Parlare di errori in psichiatria non è mai semplice ma potrebbe essere opportuno che a farlo sia proprio uno psichiatra, non pensate?
D’altra parte la psichiatria è una specialità medica, ovvero un’attività umana che è finalizzata al mantenimento, al recupero e alla preservazione di un certo livello di benessere mentale in tutti quei pazienti che manifestano sofferenza dovuta ad un disturbo mentale.
Come in ogni altra attività finalizzata umana, lo scopo può non essere raggiunto per varie ragioni, inclusa la possibilità di commettere degli errori.
Il discorso sugli errori in psichiatria andrebbe, in ogni caso, distinto nettamente da un altro tema molto importante che è quello della “Malpractice“, ovvero la malpratica (imperizia, negligenza e imprudenza) che è ancora un’altra cosa.
Infine in psichiatria, come in tutta la medicina, ci possono essere situazioni “limite” che potrebbero giovarsi solo molto poco (o per nulla) dell’intervento di aiuto del medico, sono questi i casi gravi o gravissimi resistenti alle attuali procedure di diagnosi e terapia.
In realtà in medicina il bilancio errore/non errore è più difficile e critico rispetto ad altre attività umane, e non sempre oggettivo, e nel caso specifico della psichiatria dove non abbiamo ancora tecniche di osservazione diretta delle alterazioni morbose “in vivo”, questo problema si pone in maniera ancor più gravosa.
Definire gli errori in psichiatria è indubbiamente un compito assolutamente complesso che spesso necessita del parere di più figure professionali che ne possano anche apprezzare le sfumature etiche, biologiche e psicologiche.
Valutare gli Errori in Psichiatria
Sono diversi ed eterogenei i due principali punti da considerare nel momento in cui si pretenda di valutare i vari possibili errori in psichiatria:
- Difficoltà nella previsione degli esiti: La medicina deve tentare il controllo di variabili esclusivamente somatiche, meglio misurabili e più prevedibili nel loro andamento. La psichiatria deve considerare, oltre a quelle più strettamente biologiche, anche variabili di tipo più allargato, di tipo psicosociale.
- Assenza del riscontro biologico: si può “vedere nel cervello” con le tecniche di immagine morfologica e funzionale ed effettuare alcune misure biochimiche ma i correlati biologici per quasi tutti i disturbi psichiatrici sono sfuggenti, mal definibili e in molti casi in apparenza del tutto assenti; la diagnosi in psichiatria, di conseguenza, è necessariamente quasi sempre basata su di una nosografia sindromica o descrittiva e non sui classici parametri della medicina: tipo della lesione, sede della lesione, causa della lesione.
È quindi molto difficile valutare, con criteri obiettivi, l’errore in caso di insuccesso di un dato intervento terapeutico.
Mancando il criterio basilare del controllo anatomo-patologico post-mortem e quello degli esami obiettivi di laboratorio in vivo, il criterio di valutazione sul successo o sull’insuccesso di una terapia è basato esclusivamente su criteri psicopatologici o di funzionamento che risentono inevitabilmente della distorsione proiettiva dell’esaminatore.
In queste condizioni, ricostruire dei possibili errori in psichiatria a livello di previsione, di programmazione e di esecuzione di un progetto terapeutico diventa più difficile che in qualunque altro settore della medicina.
Le Procedure Diagnostiche e le Linee Guida in Psichiatria
È interessante constatare come la moderna psichiatria, ben consapevole dei suoi limiti, abbia voluto compensare alla carenza di dati biologici perfezionando sempre di più le sue procedure diagnostiche.
I grandi sistemi di classificazione e di diagnosi sviluppati a livello internazionale (ICD e DSM) ne sono un esempio e mostrano come la definizione dei quadri morbosi psichiatrici sia in continua evoluzione sulla base dell’aumento delle conoscenze.
Non solo, ma le caratteristiche formali di questi manuali, e in particolare il DSM-V, sono molto più dettagliati ed esaustivi dei loro analoghi in medicina generale.
