recettori di tutte le monoamine e dei neuropeptidi non aprono direttamente i canali ionici, ma agiscono attraverso proteine di trasduzione del segnale associate alla membrana, chiamate proteine G.
Come verrà spiegeto tra poco, i recettori legati alle proteine G sono coinvolti in un costante processo di modulazione della risposta dei circuiti neuronali; tutto ciò rende (ulteriormente!!!!) molto più complesso il sistema di trasmissione rapida degli impulsi eccitatori e inibitori da parte di glutammato, GABA, e neurotrasmettitori correlati attraverso la rete neuronale.
I recettori legati alle proteine G analizzati a tutt’oggi nella loro struttura tramite clonazione molecolare, hanno una struttura generale comune e attraversano la membrana neuronale sette volte (Kobilka 1992). Il sito di associazione con il ligando sembra essere in una tasca formata da questi domini transmembrana all’interno del piano formato dalla membrana. L’accoppiamento per i meccanismi di segnale intracellulare avviene sul versante citoplasmatico della membrana neuronale. Le proteine G, così chiamate perché legano il nucleotide guanina, sono collegate con l’interno della membrana neuronale. L’associazione del ligando con il recettore causa un cambiamento della configurazione del recettore, che produce un’attivazione delle proteine G. Le proteine G, a loro volta, trasducono il segnale mediato dal recettore in effetti intracellulari.
Le proteine G sono eterodimeri (cioè proteine costituite da tre diverse subunità), le cui subunità vengono chiamate a, R e y; con poche eccezioni le subunità a, che sono molto differenti, sono gli effettori specifici dell’attivazione delle proteine G (Simon et al. 1991)come esemplificato da questa immagine:
Nello stato inattivo, le subunità a, R e y sono legate insieme, e una molecola di guanosin difosfato (GDP) si lega alla subunità a; quando viene attivato da un recettore, il GDP viene sostituito da una molecola di guanosin trifosfato (GTP) sulla subunità a, che quindi si dissocia dal complesso con P e y.
Questa subunità attiva resta associata alla membrana, dove causa l’apertura o la chiusura di specifici canali ionici voltaggio-dipendenti oppure l’attivazione o l’inibizione degli enzimi che producono secondi messaggeri intracellulari.
Il particolare tipo di azione dipende da quale tipo di subunità a viene attivata da un determinato recettore.
Per esempio, i recettori P-adrenergici e i recettori D1 della dopamina attivano una proteina G chiamata Gs. L’intera proteina G prende il nome dalla sua subunità a. La subunità a attiva può stimolare alcuni canali del calcio voltaggio-dipendenti (i canali di tipo L che sono bloccari dai farmaci simili al verapamil) e attivare l’adenilato ciclasi, un enzima che catalizza la produzione di un secondo messaggero, l’AMP ciclico; la subunità a attiva possiede un’attività intrinseca GTPasica che produce l’idrolisi di GTP a GDP.
Quando ciò avviene, la subunità alfa si associa nuovamente a beta e gamma e la sua azione termina.
Gli effetti delle proteine G sui canali ionici alterano la risposta dei neuroni a successive stimolazioni da parte di neurotrasmettitori eccitatori o inibitori, come il glutammato e il GABA.
Per esempio, i peptidi oppioidi endogeni possono agire attraverso un tipo di recettore (definito “micro“) per attivare un canale del K+; poiché la forza conduttrice elettrochimica sul potassio è al di fuori della cellula, questi oppioidi diminuiscono la carica positiva di rete all’interno dei neuroni bersaglio.
Il neurone pertanto diventa meno sensibile al glutammato (cioè, ha meno probabilità di eccitarsi); questo è uno dei meccanismi con cui le proteine G possono alterare la risposta dei circuiti neuronali.
Oltre ai loro effetti sui canali ionici, le proteine G regolano gli enzimi che producono secondi messaggeri: come già descritto, i recettori legati alla G5 attivano l’adenilato ciclasi per aumentare la produzione di AMP ciclico.
I recettori legati alla proteina G, inibiscono l’adenilato ciclasi.
