Infarto e depressione rappresentano due aree di patologia con molti punti di contatto e i rapporti sono studiati sin dagli anni ’80; su questo blog ho già parlato dello studio SADHART in relazione ai benefici dell’utilizzo di sertralina nel trattamento dei sintomi depressivi emersi dopo infarto del miocardio.
Dimensioni psichiatriche nei pazienti con Infarto Miocardico
Un numero crescente di ricerche, a partire dagli anni ’70, hanno chiaramente dimostrato il potere diagnostico delle reazioni psicologiche negative alla comparsa di un infarto miocardico (IMA) indipendentemente dalla sua gravità.
I condizionamenti e le ripercussioni psicologiche indotti dalla malattia infartuale sono di particolare interesse perché da sempre il cuore è gravato da simbolismi attinenti la nostra stessa esistenza.
Un infarto del miocardio non è soltanto un piccolo incidente ma un grosso evento che eserciterà una grande influenza per il resto della vita.
L’episodio infartuale acuto attiva infatti in molti pazienti e nei familiari risposte emozionali importanti, talora non giustificate dalla gravità dell’evento morboso.
II peso prognostico delle conseguenze psicologiche dell’infarto è stato recentemente studiato da Frasure – Smith et al. che ne hanno valutato l’impatto sulla sopravvivenza a sei mesi in un gruppo di pazienti con depressione post-infartuale.
In questo studio storico i pazienti depressi rispetto ai non depressi hanno mostrato un incremento di mortalità (17% vs 3%) altamente significativo (p 0,006).
Tale incremento si manifesta già dopo un mese e mezzo dalla comparsa dell’IMA e tale si mantiene per tutti i mesi successivi.
Un’altro lavoro storico nel campo del rapporto tra infarto e depressione è quello di Ladwig et al. i quali hanno valutato le conseguenze dello stato depressivo sulla morbilità e sulla qualità della vita nel postinfarto, distinguendo i loro 377 pazienti depressi in 3 gruppi: lievi, moderati e severi.
l più depressi, rispetto agli altri, sviluppano nel follow-up un maggior rischio relativo di angina (RR 3,12) e di instabilità emotiva (RR 5,5), continuano a fumare (RR 2,6) e hanno una minor ripresa dell’attività lavorativa (RR 0,39).
Uno stato depressivo più severo non favorisce invece la comparsa di potenziali tardivi.
Secondo molti altri studi il rischio di morte nei depressi con IMA è indipendente dalla classe Killip, dal grado di disfunzione ventricolare sinistra, dalla presenza di un pregresso IMA.
Invece vengono considerati fattori responsabili la minor compliance terapeutica, un alterato tono del sistema neurovegetativo (con attivazione del sistema nervoso simpatico) e modificazioni della funzionalità piastrinica (la serotonina infatti agisce sulla trombogenesi).
Conseguenze dello Stato Depressivo
Quando si studia il rapporto tra infarto e depressione bisogna portare attenzione a quello che la depressione può generare sul piano somatico:
- Attivazione sistema nervoso simpatico
- Riduzione funzione parasimpatica
- Modificazione funzione piastrinica
- Scarsa aderenza a misure preventive, terapeutiche, riabilitative.
- Alterazione dello stato infiammatorio generale del corpo
- Alterazioni immunologiche
Inoltre è ormai noto che i fattori ambientali e psicosociali possono influenzare pesantemente la situazione cardiaca come è stato in passato dimostrato da Burg et al.
Questi autori hanno trovato che i pazienti con cardiopatia coronarica, nei quali lo stress provoca disfunzione ventricolare asintomatica, hanno un profilo psicologico caratterizzato da reattività emotiva, collera e predominante stato affettivo.
Problematiche psicologiche nell’Infarto coronarico
I fattori psicologici nei pazienti colpiti da IMA agiscono già al momento della decisione del ricovero.