Queste caratteristiche rispondono all’ovvia esigenza di rendere più facile ed attendibile la diagnosi e, quindi, di minimizzare al massimo l’errore diagnostico della psichiatria.
Abbiamo poi anche le linee guida in psichiatria, il cui scopo è quello di uniformare le modalità di trattamento, minimizzare gli errori diagnostici e terapeutici e, in ultima analisi, proteggere il medico da possibili conseguenze di un suo “errore documentato“.
Le Linee Guida in Psichiatria, infatti, al di la del loro significato di aiuto professionale sempre più diventano un punto di riferimento in sede giudiziale per valutare l’eventuale colpa dello psichiatra per aver omesso o effettuato un trattamento in modo errato.
Ma il DSM-V e, soprattutto, le Linee Guida delle varie Società Scientifiche ed Enti Governativi servono realmente in psichiatria a minimizzare gli errori di diagnosi, di terapia e di valutazione degli esiti?
La Psichiatria è il Regno della Complessità
Probabilmente sì, ma vanno fatte alcune considerazioni specifiche rispetto al delicato problema della Malattia Mentale.
La prima considerazione è che le linee guida derivanti da Consensus Conference esprimono la valutazione di un “gruppo di esperti” ma che in psichiatria, più che in medicina, vi è la consuetudine di considerare come potenzialmente valide anche molte altre alternative sulla base quasi sempre di una documentazione che viene contrapposta a quella di quel particolare gruppo di esperti.
Un altro aspetto importante è che, ancora oggi, è presente la tendenza in Salute Mentale a contrapporre, per la terapia di un medesimo disturbo, i trattamenti “biologici” (in genere farmacologici) e quelli “non biologici” (tendenzialmente psicoterapeutici), su di una base essenzialmente ideologica.
Inoltre si tende ad escludere spesso altri interventi terapeutici più moderni e complementari come la modifica dello stile di vita, l’utilizzo delle nuove tecnologie e la modifica delle determinanti culturali e sociali dei disturbi mentali.
Infine è molto importante ricordare che le Linee Guida possono dare comunque indicazioni terapeutiche “di massima” valide per casi senza particolari complessità mediche generali, senza complicazioni in comorbidità e senza particolari ostacoli contingenti all’effettuazione di una terapia.
In altre parole, danno un indirizzo di tipo “medio” rivolto spesso ad un Paziente Perfetto che quasi non esiste nel Mondo Reale, ovvero nella normale pratica clinica quotidiana.
Gli Errori in Psichiatria sono sempre frutto di malpratica?
Errore e Malpratica spesso sono scambiati di significato ma fanno riferimento a eventualità molto diverse.
L’errore è intrinseco a qualunque attività umana. Medicina e psichiatria ne sono l’esempio più evidente. È stato detto che un bravo clinico non è colui che ha più successo ma quello che commette meno errori nel suo operare diagnostico e terapeutico.
Nell’operare medico possono essere commessi due tipi di errori che qui possiamo convenzionalmente definire come «errori evitabili» (o di primo tipo) e di errori «inevitabili» (o di secondo tipo). I termini che abbiamo voluto usare in questa definizione fanno riferimento, rispettivamente, alle situazioni di colpa oggettivamente dimostrabili per errori del medico e alle situazioni decisionali dove invece non è rilevabile una responsabilità diretta ma semplicemente un’obiettiva difficoltà decisionale.
L’errore «evitabile» è quello connesso ad un’incompleta conoscenza, ad un’omissione sulla raccolta dei dati necessari sul caso clinico specifico, all’ignoranza o alla mancata aderenza a procedure standardizzate (codificate o meno).
L’errore evitabile può essere prevenuto. Il rischio di errore decisionale dipende infatti da parametri noti e in certa misura controllabili. La conoscenza dello «stato dell’arte» e delle «raccomandazioni», degli standard diagnostici e terapeutici ne è il presupposto iniziale. La buona norma del «consulto» o della discussione di un caso da parte di un’équipe ha, tra l’altro, lo scopo di ridurre l’ignoranza del singolo attraverso le conoscenze e le informazioni a disposizione di altri.
