Parliamo delle Origini della Psichiatria, in un breve articolo che permette di orientarsi in questo argomento vasto ed affascinante.
La psichiatria moderna è quella branca della medicina che studia le manifestazioni cliniche e la terapia dei disturbi mentali (Schizofrenia, Disturbi Bipolari, Disturbi Depressivi, Disturbi d’Ansia, Disturbi della Personalità, etc.), interessanti tanto la vita intrapsichica del soggetto quanto le relazioni con gli altri e la capacità di un individuo di adattarsi alla vita sociale.
La psichiatria si interessa, oltre che alle dimensioni biologiche della psicopatologia, anche ai fondamenti ed alle interazioni dinamiche della personalità che contribuiscono allo sviluppo della malattia mentale.
Tutte le cause di psicopatologia includono determinanti genetiche, tanto quelle di derivazione cromosomica quanto quelle risultanti da fattori prenatali, interazioni ambientali, familiari e sociali, e privazioni d’esperienze nell’infanzia e nell’età adulta, che spesso sottendono la selezione di forme specifiche di comportamento.
In psichiatria il termine “dinamico“, molto utilizzato in vari contesti, si riferisce spesso alle motivazioni che dirigono il comportamento ed ai processi e meccanismi di adattamento utilizzati per soddisfare le esigenze funzionali della personalità ai livelli biologico, familiare e sociale di vita; tra i vari tipi di disturbo si ritrovano quelli che comportano alterazioni del comportamento manifesto, nonché quelli che influenzano le emozioni, il pensiero ed il funzionamento di vari sistemi organici.
L’interesse della psichiatria è rivolto sia ai disturbi psichiatrici maggiori (il cosiddetto Asse I del DSM) che alle insufficienze di sviluppo ed ai disturbi della personalità, espresse tanto in certe persistenti immaturità, quanto in più gravi disorganizzazioni patologiche.
Poiché l’alterazione del comportamento tocca molti aspetti della vita sociale, lo psichiatra e la psichiatria sono interessati non solo a tutte le scienze biologiche per il loro contributo alla conoscenza dello sviluppo fisiologico e patologico della personalità, ma anche a quelle altre discipline che contribuiscono alla gestione ed al controllo sociale degli individui con disturbi della personalità, come la psicologia, le scienze sociali, il diritto, la filosofia e la teologia.
Attraverso le scienze biologiche la psichiatria moderna studia l’eredità genetica del singolo, che comprende le predisposizioni, l’influenza dei processi anatomici, fisiologici e biochimici, e l’effetto sulla maturazione del sistema nervoso delle esperienze fatte dall’individuo nel corso della vita; la registrazione di tali esperienze inizia nel periodo prenatale e si estende attraverso l’infanzia fino alle successive pressioni ambientali e culturali.
L’interazione di tutti questi fattori struttura la psiche dell’individuo.
La personalità, concetto che a me interessa molto, è stata definita in molti modi; alcuni di questi concernono solo le espressioni esteriori del comportamento, mentre altri prendono in considerazione anche l’esperienza soggettiva.
Per gli psichiatri, entrambi gli aspetti dell’esperienza individuale rientrano nel termine “personalità“, forse meglio definibile come l’insieme dei modelli di comportamento ricorrenti in modo caratteristico in ciascun individuo; questi modelli, caratteristici del singolo, si evidenziano in risposta agli stress della vita, siano essi improvvisi o continui.
L’Alba della Psichiatria
Le origini della maggioranza dei concetti scientifici, e quindi anche le origini della psichiatria, psichiatrici sono naturalmente ben radicate nel passato.
Ci sono, tutt’al più, delle supposizioni circa il modo in cui i disturbi del comportamento venivano considerati dall’uomo preistorico.
Lo studio delle società primitive contemporanee fornisce un sostegno alle ipotesi relative alle concezioni preistoriche sulla malattia, riflesse nei miti e nelle testimonianze arcaiche; inoltre studi comparativi hanno fornito conoscenze di grande valore nella gamma di comportamenti umani in varie condizioni ponendo in evidenza l’influenza modificatrice della cultura sulle espressioni sintomatiche della psicopatologia e chiarendo le insufficienze di alcune teorie del comportamento basate sullo studio dell’uomo, in una particolare cultura e in un dato periodo di tempo.
Le concezioni della malattia osservate fra le genti primitive differiscono da quelle delle comunità scientifiche del nostro tempo, sebbene sia possibile notare, di tanto in tanto, residui di tali idee nelle società moderne, anche in quelle tecnologicamente più avanzate.