È stato visto ad esempio che il ritardo “evitabile” oltre che da problemi organizzativi è favorito spesso dal rifiuto del paziente ad accettare l’evidenza della malattia (un meccanismo di difesa conscio o inconscio) e quindi a chiedere soccorso; infatti il ritardo è massimo quando il malato si trova a dover decidere da solo mentre la presenza di un familiare o di colleghi di lavoro usualmente favorisce un ricovero più precoce.
Anche l’arrivo in Unità Coronarica è fonte di tensione emotiva fra speranze, paura e incredulità.
Superata la sofferenza del dolore toracico i malati si guardano in giro, osservano le luci dei monitor, gli elettrodi e gli altri strumenti del monitoraggio e si pongono una serie di domande:
- Perché sono ricoverato in questo reparto “speciale”?
- Allora sono molto grave,sto per morire?
- Perché i familiari non sono con me?
- Perché i parenti sono così preoccupati?
- Mi hanno detto che ho l’infarto. Allora sono finito…. il mio lavoro, la carriera, il posto sociale, il benessere familiare, tutto perso dopo tanti sacrifici e tanto impegno?
- Non potrò più guidare la macchina,non potrò adoperare l’aereo.non potrò più andare in montagna a sciare, non potrò più giocare a tennis?
- Dovrò rinunciare a tutto.persino al sesso?
- Sono diventato un rottame, sono finito….
- Ma perché proprio a me?
A tutte queste domande, spesso inespresse, è necessario rispondere il più presto possibile anche se il paziente non le pone per paura della conferma o per soggezione.
Le prime ore, per l’immediatezza del pericolo, sono dominio dell’ansia che si riduce poi nel secondo giorno. L’ansia è secondaria alla paura per la prospettiva di morte.
La comparsa di segni premonitori (dolori, affanno, palpitazioni) o la sensazione di astenia (considerata un segno di malattia irreversibile o di danno cardiaco permanente) pongono il soggetto in uno stato di allarme e di apprensione con un elevato tono simpatico.
Nella terza giornata di ricovero all’ansia subentra la depressione nonostante che le luci dei monitor e la costante presenza di personale medico e paramedico rappresentino un elemento di rassicurazione, in particolare se la struttura appare efficiente.
La depressione è in rapporto al timore di non essere in grado di riprendere le funzioni di prima per una sensazione di perdita di una parte di se stesso intesa come perdita di forza, di energia, di indipendenza, riduzione di autostima, timore di ricaduta, invalidità lavorativa, invecchiamento prematuro.
La depressione a differenza dell’ansia declina molto lentamente nel tempo.
Altro momento fondamentale nell’evoluzione psicologica dell’infartuato è il suo trasferimento dall’ambiente protetto della cura intensiva al reparto che è vissuto a volte come una perdita di protezione, a volte invece come un cessato pericolo.
La degenza rappresenta spesso per alcuni malati un momento di riflessione.
Ciò provoca frequentemente un deterioramento dell’umore abituale.
Il malato ha la tendenza a confrontare la situazione presente con quella precedente la malattia avendo come risultato un ripiegamento su se stesso con la successiva comparsa di psicosi somatica, reazione ansiosa o ipocondriaca, profonda depressione fino allo stato delirante.
Se da un lato la dimissione può rappresentare un momento esaltante, lasciare l’ambiente ospedaliero può indurre ansia e preoccupazione per quello che può accadere fuori.
Infatti spesso la dimissione,per alcuni pazienti, è caratterizzata da tendenze depressive.
Il malato si sente vulnerabile, incerto su ciò che lo aspetta, preoccupato per il suo ruolo nella famiglia e nell’attività lavorativa, timoroso di non poter riprendere una soddisfacente vita sessuale, assillato da prescrizioni farmaceutiche e dietetiche o dalla necessità di abolire il fumo.
Questa situazione psicologica si aggrava quando il coniuge è insofferente o troppo oppressivo. La sensazione di impotenza e di frustrazione è maggiore nei casi complicati, dove all’astenia psicologica si associano angina, dispnea o palpitazione cardiaca o se si manifestano segni o sintomi premonitori di una recidiva.