L’errore «inevitabile» è quello che può commettere qualsiasi medico a livello decisionale quando abbia messo in atto tutti i requisiti per minimizzare l’errore evitabile. Qualunque decisione in medicina può dunque essere fonte di errore. In psichiatria il rischio di errore decisionale è molto più alto. L’errore «inevitabile» viene valutato in genere «a posteriori» sulla base dei risultati di una decisione ed è difficile che possa essere prevenuto. A parità di dati, di informazioni
e di indicazioni procedurali disponibili accade spesso che clinici di provata esperienza facciano previsioni e indichino trattamenti divergenti. L’errore verrà valutato «a posteriori».
Diverso è il concetto di «malpractice». Il termine, di origine anglosassone e mal traducibile come «cattiva pratica», ha un riferimento essenzialmente medico-legale e giudiziale. Esso viene utilizzato in quei casi in cui un paziente, o la sua famiglia, si ritengono ingiustamente danneggiati dall’operato di un medico e iniziano un’azione legale contro il presunto responsabile di tale danno.
Il concetto di «malpractice» può essere visto in una prospettiva teorica e in una prospettiva reale. Da un punto di vista teorico la malpractice va riferita a tutte quelle condizioni dell’operare medico e psichiatrico che vanno contro le norme del codice deontologico (oltre che, ovviamente, a quelle specifiche dei codici penali).
Esempi possono essere quello dell’omissione del consenso informato, le violazioni del patto di confidenzialità tra medico e paziente, i comportamenti scorretti, ad esempio di tipo sessuale, nel corso della relazione terapeutica. Da un punto di vista pratico, tuttavia, se si guarda ai dati relativi alle cause per «malpractice» intentate negli Stati Uniti ai medici curanti, ci si accorge che i contenuti delle denunce riguardano non solo violazioni di codici di condotta medica, ma anche l’area degli «errori» sia di tipo evitabile che di tipo inevitabile.
E stato addirittura sostenuto a questo proposito che il sistema più realistico per valutare un «errore» è l’esito di una denuncia per malpractice in quanto solo in un’aula giudiziaria, attraverso le deposizioni di testimoni e di periti si può valutare in modo approfondito e completo l’eventuale realtà dell’errore compiuto dal medico.
Noi non siamo di questo avviso in quanto, in sede di giudizio, possono giocare un ruolo determinante fattori che nulla hanno a che fare con la correttezza o la scorrettezza di una decisione medica. Data l’importanza dell’argomento, sia sul piano teorico che sul piano delle conseguenze legali, negli ultimi anni si è andata sempre più ampliando la letteratura sull’argomento.
Essa riguarda meno la psichiatria dato che le cause per «malpractice» contro gli psichiatri sono una minoranza, ma anch’essa è certamente in aumento per la generale tendenza dei pazienti a far causa ai loro medici per le più svariate ragioni.
Va rilevato anche, per quanto riguarda la psichiatria che solo una minoranza delle denunce (6%) giungono in tribunale, mentre la maggioranza non va oltre ad un semplice decreto di notifica (54%).
Nel 2003 risultavano, comunque, negli USA circa 2000 denunce a psichiatri per varie ragioni di «malpractice».
Da un punto di vista generale, i motivi che spingono un paziente o la sua famiglia ad un’azione legale per «malpractice» non sono rappresentati solo dal danno obiettivo subito dal paziente ma anche dalla mancanza di sensibilità e della mancata comunicazione dopo
che si è verificato il danno.
Per quanto riguarda la psichiatria, i motivi di fatto per le cause di malpractice sono la mancata aderenza agli standard terapeutici generalmente accettati, atti intenzionali dannosi per il paziente, diagnosi e terapie non accurate e mancanza di consenso informato.
L’analisi più specifica dei motivi per denuncia di malpractice riguarda i comportamenti suicidari e violenti, le lesioni subite da pazienti per mancata assistenza e le incorrette procedure terapeutiche.