Un’altra proteina G, definita Gq, attiva l’enzima fosfolipasi C, che idrolizza alcuni fosfolipidi di membrana per generare due secondi messaggeri, diacilglicerolo e inositol trifostato (IP3) come si vede da questa complicata immagine:
Altri importanti sistemi di secondi messaggeri sembrano coinvolgere i metaboliti dell’acido arachidonico e l’ossido nitrico.
Benché il numero di secondi messaggeri trovato all’interno delle cellule sia ampio, il loro meccanismo di azione può essere concettualmente generalizzato: con poche eccezioni (p. es., l’AMP ciclico può aprire indipendentemente alcuni canali ionici all’interno del sistema olfattorio), i secondi messaggeri esercitano il loro principale effetto biologico attraverso proteina chinasi specifiche.
Le proteine chinasi sono enzimi che trasferiscono gruppi fosfato dall’ATP agli specifici substrati proteici.
Secondo la carica e le dimensioni, i gruppi fosfato alterano la conformazione delle proteine e quindi la loro funzione, e poiché la fosforilazione implica una modificazione covalente, essa può agire su una scala temporale molto ampia.
I substrati della fosforilazione attivata dai secondi messaggeri comprendono canali ionici, recettori, enzimi che sintetizzano neurotrasmettitori, proteine del citoscheletro e proteine che controllano la trascrizione genica.
Attraverso l’attivazione della fosforilazione proteica, i recettori legati alle proteine G regelano diverse funzioni all’interno della cellula, e attraverso la regolazione dell’espressione genica essi addirittura regolano i costituenti proteici della cellula.
La fosforilazione, che può per esempio inattivare i recettori o diminuire e aumentare la possibilità di apertura dei canali ionici voltaggio-dipendenti, può modificare il modo in cui il neurone elabora le informazioni e può pertanto alterare il comportamento dei circuiti neuronali in vie significative.
Chiaramente, poi, il cervello non è semplicemente una rete di fili elettrici che rilascia informazioni attraverso potenziali eccitatori e inibitori, ma modifìca costantemente il modo in cui i neuroni al suo interno possono elaborare l’informazione.
Questa plasticita del funzionamento neuronale è chiaramente richiesta per processi quali l’apprendimento e la memoria, ma è anche verosimilmente coinvolta nei processi fìsiopatologici (p. es., i cambiamenti di stato che si verificano con l’instaurarsi della depressione) e, come verrà in seguito descritto, nel meccanismo di azione di molti farmaci psicotropi.
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Neuroanatomia e vie Neuronali del Cervello di interesse psichiatrico
Non è ovviamente lo scopo di questo post quello di spiegare nei dettagli la neuroanatomia e le varie vie neuronali di in generale, d’altra parte alcune informazioni di base vanno affrontate nell’ottica di una comprensione approfondita dei disturbi mentali e del loro trattamento.
La Sostanza Reticolare
Tra i sistemi neuronali che verosimilmente hanno diretta rilevanza nei disturbi psichiatrici sono i componenti della sostanza reticolare (o Formazione Reticolare) del tronco encefalico e la sua estensione rostrale nel prosencefalo basale (Coyle 1986).
Il coinvolgimento di queste strutture nella fìsiopatologia dei disturbi mentali si fonda sulla casuale scoperta di numerose classi di efficaci agenti psicofarmacologici con un meccanismo d’azione che sembra alterare la neurotrasmissione sinaptica di specifiche componenti della formazione reticolare e di molte sue vie.
Queste scoperte hanno ottenuto un’ulteriore conferma neurofìsiologica e neuroanatomica a causa dell’insolita organizzazione e della funzione dei neuroni della sostanza reticolare.
I neuroni della sostanza reticolare non sono coinvolti nel trasporto di specifiche informazioni, ma piuttosto modulano la funzione neuronale attraverso i recettori legati alle proteine G distribuiti in tutto il sistema nervoso, comprese le regioni limbiche e corticali.
Pertanto, l’alterazione della loro funzione non è in generale associata a segni neurologici focali tipicamente associati al danneggiamento di sistemi di elaborazione di informazioni “hard”, come i sistemi sensitivi ascendenti o i sistemi motori discendenti, ma piuttosto con anomalie nella condotta, nell’affettività, nella vigilanza e nelle funzioni cognitive.