Per il primitivo, tutte le malattie sono causate da forze operanti dall’esterno del corpo considerate soprannaturali; esse sono spiriti malvagi, streghe, demoni, dei o maghi.
Queste spiegazioni demonologiche valgono particolarmente per i disturbi del comportamento.
Non è fuor di luogo supporre che l’uomo primitivo giunse a tali idee partendo dalla sua personale esperienza e dal suo contatto con l’ammalato. I sogni sul ritorno dei morti ed il ricordo delle loro minacce, richieste ed affetti probabilmente favorirono la credenza di influenze soprannaturali.
L’osservazione del comportamento strampalato, inadeguato, privo di senso e distruttivo del delirante e dello psicotico, i timori di fronte ad un attacco convulsivo e gli sforzi per spiegare fenomeni come quello dell’arto fantasma, devono aver favorito il concetto della possessione demoniaca quale agente causale delle modificazioni comportamentali, bizzarre e spaventevoli, di coloro con i quali l’uomo primitivo era in rapporto di vicinanza ed intimità.
Le società primitive inventarono metodi terapeutici usati ancora oggi quasi esclusivamente nell’ambito di pratiche magiche e religiose; in tali metodi (che spesso erano seguiti dalla guarigione dell’ammalato) è possibile riconoscere i rudimenti della psicoterapia.
Poiché per i primitivi il simile produce il simile e poiché oggetti, una volta in contatto, continuano ad esercitare un’influenza anche a distanza, fra loro è frequente l’uso di amuleti per la loro virtù protettiva e curativa: gli amuleti possono essere considerati una magia omeopatica o imitativa.
Un altro uso costruttivo della magia imitativa è presente nei riti dei guaritori, che rivivono l’esperienza della persona allo scopo di aiutarla.
Buon esempio di ciò sono i guaritori della tribù dei Dyaks del Borneo, che recitano il ruolo della partoriente o lo stregone che entra in uno stato di trance prima di indicare la terapia.
L’efficacia di tali metodi terapeutici si fonda sulla identificazione del paziente con il guaritore e sul fatto che il primo entra in uno stato di morte e di rinascita; l’uso terapeutico degli stati di trance è un altro provvedimento largamente in uso fra i gruppi primitivi.
In alcune tribù, lo stato di trance viene indotto attraverso la concentrazione su degli oggetti nello stesso modo in cui è possibile indurre uno stato ipnotico.
La prestazione dello stregone consiste spesso nel trovare l’anima smarrita o sofferente, esorcizzare il demone, ed infine riportare l’anima nel corpo. L’esorcismo, l’allontanamento forzato di uno spirito malvagio dall’individuo posseduto, viene realizzato in forze diverse nei vari popoli e luoghi e può essere facilmente considerato un metodo psicoterapico, in cui il malato viene incoraggiato a parlare di quelle sue azioni e misfatti che hanno le connotazioni della colpa.
I riti di auto-punizione sembrano avere lo stesso obiettivo.
Altri metodi primitivi comprendono l’uso di formule magiche e di incantesimi, i sacrifici rituali, i riti del silenzio, nonché le applicazioni di erbe e di altre medicine all’esterno o all’interno del corpo.
In tutti i casi è possibile ravvisare l’inizio delle tecniche primitive in semplici spiegazioni di causa ed effetto ed in osservazioni empiriche, senza il riconoscimento dell’azione di forze interne, psicologiche o biologiche.
Lo stregone non dirige i suoi sforzi sull’individuo ma piuttosto su di una forza malvagia e invadente, estranea al suo paziente.
I significati e gli scopi dei riti primitivi, sebbene psicoterapeutici, non hanno perciò alcun rapporto con le moderne terapie, che rintracciano le origini della malattia nell’ambito dell’organizzazione e dello sviluppo biopsicosociale dell’uomo,
Origini della Psichiatria: l’Età Greco-Romana
I riferimenti a disturbi mentali contenuti nei più antichi scritti egiziani, indiani, cinesi, greci e romani svelano le origini delle più importanti correnti di pensiero e d’azione che permeano lo sviluppo scientifico della psichiatria moderna.
Gli esordi dell’atteggiamento umanitario, oggi riflesso nella psichiatria sociale, si scorgono già verso l’860 a.C. quando i sacerdoti Greci integrano gli incantesimi e gli esorcismi per i pazienti mentali con raccomandazioni e consigli sulla pratica di attività fisiche e ricreative.