Hackett e Cassem hanno coniato il termine di “Homecoming depression” o depressione del ritorno a casa per definire quel particolare stato psichico che si realizza in alcuni pazienti anche asintomatici in particolare quando i divieti sono numerosi: non fumo, poco sale, pochi grassi, poco o niente sesso, pochi sforzi.
La paura, la dipendenza dai medici, dai farmaci e dai familiari, la sensazione di mancata protezione e di vulnerabilità incrementano ulteriormente lo stato depressivo.
Questa situazione psichica rende allora più inabili di quanto sia realmente giustificato dalla situazione cardiaca.
Infarto e Depressione: La Personalità di Tipo A
Particolarmente esposti all’ansia e alla depressione sono i soggetti con personalità di tipo A.
Come è noto tali soggetti sono caratterizzati da un inteso desiderio di affermazione, alto grado di competitività, aggressività ed ostilità, forte coinvolgimento lavorativo, predisposizione ad affrettare con sensazione di urgenza nel tempo.
Le caratteristiche della Personalità di Tipo A sono le seguenti:
- intenso desiderio di affermarsi
- alto grado di competitività
- aggressività ed ostilità
- forte coinvolgimento lavorativo
- predisposizione ad affrettare
- sensazione di urgenza nel tempo
La modificazione del modello comportamentale di tipo A si associa spesso ad una significativa riduzione dell’incidenza di eventi nel post-infarto.
Friedman et al. hanno seguito 1.062 pazienti maschi di età media con stato post-infartuale distinti in 3 gruppi: gruppo di controllo, gruppo a cui erano somministrati solo consigli cardiologici e un terzo gruppo a cui venivano somministrati sia consigli cardiologici che psicologici.
Dopo un follow-up di 4,5 anni è stato osservato un minor numero di eventi coronarici nei gruppi sottoposti a terapia (592 pazienti, 12,9%) che non nel gruppo controllo (270 pazienti con 21,2% di eventi) (p 0,02).
La Qualità della vita dopo l’Infarto
Molti cardiologi impegnati a risolvere i problemi clinici, spesso non hanno familiarità con i problemi psicologici del malato.
Oggi i pazienti oltre al miglioramento della sintomatologia e al prolungamento della vita desiderano rimanere attivi, produttivi, indipendenti e limitare le conseguenze finanziarie, sociali ed emotive della loro malattia, desiderano cioè avere una “buona” qualità di vita.
Questa per la sua complessità è difficile da definire.
Se, come afferma René Dubos, la salute è la capacità di fare le cose che si vogliono e di svolgere le attività che si desiderano, la qualità della vita è la capacità di realizzarsi adeguatamente sul piano sociale senza condizionamenti fisici o psicologici quali possono essere quelli secondari alla presenza di una cardiopatia.
In altre parole la qualità della vita rappresenta la capacità realizzativa dei pazienti nelle funzioni della vita giornaliera, nel ruolo sociale, nella performance e produttività lavorativa,nella funzione intellettuale e nella stabilità emotiva.
Le componenti che possono influenzare la qualità della vita sono numerose, e i suoi aspetti devono diventare parte integrante nella valutazione della efficacia degli interventi terapeutici:
- Caratteristiche, severità e prognosi della malattia di base
- Il modo in cui questa viene gestita (interazione medico paziente)
- Tipo, efficacia ed effetti indesiderati della terapia
- Obiettivi ambiti dal paziente (percezione soggettiva della gravità della malattia, atteggiamento ed adattamento psicologico alla malattia), grado di salute, soddisfazione della vita, immagine di se,ansietà in rapporto allo stato di salute
- Limitazioni imposte dalla malattia (possibilità di ripresa di attività sociali e lavorative) presentavano dopo 6 mesi un minor grado di ansia (p<0,03) e depressione (p<0,004) e una migliore aggregazione psicologica (p<0,02) e familiare (p<0,004).