Naturalmente, queste scoperte non precludono la possibilità che anomalie più localizzate dei neuroni che innervano o vengono influenzati dalle propagazioni della sostanza reticolare possano sostanzialmente contribuire all’eziologia o alle manifestazioni sintomatiche dei disturbi mentali.
Numerose componenti della sostanza reticolare sono state ben caratterizzate sotto l’aspetto dei loro neurotrasmettitori ma le vie di particolare rilievo per la psichiatria sono le vie noradrenergiche, le vie serotoninergiche, le vie dopaminergiche e le vie colinergiche.
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Vie Noradrenergiche e Neuroni Noradrenergici
La noradrenalina è il principale neurotrasmettitore di una importante classe di neuroni all’interno della sostanza reticolare del tronco encefalico.
Il principale nucleo noradrenergico è il locus coeruleus, così definito a causa della colorazione bluastra nelle sezioni di cervello fresco; il locus coeruleus è localizzato bilateralmente nel ponte dorsale vicino al pavimento del quarto ventricolo come si vede da questa immagine:
Altri nuclei noradrenergici (neuroni che rilasciano noradrenalina) sono sparsi nel midollo allungato e nel ponte e principalmente innervano il tronco encefalico.
I presunti 40.000 neuroni nel locus coeruleus dell’uomo sono la fonte primaria dell’innervazione noradrenergica per la maggior parte del SNC, compresi il proencefalo, il cervelletto e il midollo spinale.
Pertanto un’estesa arborizzazione assonale costituisce oltre il 95% del volume neuronale dei singoli neuroni noradrenergici del locus coeruleus; come altre componenti della sostanza reticolare, gli assoni noradrenergici sono sottili processi non mielinizzati che contengono neurotrasmettitori per tutta la loro lunghezza, e delle varicosità sgranate lungo l’assone costituiscono siti di contatto sinaptico specializzato noti come sinapsi “en passage”.
Come viene meglio esemplificato nella corteccia cerebrale, i singoli assoni noradrenergici formano contatti sinaptici con milioni di neuroni, e l’albero assonale appare come una densa rete che si ramifica attraverso tutti gli strati corticali.
Inoltre i singoli neuroni noradrenergici inviano assoni che innervano funzionalmente differenti regioni del cervello (p. es., la corteccia cerebrale e il cervelletto).
Gli effetti della noradrenalina sono mediati nel cervello da due classi di recettori: recettori a- e P-adrenergici. Queste classi sono ulteriormente suddivise, sulla base delle caratteristiche farmacologiche e degli effetti fisiologici, in recettori alfa1, alfa2, beta1 e beta2.
La stimolazione dei recettori alfa1 causa un’attivazione del ricambio del fosfoinositide.
I recettori alfa2 sono legati all’inibizione dell’adenilato ciclasi e all’apertura di un canale del K+, e queste azioni tendono a diminuire l’eccitazione neuronale.
I recettori alfa2 sul corpo cellulare neuronale, che possono essere stimolati attraverso i collaterali noradrenergici ricorrenti, rallentano il flusso di eccitazione dei neuroni adrenergici.
Inoltre, quando attivati, i recettori alfa2 sulle terminazioni noradrenergiche diminuiscono la quantità di noradrenalina rilasciata, presumibilmente attraverso la riduzione dell’ingresso di calcio durante la depolarizzazione della terminazione nervosa.
La clonidina è un agonista dei recettori alfa2 e pertanto inibisce l’eccitazione del locus coeruleus; ciò è responsabile della sua efficacia nell’attenuare i sintomi fisici della sindrome acuta da astinenza da oppiacei.
I recettori beta1 e beta2 si distinguono per la bassa attività intrinseca di noradrenalina per il secondo tipo di recettore, e per la loro sensibilità differenziale a certi antagonisti.
Nel cervello, i recettori beta1 sembrano avere un alto grado di localizzazione nei neuroni, mentre i recettori beta2 sono per lo più, anche se non esclusivamente, assodati a elementi non neuronali come le cellule gliali.
L’attivazione dei recettori beta in generale causa la stimolazione dell’adenilato ciclasi attraverso la proteina G, e l’aumento dei livelli intracellulari di AMP ciclico.