Viene anche sottolineato come, in psichiatria, il rischio di denuncia per malpractice sia molto più elevato nel settore pubblico che in quello privato.
Un’analisi più dettagliata dei motivi per le denunce di malpractice può essere utile per distinguere le vere fonti di «errore» da quelle di specifica «cattiva condotta» e avere un’indicazione in merito agli errori evitabili e a quelli inevitabili.
Non vi è dubbio che le numerose cause per «cattiva condotta» sessuale (sexual misconduct) da parte del medico, soprattutto nel contesto di una psicoterapia, non vanno considerate come causate da un «errore terapeutico».
Una delle aree più critiche è rappresentata dal paziente violento o potenzialmente violento, non adeguatamente curato (anche contro la sua volontà) o dimesso prematuramente da un’unità psichiatrica di ricovero obbligatorio.
Si tratta evidentemente di un errore di previsione comportamentale valutabile come tale «a posteriori» e comunque di un errore tendenzialmente di tipo «inevitabile».
Le Corti di Giustizia negli USA tendono infatti a considerare il comportamento violento come in gran parte «imprevedibile».
Viene tuttavia riconosciuto come «errore» l’incompleta raccolta di dati e di documentazione che avrebbe potuto rendere più prevedibile un comportamento di tipo impulsivo o violento.
Un’altra area critica è quella del suicidio di un paziente in trattamento psichiatrico. Vi è concordanza di opinioni nel ritenere che il suicidio di un paziente non può essere sempre previsto e prevenuto. Il rischio di suicidio può tuttavia essere in qualche misura previsto sia clinicamente che con opportune indagini psicometriche «misurate». La messa in atto di opportune procedure protettive, sia nel paziente ambulatoriale che nel paziente ricoverato, devono tenere presente questo livello di rischio.
Non mettere in atto queste procedure protettive in pazienti ad alto rischio suicidano va indubbiamente considerato un errore suscettibile di cause per malpractice. A prescindere comunque dalle implicazioni medico-legali, il suicidio di un paziente si situa, a secondo dei casi, tra gli errori evitabili e quelli inevitabili. La mancata informazione e raccolta di dati, la mancata presa in esame di elementi importanti nell’anamnesi, la mancata indagine specifica sul rischio suicidano, la mancata messa in atto di procedure di protezione in caso di ricorso si configurano in
errori evitabili». Naturalmente, ogni psichiatra sa che, ad esempio, in ogni condizione depressiva vi è un rischio di suicidio ma nella maggioranza dei casi non vengono prese misure protettive per ragioni comprensibili. Se il suicidio avviene in questi casi si può configurare la situazione di «errore inevitabile».
Il mancato esame fisico del paziente psichiatrico ambulatoriale è stato oggetto di alcune sentenze negli USA ma non viene considerato un errore se, sulla base delle dichiarazioni del paziente e della documentazione presentata, si ha motivo di ritenere che non sia affetto da malattie somatiche.
Nell’ambito delle scelte e delle condotte terapeutiche, ampio spazio occupano come cause di possibile «malpractice» i trattamenti farmacologici, soprattutto di tipo antipsicotico, ansiolitici e elettroshock.
Come si vede, l’analisi dei casi di «malpractice» è utile per comprendere, nella prassi, cosa si intende per «errori» in psichiatria. In linea di massima la malpractice fa riferimento al venir meno, da parte del medico, a norme procedurali o decisionali, codificate o meno, che possono essere così sintetizzate:
- violazioni del codice deontologico;
- violazioni del rapporto di confidenzialità;
- violazione della norma sul consenso informato;
- ignoranza di conoscenze accettate come standard per lo psichiatra clinico;
- mancata raccolta di dati e di informazioni, pur ottenibili, sul caso clinico specifico;
- omissione di intervento necessario;
- trascuratezza di procedure atte a prevenire danno a se stesso o ad altre persone.
In tutti questi casi di «errori evitabili» viene quasi sempre riconosciuta, se provata, la responsabilità dello psichiatra come «malpractice».
