Psicofarmacologia del Terzo MIllennio, che cosa intendiamo con questo termine?
La psicofarmacologia ha subito enormi cambiamenti nel corso degli ultimi anni, diventando una scienza basata sulla genetica ed il digitale.
Vi rocordo che in un’altro articolo ho parlato dei nuovi psicofarmaci in sviluppo a partire dal 2022 in avanti, andate a leggerlo!
Inoltre, se vi interessano le più moderne linee guida in psichiatria, leggete questo mio altro articolo.
Il mondo degli “omics” e le nuove regole dell’industria farmaceutica
Infatti, in questo inizio di millennio, lo studio delle variazioni genetiche individuali ha consentito di comprendere meglio i fattori che possono influenzare la risposta di ogni singolo paziente agli psicofarmaci.
Gli studi di genomica e di proteomica (il cosiddetto ambito di studio degli “omics”) hanno aperto orizzonti di avanzamento e di conoscenza strabilianti.
Oggi la farmacogenomica si propone l’ambiziosa prospettiva di poter predire (grazie a tecnologie basate su microchips che consentono rapide indagini molecolari su specifici genotipi) la risposta individuale di un paziente ad un dato psicofarmaco, in modo da valutarne l’eventuale resistenza o l’insorgenza di effetti collaterali significativi, arrivando a ipotizzare l’impiego di un farmaco “su misura” per quel particolare paziente.
Questa psicofarmacologia del terzo millennio ha cambiato e sta tuttora cambiando anche le regole dell’industria farmaceutica e del suo mercato.
Nell’arco degli ultimi trent’anni gli investimenti economici che un’industria farmaceutica deve affrontare per sviluppare un nuovo psicofarmaco sono passati da 80 a 800 milioni di dollari, mentre il tempo che si deve aspettare prima che una nuova molecola psicoattiva venga immessa sul mercato è slittato da 10 a quasi 15 anni.
Questa è stata forse la principale ragione per cui, negli ultimi quindici anni, da un lato si è assistito alla scomparsa, per assorbimento da parte di altre o per mancanza di competitività, di molte industrie del farmaco e dall’altro ha favorito la fusione fra aziende (merger) che ha generato veri e propri giganti farmaceutici i quali, anche se in piccolo numero, sono in grado di controllare e condizionare ricerca e mercato a livello mondiale (big pharma).
Dalla fusione di industrie farmaceutiche che già in precedenza si erano accorpate sono così nate, solo per citarne alcune, Novartis da Ciba-Geigy e Sandoz, Aventis da Hoechst e Roussel-Rhone Poulenc-Rorer, Gsk da Glaxo Wellcome e SmithKline.
Accanto a queste enormi maxindustrie, lo sviluppo del fenomeno biotecnologico ha favorito la creazione e la proliferazione, soprattutto inizialmente negli Stati Uniti, sede di origine del fenomeno, poi anche in Europa, di migliaia (circa 200 in Italia) di laboratori di ricerca di piccole dimensioni o di minuscole aziende basate su pochi progetti promettenti dal punto di vista biofarmacologico in grado di attrarre capitali privati per consentirne la re alizzazione (biotech companies).
Sono aziende che hanno preso origine separandosi da un’industria più grande o dall’università (spin-off), oppure società fondate da un gruppo di ricercatori-imprenditori per elaborare un progetto nuovo (start-up), spesso basato su molecole orfano (“left overs“).
Questi nuovi psicofarmaci nasceranno quindi sia nei vasti laboratori nati dalla concentrazione delle medie e grandi industrie farmaceutiche tradizionali, sia nei più esigui studi delle piccole e dinamiche aziende biotecnologiche che hanno beneficiato del successo del loro progetto e del fallimento delle concorrenti in un mercato che non ammette errori.
Ma continuiamo ad approfondire la psicofarmacologia del terzo millennio….
Nanotecnologie e farmaci molecolari
La manipolazione della materia a livello molecolare e atomico (cioè con una scala dimensionale inferiore al micrometro, vale a dire tra 1 e 100 nanometri) è lam bito nel quale operano le ¡nanotecnologie. In questo nanomondo non esistono più confini fra chimica, fisica, ingegneria, matematica e biologia.
L’ambito di investigazione di questa nuova scienza non può che essere multidisciplinare.
Le proprietà che la materia assume a dimensioni nanometriche rendono complesse la costru zione e la sperimentazione di nanodispositivi, che però possono fornire prestazioni straordinarie.
L’applicazione medica di queste particolari tecnologie ha dato vita alla nanomedicina: un settore innovativo destinato ad avere un impatto rivoluzionario in ambito diagnostico e tera peutico.