Pertanto le risposte cellulari ai beta-agonisti riflettono l’attivazione di proteina chinasi dipendenti dall’AMP ciclico e la desensibilizzazlone dei recettori corticali beta-adrenergici è un effetto generale degli antidepressivi.
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Vie Serotoninergiche e Neuroni Serotoninergici
I neuroni che rilasciano serotonina hanno il corpo cellulare localizzato nel nucleo del rafe situato presso la linea mediana del tronco cerebrale come si vede da questa immagine:
Come i neuroni noradrenergici del locus coeruleus, i neuroni serotoninergici del nucelo del rafe forniscono un’innervazione finemente distribuita virtualmente a tutte le aree del SNC.
Ciò nonostante i componenti del nucleo del rafe forniscono un discreto numero di sistemi di innervazione più regionali.
Gli effetti sinaptici della serotonina sono mediati da un grande numero di recettori pre- e postsinaptici.
Molte ricerche farmacologiche e molecolari dei primi anni 2000 suggeriscono l’esistenza di almeno quattro tipi di recettori 5-HT con sottotipi multipli.
I recettori 5-HT1 signifìcativi per la farmacologia umana sono il 5-HT1a, un grande recettore presinaptico che è il sito di azione del farmaco ansiolitico buspirone, il recettore 5-HT1c, che è sia pre- che post- sinaptico; e il recettore 5-HT1d, di cui è agonista il farmaco antiemicranico sumatriptan.
Il recettore 5-HT2 è un recettore postsinaptico che sembra costituire il sito d’azione chiave della dietilamide dell’acido lisergico (LSD), della mescalina, della psilocibina e degli allucinogeni correlati.
I recettori 5-HT1a e 5-HT1d inibiscono l’adenilato ciclasi e attivano un canale del potassio voltaggio-dipendente attraverso la proteina G.
I recettori 5-HT1c e 5-HT2 attivano le vie del secondo messaggero inositol trifosfato/diacilglicerolo.
Il recettore per la serotonina 5-HT3 è l’unico recettore monoaminico noto rappresentato da un canale regolato direttamente dai neurotrasmettitori.
Il farmaco antiemetico odansetron antagonizza gli effetti eccitatori della serotonina a livello dei recettori 5HT3 nell’area di chemiostimolazione del midollo allungato (l’altro significativo tipo di recettore di questi neuroni è il recettore D2 della dopamina (i vecchi antiemetici erano antagonisti del recettore della dopamina).
Infine la funzione dei recettori 5-HT4 non è ancora completamente chiara.
I neuroni serotoninergici, attraverso l’innervazione della corteccia cerebrale, sono stati associati alla regolazione dello stato di veglia e inoltre gli effetti serotoninergici nel sistema limbico possono avere un ruolo nel controllo dell’umore, dell’ansia e dell’aggressività e un ruolo nella modulazione del dolore.
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Vie Dopaminergiche e Neuroni Dopaminergici
Quattro principali sistemi dopaminergici hanno particolare interesse per la ricerca psichiatrica come vedete da questa immagine:
I grandi neuroni dopaminergici pigmentati situati nella sostanza nera nel mesencefalo forniscono una rete molto fitta di innervazione al caudato e al putamen che rappresenta il 15% circa delle sinapsi in queste strutture.
Questo sistema ricco di vie collaterali di assoni amielinici si arborizza in una sottile fìligrana di assoni con numerose varicosità, che forniscono migliala di sinapsi “en passage”.
Le proiezioni dopaminergiche nigrostriatali sono intimamente coinvolte nell’inizio e nella fluidità dell’esecuzione delle attività motorie e possono avere un ruolo analogo nelle funzioni cognitive, riflettendo le maggiori proiezioni dalla corteccia frontale al caudato.
La degenerazione delle proiezioni dopaminergiche nigrostriatali causa i sintomi del morbo di Parkinson, e il blocco dei recettori dopaminergici attraverso i farmaci neurolettici causa effetti collaterali extrapiramidali clinicamente simili, riflettendo l’alterazione della neurotrasmissione dopaminergica dello striato.