Molto più rari, invece, sono i casi riconosciuti come «malpractice» che riguardano decisioni diagnostiche o terapeutiche dove viene quasi sempre riconosciuto il carattere di errore «inevitabile» e quindi non soggetto a sanzioni.
Sul piano strettamente clinico, dunque, l’interesse si sposta sugli errori che abbiamo definito «inevitabili», sottolineando che il concetto di inevitabile significa semplicemente che esso rientra nel margine tollerabile di errore di ogni decisione clinica, ma che ovviamente può essere e deve essere minimizzato.
Va comunque rilevato che l’aumento delle cause per «malpractice» in medicina e, ora, anche in psichiatria, sta portando a due conseguenze, una positiva ed una negativa.
La prima conseguenza è una maggiore attenzione da parte del medico nei confronti degli errori che abbiamo definito come «evitabili», con minori rischi e maggiori benefici per il paziente.
La seconda conseguenza è un’eccessiva prudenza e cautela da parte del medico nei confronti delle proprie decisioni terapeutiche.
Il timore infatti di una possibile causa per «malpractice» a seguito di errori che abbiamo definito come inevitabili può spingere il medico (e lo psichiatra) ad attenersi strettamente agli standard stabilmente codificati senza assumersi mai quel minimo di rischio che pure è alla base di molti insperati successi terapeutici.
Le conseguenze degli Errori in Psichiatria
Sbagliare in psichiatria è probabilmente più facile che non sbagliare in medicina. Ogni psichiatra sa quanti errori ha commesso e commette ogni giorno nel suo operare. E anche i pazienti sanno quando il loro psichiatra ha commesso un errore, ma in psichiatria
la reazione del paziente è molto differenziata in quanto è strettamente dipendente dalla modalità di rapporto instaurato nella relazione terapeutica. Una modalità di reazione ad un errore, che lo psichiatra ritiene tale, è Vautocolpevolizzazione del paziente per un insuccesso terapeutico.
Questa reazione è rara, ma è tipica della psichiatria: il paziente si assume la responsabilità e la colpa di un evento avverso per non deludere o frustrare il proprio medico e compromettere così la relazione terapeutica a cui viene data, consapevolmente o inconsapevolmente, una priorità assoluta.
La modalità di risposta più frequente è comunque quella della comprensione e del perdono. Anche in questo caso gioca un ruolo fondamentale la qualità del rapporto terapeutico.
Più che in medicina, infatti, il particolare tipo di rapporto comunicativo verbale o non verbale che si stabilisce in psichiatria viene percepito come uno strumento terapeutico fondamentale.
Ciò che viene «compreso e perdonato» in questo contesto è quindi l’errore strettamente tecnico, considerato come imprevisto e imprevedibile (anche se realisticamente non lo è). Ma dove non c’è comprensione né perdono è per un altro tipo di errore, non codificato da nessuna Linea Guida né sancito da nessuna Consensus Conference: lo sbaglio nella gestione del rapporto.
L’interruzione del rapporto è la terza possibile reazione del paziente all’errore terapeutico dello psichiatra. Va osservato che questa è un’evenienza relativamente rara in psichiatria e ancor più rara in psicoterapia. Il rapporto di dipendenza con il medico gioca qui un ruolo fondamentale.
Esso tende a rinforzarsi in rapporto alla frequenza dei contatti con lo psichiatra e alla modalità con cui avvengono questi contatti. Un errore terapeutico commesso al primo contatto, soprattutto se questo è stato rapido e superficiale, rende più facile l’interruzione del rapporto.
Un errore commesso nel corso di un programma terapeutico dopo ripetuti contatti con il medico rende meno probabile l’interruzione del rapporto. Per questa ragione l’interruzione del rapporto e il cambio di medico è un’evenienza relativamente rara in psicoterapia, a prescindere dal numero e dal tipo di errori che vengono commessi.