Un importante cambiamento avvenne nel VI secolo a.C, quando i guaritori greci volsero il loro interesse all’osservazione ed alla sperimentazione; queste furono i primi passi verso scienze biologiche.
Alcmeone di Crotone sezionò ed osservò le connessioni fra gli organi di senso ed il cervello, da ciò deducendo che il sito della ragione e dell’anima fosse in questo organo.
Gli inizi di questo movimento scientifico sono intracciabili soprattutto negli scritti di Ippocrate (460-375 a. C), che introdusse una classificazione delle malattie mentali in mania, melanconia e frenite: le sue descrizioni mostrano che già allora si aveva conoscenza dell’epilessia, dell’isteria, della psicosi post-partum, e delle sindromi cerebrali acute (stati deliranti o, modernamente, “Delirium“) che si manifestano nelle malattie infettive ed in seguito ad emorragia.
Ippocrate respinse nettamente la credenza nell’origine divina della malattia mentale influenzando anche gli atteggiamenti sociali del suo tempo.
Sebbene riconoscessero i diritti dei malati mentali, nelle cause civili i giudici ateniensi non ne tenevano alcun conto in caso di delitto capitale; in seguito alla diffusione delle concezioni ippocratiche, se si poteva dimostrare che l’individuo sottoposto a giudizio soffriva di una condizione morbosa, definita “Paranoia da Ippocrate“, il giudice assegnava un sorvegliante all’accusato.
Anche se altri estesero l’approccio di Ippocrate, indubbiamente il punto più alto dell’osservazione scientifica durante il periodo greco-romano venne raggiunto al tempo del medico romano Galeno (129 – 201 d. C).
Servendosi del metodo scientifico, questi studiò l’anatomia e la fisiologia del sistema nervoso e ipotizzò che l’esistenza di sintomi non indicasse necessariamente che l’organo o la parte del corpo utilizzata per la loro espressione fosse quella affetta da malattia.
Galeno sviluppò una teoria dell’anima razionale, da lui divisa in una parte esterna ed una interna: la prima, nel suo sistema, consiste nei cinque sensi; le funzioni della seconda sono l’immaginazione, il giudizio, la percezione ed il movimento.
Galeno concludeva, secondo il pensiero platonico e al contrario di quello aristotelico, che il cervello e non il cuore fosse la sede dell’anima.
Il problema della malattia mentale attirò anche l’attenzione dei filosofi Greci alle origini della psichiatria.
Empedocle parlò dell’importanza delle emozioni e mise in rilievo che amore ed odio hanno un ruolo fondamentale nella determinazione del comportamento umano.
I suoi concetti vennero utilizzati da Platone nella sua concezione dell’Eros nella vita personale dell’uomo; Platone avanzò l’idea della possibilità di scrivere una biografia psicologica per ogni essere umano, a partire dai primissimi anni di vita attraverso i suoi rapporti con i familiari e gli educatori, al fine di spiegarne il comportamento nell’età adulta.
Ed ancora formulò il concetto di un’anima divisa in tre parti, razionale, concupiscibile ed irascibile, l’ultima comprendente varie qualità animali, concetto che è stato paragonato a quello freudiano della struttura della personalità.
Così una delle correnti principali della psichiatria moderna, la psichiatria psicodinamica, ebbe il suo inizio storico nel periodo greco-romano, in gran parte scomparve nell’età barbarica, e ricomparve sporadicamente negli scritti filosofici del Medio Evo.
Venne infine recuperata nel movimento psicodinamico moderno iniziato da Sigmund Freud.
Con il declino dell’impero romano e durante tutta l’età barbarica della storia occidentale, si verificò un ritorno della demonologia, delle spiegazioni su base spirituale, degli esorcismi complicati, con l’isolata disapprovazione di alcuni solitari; talora, nel corso del Medio Evo ed anche in seguito, in Europa e nelle Americhe, ampi gruppi di persone sembrarono colpiti contemporaneamente da epidemie psichiche.
La maggioranza di tali persone era costituita da contadini poveri, artigiani ed altri membri impoveriti della società. Credendo di essere possedute dal diavolo, folle di persone ballarono per le strade, urlarono i nomi dei diavoli, si esposero in pubblico auto-esorcizzandosi, e descrissero le loro visioni estatiche.
Lo studio di queste epidemie portò ad alcune delle più antiche concezioni del ruolo etiologico dei fattori sociali nell’alienazione mentale, che rappresentano gli esordi della psichiatria sociale.