I corpi cellulari dei neuroni dopaminergici situati più medialmente nell’area tegmentale ventrale (ATV) forniscono l’innervazione al nucleo accumbens, un’area cardine dei circuiti del sistema limbico, così come alla neocortex, alla corteccia del giro del cingolo, all’amigdala e all’ippocampo.
Mentre nel ratto l’innervazione dopaminergica della corteccia è dispersa e limitata alle regioni prefrontali, nei primati sembra esistere una signifìcativa innervazione dell’intera corteccia cerebrale da parte dei neuroni dell’ATV (Leviti et al. 1984).
Le proiezioni dopaminergiche dall’ATV al nucleo accumbens sono state interpretate come “circuiti di ricompensa cerebrali“, i cosiddetti Circuiti del Reward di cui ho parlato molto su questo blog, che mediano gli effetti di rinforzo positivo dei comportamenti (incluso Social Network e Smartphone)e delle sostanze farmacologiche che danno assuefazione, come la cocaina, l’amfetamina e probabilmente gli oppiacei.
Le proiezioni dopaminergiche corticali possono essere coinvolte nell’attenzione, nella “memoria operativa” e, in modo indotto, nelle interazioni cognitive.
Si è ipotizzato, sulla base delle proprietà antagoniste alla dopamina dei farmaci antipsicolici (si veda oltre), che nella schizofrenia e in altri disturbi psicotici si verifìchi una disfunzione dei circuiti dopaminergici mesolimbici.
Per finire, un gruppo di neuroni dopaminergici situati nel nucleo arenato dell’ipotalamo invia assoni che terminano nei seni venosi dell’ipofisi; queste terminazioni dopaminergiche tubero-infundibolari inibiscono il rilascio dell’ormone ipofisario prolattina.
Questo ruolo fisiologico è stato ampiamente sfruttato quale misura periferica di alterazioni della neurotrasmissione dopaminergica centrale; pertanto i neurolettici, in quanto potenti bloccanti dei recettori della dopamina D2 aumentano il rilascio di prolattina.
Gli effetti sinaptici della dopamina sembrano essere mediati da numerosi recettori distinti dal punto di vista farmacologico e fisiologico ed è verosimile che non tutti i tipi di recettore della dopamina (D1, D2, D3, D4) siano stati scoperti, e al momento la nomenclatura potrebbe non essere ancora completamente definita.
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Vie Colinergiche e Neuroni Colinergici
La maggior fonte di innervazione colinergica nella corteccia cerebrale, nell’ippocampo e nelle strutture del Sistema Limbico è un complesso di grandi neuroni situati nella base del prosencefalo come potete vedere da questa immagine:
Il nucleo basale di Meynert, un gruppo per certi versi disperso di corpi cellulari colinergici situati nella parte ventrale e mediale del globus pallidus, invia assoni che innervano la corteccia cerebrale.
La banderella diagonale di Broca situata più anteriormente e il nucleo settale mediale innervano l’ippocampo e la corteccia cingolata.
L’albero terminale delle afferenze colinergiche costituisce una rete di fibre orientate in modo casuale distribuite a tutti gli strati della corteccia cerebrale, mentre nella formazione ippocampale è evidente una distribuzione laminare molto più specifica, soprattutto nel giro dentato.
La fitta innervazione colinergica del caudato e del putamen non viene fornita da queste proiezioni ascendenti, ma da circuiti neuronali locali i cui alberi assonali sono ristretti ai gangli della base.
Gli effetti postsinaptici dell’acetilcolina nel prosencefalo sembrano essere mediati da recettori sia muscarinici sia nicotinici; i recettori nicotinici nel cervello sono canali regolati dai neurotrasmettitori, in qualche modo differenti da quelli che mediano gli effetti dell’acetilcolina nella giunzione neuromuscolare per il fatto che sono state scoperte numerose subunità dei recettori cervello-specifici.
A parte gli effetti psicotropi centrali della nicotina stessa, il ruolo dei recettori nicotinici nel cervello resta relativamente poco noto.
Almeno cinque tipi di recettori colinergici muscarinici sono stati identificati attraverso studi farmacologici e di clonazione (M1-M4).