L’evenienza negativa estrema, come conseguenza di un errore dello psichiatra, è la citazione in giudizio per malpractice. Abbiamo visto, nella sezione di questo capitolo dedicata alla malpractice, come la citazione in giudizio degli psichiatri avvenga con assai minore frequenza rispetto ad altre discipline mediche, e in particolare alla chirurgia.
D’altra parte, almeno negli Stati Uniti, essa è in aumento ed investe anche aree in passato relativamente immuni, come la psicoterapia. La sua spiegazione risiede nella maggiore difficoltà di documentare obiettivamente un errore diagnostico o terapeutico rispetto ad altri settori della medicina. È da ritenersi tuttavia che il motivo
più importante risieda nel fatto che la qualità del rapporto col medico, che caratterizza la psichiatria, sia un potente fattore protettivo nei confronti delle denunce di malpractice.
Escludendo infatti i motivi puramente strumentali di rivendicazione economica, non vi è dubbio che ad un’azione medico-legale nei confronti del medico sottenda un’ostilità, spesso non obiettivamente motivata, derivante più dal comportamento del medico che non da un suo errore tecnico in senso stretto.
Ma esistono anche conseguenze dell’errore per il vissuto dello psichiatra. Ogni medico è consapevole che gli errori sono parte integrante del suo mestiere, ma tende consapevolmente o inconsapevolmente a negarli, a non riconoscerli come tali e a minimizzarne le conseguenze.
Riconoscere un errore significa infatti provare comunque un vissuto di colpa e riconoscere tutti i propri errori significherebbe evidentemente dover rinunciare, sia per colpa che per timore di sbagliare nuovamente, ad esercitare la professione medica.
Evidentemente, è il bilancio dei successi/insuccessi che permette di evitare i vissuti di colpa. I successi vengono automaticamente attribuiti alla propria abilità e capacità professionale, gli insuccessi vengono visti come inevitabili, casuali o indipendenti dall’operare del medico.
Il caso dello psichiatra è un po’ particolare in quanto il suo coinvolgimento personale con il paziente è maggiore rispetto ad altri settori della medicina. Di conseguenza è più facile che, di fronte ad un proprio errore, assuma due posizioni estreme.
La prima è quella della negazione e della proiezione di colpa (sul paziente, sui familiari, sul contesto socioambientale, età), la seconda, molto più rara, è quella depressiva con accentuazione sproporzionata del vissuto di colpa nei confronti del paziente.
Questa ultima evenienza è più frequente nel caso del suicidio di un paziente in trattamento, ma può verificarsi anche in rapporto a lesioni prodotte dal paziente a terzi. In minor misura può verificarsi anche per l’interruzione del rapporto medico-paziente.
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This work is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.
Beh,la Psichiatria moderna ha dei problemi molto grossi.Porto un esempio.C’e’ un bravo psichiatra su MediciItalia di nome Pacini che ho fatto martire.Iniziarono i primi contatti quando di colpo mi trovai catapultato nel mondo della sofferenza mentale.Il Caregiver inizio’a delirare (delirio paranoide)e beh..esattamente xosa successe?Successe che il paranoide non si tocca.Grazie alla legge Basaglia,nessuno puo’ imporre una cura farmacologica.Lo si puo’ fare solo quando la situazione e’ ingestibile. In Italia noi siamo arrivati all’ipocrisia che chi ha una sofferenza mentale deve avere la liberta’ di non curarsi.Morale?Solo in una situazione spaventosa durata 10 anni.Famiglia scomparsa,Istituzioni assenti e ovviamente che un ragazzo a 19 anni debba occuparsi di un genitore paranoide e’ un fatto assolutamente normale.Lo Psichiatra medio proporra’ un comportamentismo demenziale per giustificare la vivibilita’ xon xhi ha un disturbo delirante e o una psicosi .La psichiatria non e’ solo