La valutazione ed il trattamento del paziente affetto da Infarto e Depressione
Per valutare l’impatto che i fattori psicologici hanno sulla qualità e quantità di vita dei pazienti con IMA è necessario sviluppare una metodologia idonea i cui elementi fondamentali sono il cardiologo, la sua volontà di interagire effettivamente con il malato, le caratteristiche del paziente (Tab. V). Fra i questionari maggiormente utilizzati, il Cognitive Behavioural Assessement Forma Hospital (CBA-H), validato nella ricerca GISSI II e perciò adatto alla popolazione italiana, fornisce uno screening di base del paziente”‘ e offre inoltre la possibilità al cardiologo di selezionare i malati da inviare allo psicologo.
Tabella V
Fattori che influenzano lo stato psichico
- Durata della malattia ed età in cui compare
- Stato del soggetto prima della malattia
- personalità, stato psicofisico antecedente
- modalità culturali d’espressione delle emozioni,
- Stato del malato dopo la malattia
- caratteristiche della malattia (natura, gravità del quadro morboso, evoluzione clinica, risultati e specificità del trattamento),
- sensibilità del personale medico e infermieristico
- modalità con cui il malato comprende e accetta la malattia e le sue conseguenze,
- rapporto con parenti e amici, situazione sociale, professionale ed economica.
Un trattamento razionale dei pazienti con IMA deve prevedere: la stratificazione diversificata del rischio di futuri eventi coronarici, la modificazione dei fattori che possono condizionare la prognosi a breve-lungo termine, la riduzione del livello dei fattori di rischio tradizionali per ostacolare la progressione della malattia, la limitazione delle conseguenze psicologiche negative della malattia che possono condizionare la qualità della vita dei malati.
Finalità della terapia e della riabilitazione nel postinfarto perciò non sono solamente il controllo adeguato della sintomatologia e il prolungamento della sopravvivenza ma anche e soprattutto il raggiungimento di uno stato di “benessere”.
Il trattamento psicologico dei pazienti con IMA deve far parte integrante della cura riabilitativa globale. E compito del cardiologo inoltre selezionare quelli che hanno bisogno di un particolare trattamento da parte dello psicologo.
Poiché la riabilitazione è un processo dinamico, per modulare il trattamento è necessaria una valutazione psicologica nelle diverse fasi evolutive della malattia.
L’approccio psicologico deve iniziare già in Unità Coronarica e proseguire poi in reparto con una adeguata informazione ed educazione sanitaria dei pazienti, (Tab. VI) fornendo periodicamente chiarimenti sulla loro condizione fisica. La “congiura del silenzio” invece influenza negativamente il rapporto medicopaziente.
Tabella VI Modalità di approccio al paziente in Unità Coronarica
- Informazione ed educazione sanitaria
- Chiarimenti sulla evoluzione della condizione fisica
- Abbattere le false credenze stimolando ottimismo
- Evitare la “congiura del silenzio”
-Evitare informazioni frettolose,utilizzando opuscoli informativi
- Suggerimenti su come organizzare un nuovo stile di vita
- Coinvolgere l’intero nucleo familiare
- Favorire la mobilizzazione precoce (segno tangibile di miglioramento e di rassicurazione).
Con la comunicazione è necessario abbattere le false credenze, stimolando l’ottimismo: ad esempio riferendo di persone che dopo l’infarto hanno ripreso una vita normale e persino attività sportive.
Poiché per ragioni di tempo le informazioni vengono elargite spesso frettolosamente e non sono ben comprese da molti pazienti, è indispensabile utilizzare opuscoli per l’educazione sanitaria sulla cardiopatia ischemica dove, in maniera semplice ma scientificamente corretta, sono spiegate le cause della malattia coronarica, i suoi quadri clinici, gli scopi della terapia, le possibilità di ripresa e di ritorno alla vita attiva ma «con occhi nuovi» una volta superato l’evento acuto.
Poiché l’evento coronarico diventa spesso un problema di tutta la famiglia, è necessario coinvolgere l’intero nucleo familiare in questo processo di informazione e di educazione sanitaria. Infatti una componente essenziale è la relazione di coppia, che può essere migliore o peggiore in base a numerose variabili spesso imprevedibili, per le quali occorre un’attenzione particolare. La famiglia influenza positivamente il comportamento. Nei casi favorevoli infatti si ottiene una significativa riduzione dei problemi di adattamento alla malattia.