In particolare di quest’ultimo settore si occupa la nanofarmacologia, che utilizza nanoparticelle (vettori) per realizzare nanofarmaci dotati di caratteristiche farmacoci netiche e di potenzialità farmacoterapeutiche impossibili per farmaci di grandezza superiore al micrometro.
Questi nanofarmaci sono in grado di agire su bersagli molecolari in modo esclusivo e selettivo (come avviene ad esempio nella farmacologia dell’RNA) e di esplicare proprietà farmacologiche peculiari: come la possibilità di inglobare un’elevata quantità di farmaco, che è possibile veicolare direttamente sul tessuto malato e nelle cellule patologiche (ad esempio nei tumori), e di consentire, grazie alla maggiore solubilità, una più prolungata esposizione al farmaco; oppure la possibilità di rilasciare contemporaneamente più farmaci, contenuti nella stessa nanoparticella, grazie a farmacocinetiche differenti e appropriate; o ancora la possibilità, utilizzando questi nanovettori, di far attraversare senza difficoltà ai farmaci la barriera ematoencefalica, la membrana cellulare e il citoplasma, in modo da raggiungere facilmente i target terapeutici.
Diverse metodiche (impiego di liposomi convenzionali o stabilizzati, pegilati con microsfere o nanoparticelle, uso di polimeri o dendrimeri (molecole con numerosi “uncini” che ne permettono l’ancoraggio alle cellule), microdispositivi con microchip (MEMS) sono utilizzate per modificare la biodisponibilità dei farmaci nano-mediati in modo da modulare la risposta terapeutica in funzione dei risultati che si vogliono ottenere.
Un’altra importante caratteristica dei nanofarmaci è rappresentata dalla trìggered response (letteralmente “risposta comandata”), cioè dal fatto che essi possano iniziare ad agire solo in risposta a uno specifico segnale attivatore (come ad esempio l’influsso di un campo magnetico) che consenta alle nanoparticelle di rilasciare localmente il farmaco quando esse hanno raggiunto il proprio bersaglio dentro l’organismo del malato.
Le nanotecnologie rappresentano dunque, in ambito me dico e farmacologico, la via privilegiata per dare corpo a quella medicina personalizzata alla quale aspira la sanità del nuovo millennio e per realizzare quella farmacologia indi vidualizzata a cui tende l’approccio terapeutico del futuro.
La psicofarmacologia di genere: farmaci maschili e femminili
La constatazione che uomini e donne si ammalano in maniera diversa, cioè che la biologia maschile e quella femminile (non limitata ovviamente sole alle differenze degli organi genitali) influenzano in modo differente lo stato di salute, il decorso delle malattie e la risposta alle cure, ha fatto nascere, una quindicina d’anni fa, la medicina di genere.
Questo è un punto molto importante della psicofarmacologia del terzo millennio.
Si tratta, infatti, di una disciplina che studia l’influenza del sesso sulle malattie con l’obiettivo di arrivare a formulare terapie più appropriate e personalizzate.
Sulla scorta di queste indagini si è sviluppata anche una farmacologia di genere, per studiare se e come le risposte ai trattamenti farmacologici sono diverse tra uomo e donna, tenendo in considerazione le variazioni fisiologiche che avvengono nella donna in funzione della ciclicità della vita riprodut tiva, dell’età e dell’uso di associazioni estro-progestiniche.
Si arriverà forse in tal modo a realizzare appositi farmaci maschili e femminili anche per una stessa patologia, in modo da fornire a ciascun genere una terapia mirata, specifica e parimenti efficace.
In effetti, sino a pochi anni fa, la maggior parte delle patologie e delle relative terapie erano studiate quasi esclusivamente nell’uomo.
Anche le sperimentazioni cliniche sugli effetti di un nuovo farmaco sono state condotte quasi esclusivamente su maschi giovani, meno su soggetti femminili (per motivi di sicurezza legati so prattutto alle possibili gravidanze) con errori o comunque incompletezza di valutazione.
Il problema diventa ancora più complesso se, oltre al genere, si tiene conto dell’età, altro elemento di non poco conto nella sperimentazione farmacologica e clinica, poiché normalmente bambini e anziani, pur avendo una risposta biologico-clinica differente dalle persone adulte di media età, non hanno farmaci appositamente studiati e testati per loro.
Diventa dunque indispensabile ipotizzare una farmacologia di età in grado di trovare bioindicatori specifici nella varie fasi della vita, modelli sperimentali più appropriati per la ricerca preclinica e gruppi più omogenei nella ricerca clinica che tengano conto delle differenze di età oltre che di genere.
Farmaci genere-specifici e farmaci età-correlati sono ulteriori tappe di quella farmacologia personalizzata che rappresenta la nuova frontiera della ricerca nella psicofarmacologia del terzo millennio.
A questo punto chiedo a voi….
Avete qualche commento, domanda o precisazione relative alla psicofarmacologia del terzo millennio?
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