un colloquio e pillole.La psichiatria dovrebbe essere recovery cioe’ dovrebbe insegnare alle persone a con-vivere con altre persone,progettandosi nel consesso sociale.Se viviamo in un Paese xhe ti fa lavorare ore e ore e ti sottopaga o non ci sono aggregazioni sociali mancano collanti nella comunita’ e la Psichiatria deve fallire per forza se non si occupa della reintegrazione soggettiva..L’approccio delle psicoterapie poi rinuncia al senso di realta’ e ai diritti umani ma riduce tutto ad una ristrutturazione cognitiva sostenuta da farmaci.Io volevo che lo Psichiatra mi dicesse Ok siamo noi i medici e cureremo Mamma.Invexe mi sono trovato filosofi molto scarsi peraltro che mi volevano convincere xhe la malattia mentale non esistesse.Beh esiste.Io oggi ho un Doc dal contenuto molto curioso:vedo malati di mente ovunque.Questo risultato viene dalla disorganizzazione delle ASL e da una mancanza di risorse oltre a due problemi:l’ideologia di Basaglia e la rinuncia delle Psicoterapie al principio di realta’.Chi ha visto l’inferno non puo’ dialogare con un Medico che te lo contesta e dice xhe e’una tua rappresentazione.Questo approccio fa dei danni enormi.Lo Psichiatra dovrebbe rendersi conto che si muove in un quadro normativo errato e antidiluviano,in un contesto sociale molto problematico e in un quadro riabilitativo spersonalizzante.Ridurre un individuo a coping e obiettivi significa meccanizzare un uomo xhe e’ proprio il danno che hanno costruito le famiglie di origine.La Psichiatria per me,se non avra’ incentivi sostanziali e qualcosa di diverso dalla oggettivizzazione della soggettività fallira’sempre.Se dobbiamo adattarci ad un modo di vivere invivibile, dovremmo chiederci perché la Recovery manca?Manca perché manca lo Stato e mancando lo Stato la Psichiatria rimane ingabbiata tra ideologie anni 70 e comportamentismo meccanicistico.Robotizzare un uomo non significa sanarlo ma concludere l’opera iniziata da famiglie altamente disfunzionali.
Articolo meraviglioso. Secondo il mio modesto parere lo psichiatra deve sempre lavorare con altre persone, perché deve avere un feedback su cosa sta facendo, vuoi da un altro psichiatra, infermiere, tecnico, psicologo… e poi cercare di conoscersi più che può, dovrebbe essere il suo primo paziente di giornata 🙂
Grazie davvero per questo commento che condivido completamente! Un saluto! 🌈🍀⭐️
Io invece do molta responsabilità al quadro normativo nazionale.Lo Psichiatra lo percepisco una vittima di un sistema sbagliato e fa quello che puo’ nei limiti delle sue possibilità umane.
Un medico è un cervello meraviglioso e uno psichiatra a mio parere rappresenta la voglia di andare oltre la conoscenza, un po‘ come fanno gli scienziati: devono immaginare per creare.
Studio Psicobiologia e mi rendo conto di come un errore possa talvolta determinare lo stravolgimento di una vita.
In prima persona ho subito il duro colpo di quello che oggi chiamo „un errore psichiatrico“ che ha fatto crack e, da quando ho potuto incontrare (youtubbando) Valerio Rosso, mi sto ulteriormente convincendo che all’epoca-quel 30-01-2019- lo psichiatra tirò un colpo di bazzuca in pronto soccorso.
Tra i video di Valerio R. e gli studi all’università di Padova, sono pronto a dire che qualcosa sia non funzionato e che tutt’oggi potrebbe „non funzionare“
Come all’epoca dei manicomi (si trovano eccellenti video su YouTube) oggi si relega in ultimo appello ogni potere (e responsabilità dunque) allo psichiatra, da ultimo, quando si tratta di incasellare un paziente al pronto soccorso perché „il protocollo lo permette“
Della serie „in testa c’è buio“ allo psichiatra è data facoltà di sentenza al paziente in ultimissima istanza.
Il mio quesito da quasi 4 anni è il seguente: Ma cosa si fa e come si può perorare una giusta causa per difendersi da un potere quasi divino?
Grazie a chi vorrà confrontarsi con me