I recettori muscarinici che mediano gli effetti dell’acetilcolina per le proiezioni corticali e ippocampali giocano un ruolo integrale nelle più alte funzioni cognitive, specialmente l’apprendimento e la memoria.
I farmaci che bloccano questi recettori, come la scopolamina o l’atropina, e la distruzione delle proiezioni colinergiche della base del proencefalo in animali producono selettivi deficit delle funzioni della memoria.
È da notare che marcate perdite di assoni colinergici corticali e ippocampali sembrano essere un importante difetto nella malattia di Alzheimer e possono contribuire alla compromissione cognitiva in questo disturbo (Coyle et al. 1983).
Il sistema colinergico sembra essere anche coinvolto nel controllo del tono dell’umore, poiché gli antagonisti dei recettori muscarinici aumentano il tono dell’umore negli esseri umani, mentre è stato descritto che l’inibitore dell’acetilcolinesterasi attivo centralmente, la fìsostigmina, provoca una depressione dell’umore.
Infine, le proiezioni colinergiche hanno un ruolo nel sonno, soprattutto nel sonno REM; durante il sonno REM, i neuroni noradrenergici del locus coeruleus sono tonicamente inibiti, mentre i neuroni colinergici sono attivi.
I farmaci colinergici favoriscono il sonno con movimenti oculari rapidi (REM), mentre quelli anticolinergici lo antagonizzano.
L’osservazione che la latenza della fase REM è diminuita nella depressione maggiore (concordemente all’iperattività dei neuroni colinergici) è un’ulteriore evidenza che i sistemi colinergici possono avere un ruolo nella regolazione dell’umore e nei disturbi dell’umore.
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Gli Amminoacidi neurotrasmettitori
Quest’ultimo capitolo riguarda gli amminoacidi neurotrasmettitori che rappresentano un’area di ricerca importante sulle basi biologiche della mente umana e sulle basi neuroscientifiche della psichiatria.
I neurotrasmettitori eccitatori e inibitori primari nel cervello, come già anticipato prima, sono gli aminoacidi L-glutammato e GABA; il loro rilevante ruolo nell’elaborazione dell’informazione indica che essi sono localizzati in un grande numero di differenti sistemi neuronali in tutto il cervello, diversamente dai neuroni della sostanza reticolare, in cui i corpi cellulari sono principalmente confinati in nuclei distinti all’interno del tronco cerebrale.
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GABA
I neuroni GABAergici sono particolarmente rilevanti per la psichiatria poiché le benzodiazepine, i barbiturici, molti anticonvulsivanti e anche l’alcol etilico che consumiamo nelle bevande alcoliche, esercitano i loro effetti primari attraverso l’attivazione dei recettori del GABA.
All’interno della corteccia cerebrale, dell’ippocampo e delle strutture limbiche, i neuroni GABAergici sono principalmente neuroni di circuiti locali che hanno i loro corpi cellulari e l’albero assonale terminale contenuti interamente all’interno delle strutture come vedete da questa immagine:
Infatti, la neurotrasmissione inibitoria GABAergica predomina in queste strutture, dove il blocco farmacologico dei recettori del GABA con la bicucullina causa diffusa disinibizione e crisi convulsive.
I neuroni GABAergici vengono anche osservati come neuroni a lunga proiezione in altre aree del cervello. Per esempio, la principale emissione del caudato-putamen che arriva al globus pallidus e alla sostanza nera consiste di neuroni GABAergici.
La vulnerabilità di alcuni sottogruppi di questi neuroni GABAergici striatali nella malattia di Huntington contnbuisce ai movimenti abnormi che caratterizzano questa malattia.
Anche i neuroni afferenti cerebellari, le cellule del Purkinje, sono neuroni GABAergici a lunga proiezione.
I segni cerebellari quali l’atassia che deriva da eccessive dosi di barbituricì o di etanolo verosimilmente riflettono il potenziamento della neurotrasmissione GABAergica attraverso questi efferenti cerebellari.
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Il Glutammato
Il glutammato è il più importante neurotrasmettitore eccitatorio del cervello e rappresenta un argomento molto importante della ricerca neuropsichiatrica moderna; esempi ben studiati di neuroni che usano il glutammato comprendono le cellule piramidali della corteccia cerebrale e della formazione ippocampale, e le afferenze sensitive primarie:
La maggior parte della neurotrasmissione eccitatoria rapida nel cervello è promossa da recettori del glutammato che sono canali regolati dai neurotrasmettitori.
