La questione del fine vita, vexata quaestio che attanaglia medici, religiosi e politici da decenni, è senza ombra di dubbio un problema di salute mentale e, per tanto, riguarda direttamente gli psichiatri e in generale la ricerca neuroscientifica.
Prima di proseguire vi ricordo che in fondo a questo articolo troverete un mio video sull’argomento “Fine Vita e Salute Mentale”….
Questa mia affermazione, per molti versi scontata, è in realtà molto lontana dal fuoco dell’attenzione di chi ne ha discusso o ne discuterà.
Chi ha seguito o sta sperimentando, per se stesso o per un caro, l’evento del fine vita sa benissimo a cosa mi riferisco.
Un’analisi storica della medicina del Novecento ci indica chiaramente che, in qualsiasi ambito medico, a prevalere è la cosiddetta “morte degenerativa”, che riguarda circa l’80% di tutte le morti, che è un processo complesso e lungo, spesso doloroso e, soprattutto, angoscioso.
In realtà, a giudicare dalle discussioni in corso in ambito medico, politico e religioso, sono in molti a far coincidere l’accudimento e la cura del paziente in fase di morte degenerativa con la semplice gestione del dolore, ma in realtà la questione è ben più complessa.
Le persone che decidono di porre fine alla loro vita mediante l’eutanasia non lo fanno solamente per drammatiche problematiche legate alla gestione del dolore ma anche, e soprattutto, per l’incapacità a far fronte allo stress connesso alla gestione della perdita di speranza e alla consapevolezza della fine imminente della loro coscienza.
Sul dolore fisico abbiamo, ad oggi, molti più strumenti terapeutici rispetto a quelli che abbiamo a disposizione per il dolore psichico.
Lo ribadisco, il fine vita è prevalentemente un problema di salute mentale.
Ah, cosa molto importante: sarà un disturbo che, dati alla mano, riguarderà prima o poi l’80% di tutti noi….
Ma quale potrebbe essere la diagnosi che riguarderà tutti noi quando ci avvicineremo alla nostra fine, spesso con modalità lente e inesorabili?
A mio parere il fine vita è assimilabile al più complesso e grave Disturbo dell’Adattamento che si possa immaginare, con umore depresso o, frequentemente, con umore misto ansioso-depressivo.
La brutta notizia è che, la morte imminente, questa forma estrema di stress non risponderà in alcun modo agli antidepressivi (spesso prescritti ai pazienti terminali o sulla via di tale destino), proprio perchè non si tratta di una reale forma di depressione, a meno che non duri per anni ed il nostro sistema endocrino connesso allo stress non influenzi in tal senso la neurobiochimica del nostro cervello; allo stesso modo non risponde neppure ai neurolettici o alle benzodiazepine che, sebbene vengano spesso utilizzate in tale contesto di sofferenza, al massimo stordiscono e abbassano il livello di coscienza della persona.
Oltre agli interventi psicofarmacologici abbiamo molti approcci psicoterapeutici che, probabilmente, portano maggiore sollievo ma che risultano essere molto costosi e, inoltre, lasciatemi dire che non è per nulla facile trovare professionisti sufficientemente preparati in tal senso.
E quindi? Che cosa fare per queste persone?
Quale concreta alternativa dare all’eutanasia per tutti coloro che si trovano ad affrontare il fine vita di una morte degenerativa?
La Rivoluzione Psichedelica in Psichiatria: possibile utilizzarla anche nel problema del fine vita?
Una possibile risposta potrebbe arrivare da quella che in molti stanno iniziando a chiamare la Rivoluzione Psichedelica della psichiatria moderna che poi non è altro che il recupero di antiche tradizioni sciamaniche che meriterebbero, al più presto, di passare il vaglio di una sperimentazione scientifica rigorosa.
Per millenni gli esseri umani hanno utilizzato sostanze come la psilocibina per attenuare l’angoscia della morte imminente in contesti in cui era impossibile gestire la gran parte delle malattie gravi.
Non solo la psilocibina ma anche il MDMA, la cannabis, l’LSD e molti altri composti psichedelici potrebbero venire in aiuto di tutti coloro che si ritrovano ad affrontare lo stress estremo del fine vita.
Molte ricerche antropologiche evidenziano come la tradizione medica in tal senso sia molto radicata nel nostro passato.
Allo stesso tempo tali possibili utilizzi ed applicazioni di sostanze che, ad oggi, sono ancora “droghe da strada” merita assolutamente uno studio approfondito e basato sulle migliori evidenze scientifiche, cosa che ad oggi non è stato ancora possibile attuare.
È importante sapere che, nonostante siano necessarie ulteriori ricerche, è presente uno studio pubblicato, a Gennaio 2020, sul Journal of Psychopharmacology ha evidenziato come l’utilizzo di psilocibina in pazienti affetti da cancro allo stadio terminale ha portato ad una marcata diminuzione dei sintomi di ansia, di depressione, angoscia e disperazione.
Inoltre, nello stesso anno, la Ministra canadese della Salute Patty Hajdu ha permesso che quattro persone gravemente malate di cancro potessero usare la psilocibina per ridurre i sintomi di ansia e depressione durante l’accompagnamento nel fine vita.
La cosa interessante di questo genere di intervento “psichedelico”, nel caso venisse giudicato appropriato, sarebbe anche quella di porre fine, o magari attenuare fortemente, l’eterna diatriba tra politica, clero e scienza su quale potrebbe essere il miglior atteggiamento d’aiuto nei confronti di una condizione umana che, prima o poi, ci riguarderà tutti.
Bibliografia:
- Agin-Liebes GI, Malone T, Yalch MM, Mennenga SE, Ponté KL, Guss J, Bossis AP, Grigsby J, Fischer S, Ross S. Long-term follow-up of psilocybin-assisted psychotherapy for psychiatric and existential distress in patients with life-threatening cancer. J Psychopharmacol. 2020 Feb;34(2):155-166.
- Niles H, Fogg C, Kelmendi B, Lazenby M. Palliative care provider attitudes toward existential distress and treatment with psychedelic-assisted therapies. BMC Palliat Care. 2021 Dec 20;20(1):191.
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