Johann Weyer, il medico e demonologo che alcuni definiscono il primo psichiatra, si batté apertamente contro le credenze del suo tempo nella possessione soprannaturale come causa di fenomeni mentali, condannò quelli che accusavano donne di stregoneria, fornì delle spiegazioni per le psicosi collettive e descrisse molte persone che presentavano sintomi di melanconia derivante dall’amore.
Egli propose di consultare un medico onorato prima di giudicare, poiché il comportamento di tali donne era dovuto, secondo la sua opinione, alla malattia.
Johann Weyer suggerì inoltre la possibilità di scoprire la patogenesi dei fenomeni mentali con lo sviluppo di una conoscenza dettagliata dell’ammalato; egli curò con successo alcune donne accusate di stregoneria, incontrandosi da solo e parlando con loro per lunghi periodi di tempo.
A partire da Francesco Bacone, nel XVI secolo, i filosofi considerano le funzioni della mente pertinenti all’ordine naturale dello universo esercitando una profonda influenza sul pensiero medico. In questo periodo l’interesse filosofico di Descartes ed altri per la « mente », e per le sue funzioni portò ad una spiegaione dualistica del comportamento umano. Si noterà che non venne fatta alcuna citazione della parola “mente” nella definizione della psichiatria.
Non è necessario, tuttavia, fare obiezioni all’uso di questa parola, purché essa sia impiegata come espressione collettiva di certe attività funzionali dell’organismo, in particolare di quelle proprie dell’individuo in quanto persona.
A corollario di tale definizione si potrebbero definire fisiologiche le reazioni di parti dell’organismo, mentre “la mente” potrebbe essere considerata la risposta integrata dello organismo al complesso di forze fisiologiche, psicologiche, e sociologiche che entrano in contatto con esso.
La “mente”, quindi, è soltanto un aspetto non un’entità metafisica dotata di un’esistenza parallela a quella del corpo: ormai era chiaro che nell’organismo non esiste la dicotomia implicita nell’espressione “mente e corpo“.
Origini della Psichiatria: l’Età Moderna
In questo periodo storico, che è parte delle origini della psichiatria, rinasce nuovamente interesse per il trattamento umanitario del malato mentale.
Sotto la guida di Chiarugi in Italia (1759-1820), Philippe Pinel (1745-1826) in Francia, Daniel Tuke (1827-1895) in Inghilterra e Dorothea Dix (1802-1887) negli Stati Uniti, vennero eliminati ceppi e catene e costruiti ambienti ospitali per la cura dei pazienti psichiatrici.
Oggi, in seguito alla pressoché universale accettazione della malattia mentale in quanto problema medico nella società europea occidentale e nord-americana, questi cambiamenti continuano ad estendersi, manifestandosi attualmente nel movimento dell’ospedale aperto, nato in Inghilterra e anche in Italia con Franco Basaglia e la Psichiatria Democratica.
Più o meno contemporaneamente alle riforme umanitarie nella assistenza rinacque l’interesse medico per la malattia mentale.
Dopo una lunga serie di osservazioni fatte da brillanti clinici europei, Emil Kraepelin (1856-1926) diede alla psichiatria la prima ampia descrizione di quelli che egli ritenne fossero tipi di malattie mentali; prima di lui, l’attenzione degli psichiatri si era volta al sintomo, considerato come malattia.
Kraepelin ritenne che i disturbi mentali fossero entità morbose definite analoghe alle malattie fisiche e caratterizzate da un’etiologia, una sintomatologia, un decorso, un esito.
Ciò lo portò a porre in rilievo le osservazioni cliniche e la ricerca di origini biologiche delle malattie mentali.
Il suo sistema di classificazione si fondò sulle descrizioni, sui sintomi e sull’esito, poiché spesso era impossibile stabilire la diagnosi mediante esami di laboratorio, e non sulla comprensione dei fattori etiologici e dei processi psicodinamici.
Sebbene la sua nosografia apportasse chiarezza ad un miscuglio di osservazioni psichiatriche, in tal modo facilitandone uno studio scientifico, sembra tuttavia che Emil Kraepelin avesse in realtà una scarsa considerazione della vita interiore dei suoi pazienti.
La sua opera diede solo uno scarso impulso alla comprensione delle malattie mentali, ed in particolare delle forze psicodinamiche attive al loro interno.
Il suo nome, nondimeno va posto fra quelli dei grandi psichiatri, poiché egli osservò con acume e sistematizzò i risultati delle sue osservazioni, fase necessaria attraverso la quale ogni scienza deve passare.
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