L’organizzazione di un nuovo stile di vita che consente di moderare lo stress, razionalizzare l’apporto alimentare e smettere di fumare porterà ad una più precoce ripresa non solo fisica ma anche psichica.
Anche la ripresa precoce di una attività motoria può dimostrarsi un segno tangibile di miglioramento e di rassicurazione.
La dimissione deve rappresentare un momento importante di incontro tra il cardiologo e il malato.
Insieme alle prescrizioni dietetiche e farmacologiche è necessario conferire con il paziente e i familiari su alcune ripercussioni fisiche e psicologiche secondarie alla malattia e fornire informazioni sui meccanismi e sui tempi di recupero, smitizzando e corre -gendo, infine, alcune errate credenze popolari su attività fisica, sesso, guida dell’automobile ecc.
È indispensabile consegnare ai pazienti una “agenda del convalescente” nella quale sia riportata una “flow chart” delle attività fisiche che potranno essere incrementate durante le prime due settimane di convalescenza, in quanto l’inattività rappresenta’per questi malati la fonte più grave di frustrazione.”9‘
Filmati ed opuscoli possono aiutare i pazienti a scoprire le strategie più adatte per affrontare le problematiche quotidiane connesse con la malattia.”4‘
Gli incontri di gruppo dopo la dimissione sono altrettanto importanti per lo scambio di informazioni e di esperienze e anche per l’effetto trainante che il gruppo ha sui soggetti più depressi.”4‘
Infine tecniche di rilassamento e di psicoterapia possono essere utilizzate in collaborazione con lo psicologo, nei casi particolari.
Nel processo di riabilitazione psicologica del paziente reduce da un infarto acuto il rispetto della prescrizioni sia dietetiche che farmacologiche è in rapporto al grado di informazione sanitaria ricevuto e cioè al grado di apprendimento a reinterpretare il significato e il peso dei fattori di rischio.
Conclusioni
Se, grazie agli interventi introdotti in questi ultimi anni per la cura dell’infarto miocardico, è stato possibile incrementare la quantità di vite salvate vi è una crescente attenzione verso la qualità di vita dei sopravvissuti.
Pertanto la quantità e la qualità della vita rappresentano caratteristiche complementari dell’assistenza dei cardiopatici.
Perciò la prognosi dei pazienti con IMA non può più essere valutata solo in termini di soppravvivenza ma anche in funzione della qualità di vita.
Infatti non è sufficiente prolungare la vita dei malati ma è necessario aggiungere vita agli anni.
Nei pazienti con IMA si sviluppa una complessa interazione fra i fattori psicologici e fisici in rapporto alla percezione del ruolo centrale del Cuore nella vita.
Problemi psicologici quali l’ansia, la depressione, il rifiuto, la dipendenza possono limitare la ripresa dopo un infarto determinando il mancato ritorno al lavoro, l’inabilità sessuale o l’incapacità di rendere accettabili i cambiamenti delle abitudini di vita. In particolare la prevalenza della depressione raggiunge percentuali fino al 45%.
Per modulare le reazioni psicologiche abnormi sono necessarie: -una valutazione della personalità del
paziente nelle diverse fasi della malattia, – la somministrazione di “pacchetti” di trattamento che devono prevedere le tecniche di rilassamento, il controllo dello stress e anche l’uso di farmaci antidepressivi, in particolare quelli privi di cardiotossicità.
L’approccio farmacologico diretto a ridurre lo stato depressivo si rende particolarmente utile in quanto i farmaci antidepressivi riducono l’attività del sistema nervoso simpatico, i depositi di serotonina nelle piastrine, l’ostilità e l’aggressività.
Durante gli ultimi 50 anni la riabilitazione è diventata una vera e propria strategia terapeutica globale e interdisciplinare.
Incentratasi inizialmente sull’esercizio fisico, essa prevede oggi anche l’individuazione e il trattamento delle problematiche psicologiche individuali legate alla malattia infartuale con lo scopo di ridurre al minimo le ripercussioni psicologiche negative della malattia.
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