Questi recettori sono stati denominati dai loro agonisti farmacologici, il kainato, l’acido a-ammo-3-idrossi-5-metil-4-isossazolo propionico (AMPA) e l’N-metil-D-aspartato (NMDA), quest’ultimo molto importante per lo sviluppo di nuovi farmaci antidepressivi e non solo.
I geni che codificano i polipeptidi che formano i canali ionici controllati dal glutammato sono stati clonati (Seeburg 1993); vi sono anche recettori del glutammato che attivano le proteine G, correntemente defìniti i recettori “metabotropici” del glutammato.
Gli studi di clonazione molecolare hanno identificato sottotipi multipli anche di questi recettori (Schoepp e Conn 1993).
Il legame del glutammato fa sì che i recettori kainato e AMPA aprano un canale del sodio intrinseco, benché alcuni sottotipi possano anche fare entrare il Ca++; i recettori NMDA sono peculiari per il fatto che il loro canale,che può permettere l’ingresso sia del Na+ che del Ca++, viene bloccato dal Mg++ in condizioni di riposo del potenziale di membrana (-70 mV).
L’attivazione dei recettori NMDA può avvenire soltanto quando due eventi si verificano in contemporanea: il glutammato deve legare il recettore e la membrana deve essere depolarizzata (p. es., attraverso l’attivazione dei circostanti recettori del glutammato non NMDA), il che permette al Mg++ di uscire dal canale.
Poiché per l’attivazione dei recettori NMDA sono necessari due eventi simultanei (cioè il recettore è un rilevatore di fatti coincidentali), i recettori NMDA sono stati considerati un possibile substrato per l’apprendimento associativo attraverso il processo del potenziamento a lungo termine.
Il potenziamento a lungo termine è un aumento persistente dell’effìcacia sinaptica che si realizza come conseguenza di un periodo di elevata attività eccitatoria presinaptica (Bliss e Collingridge 1993).
Il glutammato è stato coinvolto in un numero sempre maggiore di disturbi neurologici e psichiatrici. Un’eccezionale scoperta, importante per la psichiatria, è che gli effetti psicomimetici della fenciclidina (PCP), la droga chiamata anche “Polvere d’Angelo“, e dei composti correlati sono dovuti alla capacità di questi composti di bloccare il canale del recettore NMDA (Martin e Lodge 1985).
Poiché il glutammato è il neurotrasmettitore dei neuroni piramidali corticali e ippocampali, si è ipotizzato che gli effetti dissociativi e psicomimetici della PCP possano riflettere un’interferenza con la trasmissione glutammatergica in queste regioni cerebrali; Olney nel 1989, per primo dimostrò che l’iniezione periferica di glutammato in animali neonati produce un tipo selettivo di degenerazione neuronale che colpisce i neuroni del nucleo arcuato dell’ipotalamo, le strutture periventricolari del cervello e lo strato interno della retina.
Egli ipotizzò che la neurotossicità del glutammato derivasse da un’eccessiva depolarizzazione dei neuroni mediata dai recettori eccitatori del glutammato. Studi successivi dimostrarono che l’iniezione intracerebrale di agonisti dei tre maggiori tipi di recettori del glutammato – i recettori kainato, AMPA e NMDA – uccideva i neuroni presso il sito di iniezione, ma risparmiava gli assoni dei neuroni distanti e gli elementi non neuronali come la glia.
A seconda della sede dell’iniezione cerebrale, queste “eccitotossine” possono produrre modelli sperimentali di numerose malattie neurodegenerative compresa la malattia di Huntington, l’epilessia del lobo temporale e la degenerazione spinocerebellare (Schwarz e Meldrum 1985).
Queste osservazioni hanno sollevato il problema se il glutammato e i relativi neurotrasmettitori eccitatori endogeni possano causare la degenerazione neuronale nel cervello in alcune circostanze in conseguenza a un eccessivo rilascio o a un’insuffìciente inattivazione; con lo sviluppo di potenti e specifici antagonisti dei recettori NMDA, alcune scoperte degli anni ’90 hanno confermato tale ipotesi (Choi e Rothman 1990).
Di conseguenza, il trattamento con gli antagonisti NMDA previene la degenerazione dei neuroni nel sistema limbico secondaria a crisi convulsive persistenti, la degenerazione dei neuroni nello striato conseguente a grave ipoglicemia e la degenerazione dei neuroni nell’ippocampo secondaria all’ischemia.
Questi risultati sembrano promettenti per lo sviluppo di nuove classi di farmarmaci neuroprotettivi già in corso in questi anni ’20 del nuovo secolo.
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Le Purine
Nello stesso modo in cui alcuni aminoacidi che costituiscono le proteine (p. es., glutammato, glicina) possono agire da molecole segnale nel sistema nervoso, è stato dimostrato che anche alcune purine che costituiscono gli acidi nucleici possono avere la funzione di neurotrasmettitori.
La purina adenosina agisce attraverso due tipi di recettori legati alle proteine G; è stato evidenziato che gli effetti stimolanti della caffeina sul comportamento derivano da questa sua azione quale agonista competitivo dei recettori dell’adenosina.
Inoltre sembra che anche l’ATP, la principale fonte di energia per le cellule, possa agire da neurotrasmettitore; è stato dimostrato che un tipo di recettore dell’ATP è un canale regolato dai neurotrasmettitori.
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Le Endorfine
Come descritto precedentemente in questo lungo post sulle basi biologiche della mente, i neuropeptidi meglio studiati in relazione alla psichiatria sono le endorfìne.
Questa famiglia di neuropeptidi fu originariamente scoperta nel corso di ricerche per determinare se vi fossero sostanze endogene nel cervello che funzionassero da agonisti dei recettori degli oppiacei; i pentapeptidi Met- e Leu-encefalina furono i primi peptidi endogeni oppioidi descritti, anche se studi successivi hanno rivelato una famiglia di questi peptidi con differenti effetti sulle sottoclassi di recettori oppioidi.
Le encefaline si trovano principalmente nei neuroni di circuiti locali in numerose regioni del SNC, ma vengono anche identificate nei neuroni proiettivi.
Gli interneuroni che contengono encefaline all’interno della sostanza grigia periacqueduttale, del nucleo del rafe e del corno posteriore del midollo spinale sono componenti fondamentali del sistema di analgesia endogeno.
Gli interneuroni contenenti encefaline che liberano i neuroni dopaminergici VPA dall’inibizione tonica dei neuroni GABAergici possono rappresentare parte del substrato degli effetti di gratificazione encefalica indotti dagli oppiacei e quindi dell’abuso e dipendenza da oppiacei.
I neuroni contenenti encefaline sono presenti in alte concentrazioni anche nel caudato, nel putamen, e nel globus pallidus, dove essi sembrano essere coinvolti nella funzione motoria.
Il più grande peptide oppioide endogeno, la Beta-endorfina, ha una doppia localizzazione: la Beta-endorfìna è contenuta in un gruppo di neuroni dell’ipotalamo che inviano assoni alle aree limbiche.
Inoltre, come già descritto in precedenza in questo capitolo, la Beta-endorfina viene anche secreta dai corticotropi nell’ipofìsi anteriore.
La colocalizzazione di ACTH e Beta-endorfìna riflette la comune origine di questi due peptidi dal precursore, POMC.
Durante i periodi di stress, il rilascio sia di ACTH che di Beta-endorfina può contribuire all’analgesia correlata allo stress.
Inoltre, la disregolazione ipotalamoipofìsario-surrenalica (HPA) nel disturbo depressivo maggiore coinvolge un’eccessiva secrezione di Beta-endorfina come pure di ACTH e cortisolo.
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Conclusioni
Bene, siamo giunti alla fine di questo lungo post sulle basi biologiche della mente umana.
Spero che vi sarà di aiuto per apprendere o consolidare le nozioni più importanti sulle basi neuroscientifiche della psichiatria e della psicologia.
Come sempre se avete domande, precisazioni o commenti vi invito a farli nell’apposito spazio dopo il post.
Un caro saluto!
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Bravissimo, grazie,!!